Storia di Neve
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Storia di Neve

  1. 828 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Storia di Neve

Informazioni su questo libro

Neve Corona Menin, l'unica bambina nata nel gelido inverno del 1919, è una creatura speciale. Tutti lo capiscono quando, con il semplice tocco della sua mano, alcuni compaesani in punto di morte guariscono miracolosamente. In effetti Neve altro non è che la parte buona della strega Melissa - guardiana di un raccapricciante inferno di ghiaccio -, tornata sulla Terra per riparare i torti commessi in vita.
A far da sfondo a questa vicenda, punteggiata di eventi sovrannaturali eppure saldamente ancorata alla quotidianità, Mauro Corona dipinge, con la sua scrittura potente e ricca di inflessioni del parlato, quadri della vita di paese seguendo l'immutabile succedersi delle stagioni e, calibrando con sapienza il realismo più robusto e la più accesa fantasia, dà forma all'epopea di Erto in un romanzo di forte ed esplosiva vitalità, a volte terribile come solo certe favole nere dei fratelli Grimm sanno essere, a volte idilliaco come le pagine sulla natura dei grandi Romantici.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804592884
eBook ISBN
9788852014130

QUINTO QUADERNO

Inizio questo quaderno il 20 luglio 2007, alle 5 di mattina. Fuori fa già caldo, sono giornate senza una nuvola, con il sole che arrostisce la gente e i boschi. C’è qualche turista curioso che vuol sapere cosa faccio, anzi, più di uno, allora me ne sto nascosto e scrivo nel mio buco. Sto nella mia tana, senza uscite, senza bere e cercando di evitare i turisti.
In queste pagine Neve dovrà crescere, dal momento che ho riempito quattro quaderni e lei ha solo due anni e tre mesi. Di questo passo per arrivare ai suoi ventinove anni fatali mi ci vogliono cento quaderni, e non mi pare il caso.

20

Sentina Fulin, la strega

Sentina Fulin aveva sessant’anni e viveva sola, in una tana di via Soprafuoco.
Tutti dicevano che era una strega di prima categoria, e ne erano certi considerato quello che faceva, che aveva fatto, e, soprattutto, con chi aveva vissuto da giovane. Le mancava l’occhio sinistro, che raccontava di aver perso a vent’anni nel bosco della Becola infilzandosi con un ramo secco di abete bianco, sottile come un ferro da maglia e duro come osso.
Era piccola e magra, Sentina, con due gambe storte che con tre si poteva fare una ruota ma, a differenza delle altre streghe compresa la sua maestra, la strega del Baungo, aveva un bel viso, che a guardarlo difficilmente si poteva pensare che fosse cattiva. Invece cattiva era, e come. Era peggio della sua maestra, che sparì un inverno pieno di neve e nessuno seppe mai dove fosse finita mentre il suo gallo, misterioso compagno di magie, restò un anno imbalsamato sul ciliegio di guardia alla casa, finché non passò il vento di novembre, lo disfece e lo portò via in un turbine di piume.
La gente era convinta che Sentina sapesse dove era finita la sua maestra, ma nessuno aveva il coraggio di chiederle niente. Anche se aveva il viso bello, lo sguardo non lasciava sperare niente di buono: era freddo, fermo e forava l’anima fino in fondo come una trivella, e l’anima forata perdeva forza, come un secchio perde acqua quando è bucato da un chiodo.
Era nata da una donna che non aveva avuto fortuna, una donna che la dava a tutti, come le matte Accione, ma, a differenza loro, lei era rimasta gravida diverse volte. Tutte le volte si era fatta togliere il bambino da una comare con il ferro da maglia. L’ultima volta però aveva voluto tenere quell’affare che le scalciava in pancia come un gatto nel sacco e, alla fine dei nove mesi, invece che un bambino, come lei sperava perché voleva dargli il nome di suo padre, era nata una bambina. Quando la vide di primo istinto voleva soffocarla e cinque giorni dopo le aveva già chiuso le mani sul collo, ma poi sentì una voce che diceva: «Sta’ ferma, lascia stare quella piccola, non toccarla o sarà peggio per te». Allora si spaventò, abbandonò la presa e lasciò vivere la bambina. Dal momento che aveva sentito una voce che le imponeva di lasciar stare la bimba pensò di battezzarla con il nome di Sentina, che significa “sentire una voce”.
