Il volo del calabrone
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Il volo del calabrone

  1. 440 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il volo del calabrone

Informazioni su questo libro

Giugno 1941. Mentre le truppe naziste marciano vittoriose in tutta Europa, i bombardieri inglesi vengono decimati dai caccia nemici, che sembrano conoscerne in anticipo rotte e destinazioni. Come fanno? Qual è il loro segreto? I messaggi cifrati tedeschi parlano sempre di "Freya". Digby Hoare, dei servizi segreti inglesi, sa che deve scoprire al più presto cosa si nasconde dietro questo nome. Ma prima di Hoare, in una sperduta isola danese, un ragazzo si imbatte per caso nell'arma segreta nazista che sta tenendo in scacco la RAF: un sofisticato sistema radar. Insieme al fratello pilota e alla sua fidanzata, il ragazzo si ritrova coinvolto in un gioco serissimo e pericoloso, da cui dipendono le sorti dell'umanità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804544289
eBook ISBN
9788852016196

PARTE PRIMA

1

L’ultimo giorno di maggio del 1941, per le strade di Morlunde, una cittadina sulla costa occidentale della Danimarca, comparve uno strano veicolo.
Era una motocicletta Nimbus di fabbricazione danese con un sidecar. Già questo era di per sé uno spettacolo strano, poiché non c’era carburante per nessuno tranne che per medici, polizia e, naturalmente, le truppe tedesche che occupavano il paese. Ma questa Nimbus era stata modificata. Il motore a benzina a quattro cilindri era stato sostituito con uno a vapore preso da una lancia fluviale demolita. Al sidecar era stato tolto il sedile per far posto a una caldaia, un focolare e un piccolo fumaiolo. Il nuovo motore era poco potente e la moto poteva raggiungere una velocità massima di trentacinque chilometri orari. Invece che dal solito rombo dello scappamento, lo strano veicolo avanzava accompagnato dal sibilo delicato del vapore. La lentezza e l’insolita silenziosità gli conferivano un che di signorile.
Sul sellino c’era Harald Olufsen, un diciottenne alto con carnagione chiara e capelli biondi pettinati all’indietro che lasciavano scoperta la fronte spaziosa. Sembrava un vichingo con indosso la giacca di un’uniforme scolastica. Aveva risparmiato un anno intero per acquistare la Nimbus – che gli era costata la bellezza di seicento corone – e poi, il giorno dopo averla comperata, i tedeschi avevano imposto il razionamento del carburante.
Harald si era arrabbiato moltissimo. Che diritto avevano di fare una cosa del genere? Ma lui era stato educato ad agire, piuttosto che a lamentarsi.
C’era voluto un altro anno per modificare la moto. Vi aveva lavorato nei giorni di vacanza, dedicandosi anche alla preparazione per gli esami di ammissione all’università. Quel giorno, a casa per le vacanze di Pentecoste, aveva passato la mattinata a imparare a memoria equazioni di fisica, e il pomeriggio a montare sulla ruota posteriore una corona presa da una vecchia falciatrice. Ora, a bordo della moto che funzionava alla perfezione, era diretto verso un locale dove sperava di ascoltare musica jazz e magari incontrare qualche ragazza.
Amava il jazz. Dopo la fisica era la cosa più interessante in cui si fosse mai imbattuto. I musicisti americani erano i migliori, naturalmente, ma anche i loro emuli danesi non erano male. A volte si poteva ascoltare del buon jazz anche a Morlunde, forse perché era un porto internazionale, frequentato da marinai provenienti da ogni parte del mondo.
Ma quando Harald arrivò davanti al Club Hot, nel cuore del porto, trovò la porta chiusa e le finestre sbarrate.
Rimase disorientato. Erano le otto di sabato sera e quello era uno dei locali più frequentati della città. Avrebbe dovuto essere affollatissimo.
Mentre fissava l’edificio silenzioso, un passante si fermò a guardare il veicolo. «Cos’è questo arnese?»
«Una Nimbus con un motore a vapore. Sa niente di questo locale?»
«Sono il proprietario. Che carburante usa la moto?»
«Tutto quello che brucia. Io uso la torba» rispose Harald indicando la parte posteriore del sidecar.
«Torba?» ripeté l’uomo, ridendo.