Quando la bambina aveva dodici anni quella mamma disgraziata si lasciò morire. Era stufa della vita, ne aveva viste e passate troppe ed era perseguitata dal rimorso dei figli cavati con il ferro da maglia. Così smise di mangiare e a poco a poco morì. Era diventata magra come un filo di erba dorc, un’erba fina quasi trasparente, ma prima di morire andò dalla maga che aveva il gallo per guardiano e le disse: «Ti lascio in custodia mia figlia, fai quello che ti pare, è brava, ti può aiutare nelle faccende. Purtroppo è anche buona, per questo la affido a te. Devi insegnarle a essere cattiva, più cattiva dell’erba belladonna, più cattiva del demonio, più cattiva di tutti».
La strega rispose: «Se è buona sarà difficile farla cattiva ma si può provare, occorre aspettare il tempo giusto e intanto farle patire le cose giuste».
Fu così che, dopo la morte di sua mamma, Sentina Fulin iniziò a visitare la casa della strega e a passare con lei molte ore della giornata. A volte si fermava a dormire e di notte sentiva dei rumori provenire da sottoterra, come se qualcuno camminasse sotto il pavimento. La vecchia strega mantenne la promessa: insegnò a Sentina la cattiveria, ma oltre a questo le insegnò anche a leggere e scrivere perché, se strega doveva diventare, era necessario che leggesse i suoi libri, soprattutto uno, quello grosso, scritto in una lingua misteriosa che nessuno aveva mai visto.
In paese viveva un uomo cieco, che aveva perduto la luce degli occhi all’improvviso, una mattina di sole, senza nessun preavviso, senza nessuna malattia, senza nessun segno che anticipasse la disgrazia. L’uomo, chiamato l’Orbo, aveva superato i settant’anni e, dopo la finta guarigione di Toldo Zuano, era stato portato dagli amici di fronte a Neve per vedere se anche lui poteva recuperare la vista. Ma quello era cieco sul serio, non come Toldo che faceva finta, e non ci fu niente da fare.
Quest’uomo, quando aveva trent’anni, incontrò Sentina che raccoglieva erbe magiche per la sua maestra strega nella valle dei Noghérs. La ragazza aveva ormai diciotto anni ed era bella, anche se piccola e magra. L’uomo non la salutò nemmeno. Con un salto le fu sopra, la buttò per terra e, premendo con un ginocchio, le allargò le gambe. La giovane gridava, ma nessuno poteva sentirla. Quella era una valle stretta, fuorimano, un po’ lontana dal paese, chiamata “dei Noghérs” perché era piena di grandi noci, che appunto in dialetto sono i noghérs.
All’inizio l’uomo fece fatica, poi la giovane abbandonò la resistenza, non gridò più e lasciò fare. Reagire non poteva, temeva che avrebbe potuto ucciderla e allora era meglio stare ferma, che facesse quel che doveva fare. Mentre l’uomo la montava con grugniti da porco, capì che sua madre aveva fatto bene a mandarla a scuola di cattiveria dalla strega del Baungo. Giurò tra sé che in qualche modo gliel’avrebbe fatta pagare.
“Aveva ragione mia mamma” pensò piangendo di rabbia, “essere buoni non rende niente.”
Quando l’uomo ebbe finito si tirò su le braghe, poi cavò il ronchetto a serramanico, lo aprì e lo alzò sulla testa di Sentina dicendo: «Lo vedi? Se parli ti taglio il collo come a una gallina». Detto questo, si voltò e se ne andò.
In quella valle, nel punto in cui i noghérs finivano, iniziava il bosco di faggi, dove una fontana usciva da un occhio nella roccia. Un mastello raccoglieva l’acqua tra le doghe rosse di larice antico e poi la lasciava scorrere di nuovo lungo la valle, in un ruscello tutto curve che andava a bagnare i noci: per questo le piante erano così belle e grosse.
Sentina camminò malamente fino alla fontana, montò sul mastello a gambe larghe e si lavò il sangue, ma, più di tutto, si lavò l’odore del bastardo che l’aveva sverginata con la forza delle braccia e di un ginocchio premuto sulla pancia. L’acqua era fresca, buona per lavar ferite e offese. Quella che riempiva il mastello diventò di un rosso pallido per via del sangue lavato dalle cosce, ma poi sfiatò dal bordo, carezzò le doghe e s’avviò lungo il ruscello a bagnare i noci, mentre in un attimo l’acqua del mastello tornava limpida, come se non avesse mai incontrato quel sangue. Ma, se l’acqua del mastello era tornata pura, l’anima di Sentina ormai si era sporcata, qualcuno l’aveva sporcata, non poteva più tornare limpida.
L’anima delle persone non si comporta come l’acqua corrente che porta via lo sporco e lo disperde nei boschi, sotto le foglie, nei torrenti e nei mari. L’anima è una pietra fissa, immobile, piantata nel prato della vita come un cippo di confine e, quando si sporca, lo sporco non va più via. L’unico modo per pulire l’anima sporcata è tirar via i pezzi, come si tagliano pezzi di carne dalla vacca macellata. Ma, a furia di tirar via pezzi, non resta più niente, e una persona senza anima è come uno scheletro.
Sentina tornò a casa e contò il fatto alla strega.
«Voglio diventare cattiva il più possibile per vendicarmi» disse, «ma devo essere cattiva come Dio comanda.»
«Se pensi a vendicarti, cattiva sei abbastanza» rispose la strega, «ma non ancora cattiva al punto giusto, bisogna aspettare qualche anno.»
Passarono due anni e un giorno Sentina disse alla strega del Baungo che si sentiva cattiva al punto giusto, quindi poteva pensare a vendicarsi di colui che le aveva aperto le gambe con la forza.
«Lo ammazzo anche domani» disse. «Prendo un coltello e gli spacco il cuore, a quel porco.»
«Vedo» disse la strega «che sei diventata molto cattiva, forse troppo, sei passata oltre, più di così non potrai diventare. L’ho capito quando hai detto che lo ammazzi domani con il coltello. La tua cattiveria si è tramutata in odio e l’odio non fa ragionare. La cattiveria fa ragionare in maniera lucida, l’odio no. Se ragionavi da cattiva non avresti parlato di ammazzarlo domani e con il coltello. Deve tribolare finché vive, altro che ammazzarlo domani. Io conosco il sistema per fargliela pagare e te lo insegnerò. Ma ricordati una cosa: per ogni vendetta, da quando esiste il mondo, l’inferno, i santi e i demoni, bisogna pagare un prezzo. Più il prezzo è alto, migliore e più forte sarà la vendetta. Chi si vendica fa bene, ma deve pagare il fio.»
«Qual è il mio?» chiese Sentina. «Voglio pagarlo subito.»
«Aspetta, non avere fretta, la fretta è un’altra prova che la giusta cattiveria è finita in odio. Chi ha fretta non ragiona. Preparati a pensare, sappi che quello che pensi sarà il tuo prezzo. Ho da tempo fatto una stregoneria a quel porco, ma perché faccia effetto devi pagarla sulla tua pelle, altrimenti non dimostri cattiveria. Tutto il male che vuoi succeda a lui, sappi che capiterà anche a te, solo che a lui capiterà doppio. Se per esempio gli auguri la polmonite, la polmonite prenderà anche te, ma lui ne avrà due. Se vuoi che gli cada un sasso in testa, un sasso colpirà anche la tua ma lui, di sassi in testa, ne prenderà due. E così avanti fin che ti pare: tu uno lui due.
Questa è la prova che mi devi, questa è la prova che mi farà capire se veramente sei diventata cattiva. La vera cattiveria, quella giusta, quella perfetta, quella di Satana, è non temere di far male a se stessi pur di farne a chi si vuol male, a costo di distruggersi. Vi sono persone, cara Sentina, di grande bontà, persone che sacrificano la loro vita per salvare quella degli altri. Siccome bontà e cattiveria vivono una di fronte all’altra, devono esistere persone di grande malvagità disposte a farsi male o a crepare pur di veder cadere il nemico. Perciò comincia a pensare che disgrazia vuoi per te, consolandoti che a lui gli capiterà doppia. Ti lascio tutta la notte, domani devi dirmi cosa hai scelto, questo è il prezzo della vendetta.»
Sentina quella notte dormì a casa sua. Doveva ragionare, pensare bene quel che doveva sacrificare di suo per farlo pagare doppio all’animale che l’aveva spaccata in due nella valle dei Noghérs. Al mattino presto andò dalla maga. La vecchia era già in piedi. Sul fuoco bolliva un bricco di caffè e in quel caffè metteva dentro delle erbe potenti, che le davano forza e le facevano vedere i fatti del tempo a venire. Li vedeva sul fondo del pignat, un vaso di terracotta sporco e unto dal quale non si separava mai.
«Hai pensato?» domandò a Sentina senza neanche dire “buongiorno”.
«Ho pensato» rispose la ragazza.