«Perché è chiuso?»
«I nazisti mi hanno fatto chiudere.»
Harald era allibito. «Perché?»
«Davo lavoro a musicisti neri.»
Harald non aveva mai ascoltato un musicista di colore dal vivo, ma dai dischi conosceva il loro valore. «I nazisti sono dei porci ignoranti» disse arrabbiato. La sua serata era rovinata.
Il proprietario del club guardò su e giù lungo la strada per accertarsi che nessuno avesse sentito. Le forze di occupazione governavano la Danimarca con mano leggera, tuttavia erano poche le persone che osavano insultare apertamente i nazisti. Per fortuna, in giro non c’era nessuno. L’uomo tornò a interessarsi alla moto. «E funziona?»
«Certo che funziona.»
«Chi te l’ha modificata?»
«Ho fatto tutto da solo.»
L’espressione divertita dell’uomo lasciò posto all’ammirazione. «Molto ingegnoso.»
«Grazie.» Harald aprì la valvola che faceva entrare il vapore nel motore. «Mi dispiace, per il suo locale.»
«Spero che me lo lascino riaprire fra qualche settimana. Ma dovrò impegnarmi a ingaggiare solo musicisti bianchi.»
«Il jazz senza neri?» Harald scosse la testa disgustato. «È come bandire i cuochi francesi dai ristoranti.» Tolse il piede dal freno e la moto si mosse lentamente.
Pensò di andare in centro per vedere se c’era qualcuno che conosceva nei bar e nei locali intorno alla piazza, ma era così deluso che non aveva più voglia di andarsene in giro e allora puntò in direzione del molo.
Suo padre era pastore della chiesa di Sande, un’isoletta a un paio di miglia da lì. Il piccolo traghetto che faceva la spola era all’attracco e lui salì a bordo. Era affollato di persone, quasi tutte conosciute. C’era un rumoroso gruppo di pescatori che erano andati a vedere una partita di calcio e dopo avevano bevuto qualcosa; due donne benestanti in cappello e guanti, con un pony che trainava un calesse carico di acquisti; una famiglia di cinque persone che era andata a far visita ad alcuni parenti in città. Una coppia ben vestita che non conosceva era probabilmente diretta a cena nell’albergo dell’isola, che aveva un ristorante molto elegante. La sua motocicletta attirò l’attenzione di tutti i presenti e lui fu costretto a spiegarne nuovamente il funzionamento.
All’ultimo momento salì a bordo una berlina Ford di fabbricazione tedesca: apparteneva ad Axel Flemming, il proprietario dell’albergo dell’isola. I Flemming erano ostili alla famiglia di Harald. Axel era convinto di essere il capo naturale della comunità, ruolo che il pastore Olufsen considerava proprio, e l’attrito fra i due patriarchi rivali aveva contagiato tutti gli altri membri delle due famiglie. Harald si chiese come avesse fatto Flemming a trovare la benzina per la sua auto, ma poi concluse che quando si è ricchi tutto diventa possibile.
Il mare era agitato, e verso occidente si vedeva il cielo offuscato da nuvoloni scuri. Si stava avvicinando una burrasca, ma i pescatori assicurarono che, anche se per poco, sarebbero arrivati a casa prima che si scatenasse. Harald tirò fuori un giornale che aveva preso in città. Si intitolava “Realtà” ed era illegale, stampato in aperta sfida alle forze di occupazione e distribuito gratuitamente. La polizia danese non aveva mai tentato di sopprimerlo e i tedeschi non sembravano neppure considerarlo degno del loro disprezzo. A Copenaghen la gente lo leggeva tranquillamente sui treni e sui tram. Lì, però, le persone erano più caute e Harald lo piegò in modo da nascondere la testata, mentre leggeva un articolo sulla scarsità di burro. La Danimarca produceva tonnellate di burro all’anno, ma ora veniva mandato quasi tutto in Germania, e i danesi avevano difficoltà a trovarlo. Era il genere di denuncia che non sarebbe mai comparsa sulla stampa regolare soggetta a censura.