Sentina si avvicinò alla vecchia strega, la guardò in faccia e disse: «Cavami un occhio».
«Brava, sei cattiva più di quel che pensavo. È un prezzo alto perdere un occhio, ma il porco li perderà tutti e due.»
Fu così che Sentina diventò orba dall’occhio sinistro. Non fu un ramo secco di abete bianco, sottile come un ferro da maglia e duro come osso, a forarle l’occhio nel bosco della Becola. Fu la strega del Baungo a tirarglielo via, quella stessa mattina. La fece sedere e le si mise di fronte, fece dei segni nell’aria, poi con il pollice le schiacciò l’occhio sinistro e questo si spense di botto, come si spegne una candela.
Nello stesso momento, giù in paese, in una casa del centro, l’uomo si svegliò, aprì gli occhi e non vide niente. Tutto quel che vedeva era il buio. Si mise a urlare che non vedeva più, scese le scale a capitomboli, andò sulla strada a urlare ancora, ma ormai cieco era e cieco rimase per sempre, tanto che lo chiamarono l’Orbo.
Sentina trovò la scusa del ramo di abete bianco nel bosco della Becola ma la verità era diversa e non la disse mai a nessuno.
Poi passarono anni, la vecchia strega, sua maestra, sparì in un inverno da castigo che aveva congelato la valle in uno stampo di ghiaccio. Il suo gallo confessore lo portò via il vento di novembre dopo averlo disfatto come un cuscino di piume. Sentina senza far rumore prese il posto della vecchia megera, e con il posto prese in consegna anche il pignat sul cui fondo spiare il tempo che veniva, come guardando da un ponte il fondo dell’abisso per vedere cosa il torrente avrebbe portato alla valle dalla montagna.
Aveva, come si è detto, sessant’anni e l’occhio sinistro orbato Sentina Fulin quando, il giorno dopo Pasqua, Lunedì dell’Angelo, si presentò nella sua tana di via Soprafuoco Maria Corona Menin. Le donne si salutarono senza che la strega sollevasse la testa da un libro largo e grosso.
«Ho bisogno di te» disse Maria. «Non per me, per mia figlia, ho bisogno di sapere delle robe su mia figlia Neve.»
La strega rispose: «Di tua figlia so molte cose, non tutte, ma molte sì. Quelle che non so per me non sarà difficile trovarle, difficile sarà per te digerirle».
«A questo punto non ho paura» rispose Maria. «Non posso vivere così, voglio sapere il destino della mia bambina, di questa bambina strana che una volta è piena di vita, e una volta sembra morire, una volta è carne e una volta acqua.»
Sentina Fulin, la strega misteriosa, chiuse il libro: «Siediti, Maria, comincerò a dirti quello che so di tua figlia, le voci corrono in questo paese, non serve essere maghe per sapere certe cose, ma altre le so io soltanto. Me le ha dette in sogno la vecchia Melissa, che si trova in un mondo neanche immaginabile da esseri umani. Solo il giovane Matteo lo ha visto».
«Parla di mia figlia, non voglio sapere altro» brontolò Maria.
«Non posso parlare di tua figlia senza parlare anche di lei. La piccola Neve e la vecchia Melissa sono l’una un pezzo dell’altra. Neve è la parte buona della strega. Una parte di quell’anima malvagia, che tanto male ha fatto in vita, oggi è tornata sulla Terra a far del bene. Per volontà di Dio, un pezzo di quell’anima si è staccato e oggi è tornato qui per aiutare chi ha bisogno, soprattutto chi lo merita. Neve, la tua piccola Neve, è tua solo sulla carta: l’hai partorita tu, è vero, ma con te non c’entra niente. È venuta sulla Terra per altre ragioni che non sposarsi e fare figli. Neve non può innamorarsi, non può amare nessuno, se no scompare, si scioglie, diventa acqua. È l’anima di ghiaccio della vecchia Melissa a sciogliersi.
L’amore fa sciogliere tutto, anche i cuori di pietra. Neve è ghiaccio, dovevi accorgertene già due anni fa, quando la cagna l’ha rubata e portata nel gabbiotto. Era gennaio, un freddo che cadevano gli uccelli e scoppiavano i faggi, ma lei è rimasta per sette ore nuda nel gabbiotto di Storna, e non è morta e neppure si è congelata. Già allora dovevi capire che tua figlia non è una bambina normale.