La sagoma piatta e familiare dell’isola si stava avvicinando. Era lunga una ventina di chilometri e larga uno e mezzo, con un villaggio a ognuna delle due estremità. Le casette dei pescatori e la chiesa con la canonica costituivano il nucleo più vecchio, sulla punta meridionale. Lì c’era anche una scuola nautica, da tempo in disuso, ora occupata dai tedeschi che l’avevano trasformata in una base militare. L’albergo e le case più grandi si trovavano sull’estremità settentrionale. Nella parte centrale l’isola era costituita soprattutto da dune sabbiose coperte di arbusti, con pochi alberi e nessuna collina, ma lungo tutto il lato rivolto verso il mare aperto si estendeva una magnifica spiaggia lunga quindici chilometri.
Mentre il traghetto accostava al molo sull’estremità settentrionale dell’isola, Harald sentì le prime gocce di pioggia. Il taxi dell’albergo, trainato da un cavallo, era in attesa della coppia ben vestita. Ad aspettare i pescatori c’era la moglie di uno di loro, alla guida di un carretto. Harald decise di attraversare l’isola e di andare verso casa costeggiando la spiaggia, la cui sabbia era molto compatta e, infatti, era stata usata per le prove di velocità delle auto da corsa.
Si trovava a metà strada fra il molo e l’albergo quando esaurì il vapore.
Aveva deciso di usare il serbatoio del carburante come riserva d’acqua, ma si rese conto che non era abbastanza capiente. Avrebbe dovuto procurarsi un bidone più grande e metterlo nel sidecar. Ora, però, aveva bisogno d’acqua per tornare a casa.
C’era solo un’abitazione lì, e sfortunatamente era quella di Axel Flemming. Nonostante la rivalità, le due famiglie continuavano a parlarsi. I Flemming andavano in chiesa ogni domenica, seduti tutti insieme in prima fila. E Axel era un diacono. Tuttavia, Harald non era entusiasta all’idea di dover chiedere aiuto proprio a loro. Valutò la possibilità di farsi a piedi i quattrocento metri che lo dividevano dalla casa più vicina, ma poi decise che sarebbe stata una sciocchezza. Con un sospiro, si avviò per il lungo vialetto d’accesso.
Anziché bussare alla porta principale, girò intorno alla casa, diretto alle stalle. Fu contento di vedere un domestico impegnato a mettere la Ford in garage. «Salve, Gunnar» disse. «Potrei avere un po’ d’acqua?»
L’uomo rispose con cordialità. «Serviti pure. C’è un rubinetto in cortile.»
Harald trovò un secchio accanto al rubinetto e lo riempì. Tornò sulla strada e versò l’acqua nel serbatoio. Pareva proprio che se la sarebbe cavata senza incontrare qualche membro della famiglia, ma quando riportò il secchio in cortile, vi trovò Peter Flemming.
Peter era il figlio di Axel. Alto e sprezzante, sulla trentina, indossava un abito di tweed di buon taglio. Prima dei contrasti tra le due famiglie, era stato il migliore amico del fratello di Harald, Arne, e nel corso della loro adolescenza i due si erano fatti la fama di rubacuori; Arne seduceva le ragazze con il suo fascino malandrino, Peter con il suo atteggiamento sofisticato. Ora Peter viveva a Copenaghen e Harald pensò che fosse venuto a casa per il fine settimana.
Peter stava leggendo una copia di “Realtà”. Vedendo Harald, alzò gli occhi dal giornale. «E tu cosa ci fai qui?» gli chiese.
«Ciao, Peter. Sono venuto a prendere un po’ d’acqua.»
«E questa schifezza è tua, immagino?»
Harald si tastò la tasca e si rese conto con costernazione che il giornale doveva essergli caduto quando si era chinato per prendere il secchio.
A Peter non sfuggì il gesto, né il suo significato. Era un poliziotto. «In città lo leggono tutti» disse Harald. Si sforzò di assumere un tono di sfida, ma in realtà aveva un po’ paura: Peter era sufficientemente cattivo da arrestarlo.
«Qui non siamo a Copenaghen» ribatté questi con espressione enfatica.
Harald sapeva che Peter non aspettava altro che l’occasione per mettere in cattiva luce un Olufsen, eppure vide che esitava, e credeva di sapere il perché. «Farai la figura dello sciocco se arresti uno studente a Sande per aver fatto ciò che metà della popolazione del paese fa apertamente. Soprattutto quando si saprà che nutri del risentimento nei confronti di mio padre.»
Peter era combattuto tra il desiderio di umiliare Harald e il timore di coprirsi di ridicolo. «...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il volo del calabrone
  4. Prologo
  5. PARTE PRIMA
  6. PARTE SECONDA
  7. PARTE TERZA
  8. PARTE QUARTA
  9. Epilogo
  10. Ringraziamenti
  11. Copyright