Ora Neve, anche se non può, si è innamorata, certe cose non le blocca nessuno, neanche il ghiaccio. L’amore è come l’acqua che corre: quando corre va avanti e non si ferma. Ha un bel provare la cascata a fermare l’acqua congelandola. Non ce la fa. Guarda la valle del Vajont, la val Zemola, la val Mesazzo. D’inverno è tutto pieno di cascate congelate, cascate color blu, alte che sembrano campanili, palazzi, montagne di vetro. Ma se avvicini l’orecchio a quel ghiaccio senti la voce dell’acqua che corre, senti qualcosa di simile a una musica, come qualcuno che parla piano dentro quei bottiglioni di ghiaccio vivo. Neve si è innamorata di Valentino e lui di lei, ma, siccome non può innamorarsi, quando lo vede si scioglie come burro al sole. Le è proibito innamorarsi: lei è ghiaccio, l’amore è fuoco, il ghiaccio vicino al fuoco si disfa, si scioglie, diventa acqua.»
Maria disse: «Ma se sono appena nati, come fanno a essere già innamorati?».
«È qui che sbagli, cara mia, ma consolati: dove sbagli tu sbagliano tutti. L’amore non sa niente di età, anni, o altezze, l’amore può nascere tra due anime quando sono ancora nella pancia delle madri. Come è successo a Neve e Valentino. Loro si volevano bene quando ancora stavano in altri mondi. Ma lei è qui per cose più importanti che l’amore. Deve riparare tutto il male fatto dalla strega Melissa. Neve è la parte buona di quella donna che in vita fu carogna. Neve dovrà aiutare le persone finché vive. Per pagare il debito della vecchia maga deve far del bene, non seguire l’amore. Chi si innamora fa del bene a se stesso, non agli altri. Innamorarsi è puro egoismo. A meno che non ci si innamori del mondo intero e lo si aiuti a vivere meglio. Ma quello lo fanno solo i santi, e Neve ancora santa non è.
A questo punto voglio dirti una cosa importante. Evita in tutti i modi che tua figlia incontri Valentino, evitate anche di farglielo vedere, o di lei ti resterà un secchio d’acqua per terra. Per qualche minuto può resistere, ma se si va oltre di Neve troverai acqua. Ghiaccio e fuoco devono stare lontani, se li metti vicini vince il fuoco.»
Maria parve convinta, pensò a sua figlia, si fece un segno di croce e continuò: «Sentina, voglio sapere un’altra cosa. Voglio sapere quanti anni ha davanti, quanto le resta da vivere, se, insomma, il tempo che viene sarà lungo o corto per Neve».
La maga guardò Maria e disse: «Posso risponderti subito, ma per farlo ho bisogno di un tronco, un tronco di legno tondo, non spaccato, un tronco che devi portarmi tu, non posso prenderlo io. Di tronchi ho il cortile pieno, ma se lo scelgo io il tronco non parla. Devi andare a casa tua e portarmi uno dei tuoi».
«Vado subito» rispose Maria piuttosto agitata. «Vado e torno, aspettami.»
«Non mi muovo» disse la strega. Aprì il librone e riprese a leggere.
Maria filò a casa, ma non tornò subito. Raccontò tutto al marito, raccontò per filo e per segno quello che aveva udito dalla maga senza lasciar fuori una virgola. Il marito si fece serio. Non aveva prestato attenzione a quelle strane storie sulla strega Melissa, ai discorsi sul fuoco e sul ghiaccio. Quella era roba da donne. Un particolare però l’aveva colpito. “Se Neve si scioglie” pensò, “addio miracoli, addio soldi, addio fortune.” Ma alla moglie disse un’altra cosa: «La bambina non deve più vedere Valentino, per nessun motivo. Io voglio bene a mia figlia, non voglio neanche pensare che vada all’altro mondo, e perdipiù in quel modo. Quando vedi quel bambino gira al largo e non andare mai più a casa sua con Neve».
La discussione andò avanti per qualche ora. Felice Corona era preoccupato dei soldi, non del destino di sua figlia. Neve stava in un angolo della cucina a giocare con i truciol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Primo Quaderno
  5. Secondo Quaderno
  6. Terzo Quaderno
  7. Quarto Quaderno
  8. Quinto Quaderno
  9. Sesto Quaderno
  10. Settimo Quaderno
  11. Ottavo Quaderno
  12. Nono Quaderno
  13. Decimo Quaderno
  14. Undicesimo Quaderno
  15. Dodicesimo Quaderno
  16. Tredicesimo Quaderno
  17. Indice