Holidays on Ice (Versione italiana)
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Holidays on Ice (Versione italiana)

  1. 84 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Holidays on Ice (Versione italiana)

Informazioni su questo libro

Il debutto di David Sedaris avvenne all'inizio degli anni '90 con la lettura alla radio del racconto della sua esperienza come elfo natalizio in un grande magazzino di New York: una serie di scene esilaranti e corrosive che fotografavano impietosamente le icone sacre del mondo di oggi.
Il mito del Natale affogato nei consumi, il muto naufragio dei bambini, vittime inconsapevoli dell'insensatezza della festa, la surreale crudeltà dei rapporti di lavoro e di famiglia, il vuoto e la solitudine che la valanga scintillante dei regali non può nascondere...
Da quell'episodio David divenne ben presto una star radiofonica e Holidays on Ice, uscito nel 1997, si rivelò un immediato bestseller. Dissacrante libello sul falso luccichio del Natale, il libro è la rivelazione dello straordinario talento di Sedaris, comico spietatissimo e sottilissimo, implacabile osservatore delle follie della modernità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804522362
eBook ISBN
9788852015335

Tratto da una storia vera

Buongiorno a tutti, e buon Natale. Dal momento che il vostro parroco, padre Phil Becky, è un po’ in ritardo, ho pensato di cogliere l’occasione per dirvi due parole prima che arrivi a bordo della sua sedia a rotelle per la tradizionale messa natalizia.
E dunque eccomi qui, bella gente, a fare – se mi passate il gioco di parole – le veci del vicario! (Pausa per risate.) “Ma chi è questo signore che indossa un abito di alta sartoria?” vi starete chiedendo. Chi tra voi ha ricevuto un’istruzione minima, o non ne ha ricevuta affatto, si starà senza dubbio grattando il capo perplesso, pensando: “Non l’abbiamo mai visto prima. Come accidenti fa ad averci due scarpe così pulite?”.
Ora, gente, non fraintendetemi. Non è mia intenzione criticare la vostra parlata. Anzi, se devo essere sincero io la apprezzo. Come gruppo sociale voi zotici avete fornito un sostanzioso contributo all’industria dell’intrattenimento, e di questo sono il primo a ringraziarvi.
Chi sono io? Per quelli di voi che non mi conoscono, il mio nome è Jim Timothy e, come senz’altro avrete dedotto dalla splendida dentatura donatami dal Signore, non sono di queste parti. Ora, fratelli e sorelle, se ho scelto di salire su questo pulpito non è certo per mentirvi. Io non ho mai pronunciato un sermone in vita mia. A dire il vero non metto piede in una chiesa da quando ho sposato la mia terza moglie, il mostro di Gila dagli occhi azzurri che risponde al nome di Stephanie Concord. Considerato che gran parte di voi non legge i giornali o non sa leggere del tutto, permettetemi di informavi che io e Stephanie Concord non costituiamo più la rispettiva dolce metà, fatto per cui il sottoscritto a intervalli regolari si lascia cadere in ginocchio e, come direste voi, “loda il Signore”. Ciò che davvero mi tormenta, ciò che trovo profondamente ingiusto, è che il divorzio abbia garantito a quel rettile antropofago metà del denaro da me guadagnato durante la nostra breve e inappagante unione. Non per apparire pretenzioso, ma come buonuscita la signora si è ritrovata un bel malloppetto di soldi, considerato che il mio salario annuale ammonta a una cifra che vi farebbe girare la testa. Dovete sapere, gente, che io lavoro in televisione. No, non come tecnico (ah ah ah), ma come – per usare un termine a voi comprensibile – produttore esecutivo. Diciamo che sono quello che rende le cose possibili.
In virtù del mio senso dell’umorismo altamente evoluto, ho trascorso i primi dieci anni della mia carriera a sviluppare situation comedies, altresì note fra gli addetti ai lavori come “sit-com”. Ho contribuito a creare programmi come Otto su una zattera, Accidenti a quei Fleishman, La caverna delle coppie e La compagnia degli zotici, programma quest’ultimo che immagino conoscerete, e che narra le vicende di un gruppo di bifolchi ignoranti come voi. Lo dico affettuosamente. Secondo il buon vecchio dizionario Webster, infatti, “ignorante” significa “privo di cultura e di esperienza”, il che, lasciatemelo dire, talvolta può essere una benedizione. Non passa giorno senza che io trascorra qualche istante a chiedermi se alcuni di noi non siano, molto semplicemente, troppo intelligenti per il loro stesso bene. Voi, invece, con le vostre vite semplici e tutt’altro che degne di nota, ignorate cosa siano i piani di produzione o che razza di compensi astronomici pretendano certi cosiddetti artisti che in materia di terrorismo potrebbero dare lezioni agli arabi. Io, d’altro canto, non ho la minima infarinatura in materia di scabbia, perciò si può dire che siamo pari.
Non si arriva nell’empireo della sit-com se non si è capaci di comprendere le persone e ciò che le anima. E non mi riferisco all’assistente di produzione che intasa le linee telefoniche per piagnucolare sul suo ultimo aborto. Parlo di gente vera, con la faccia segnata dalle intemperie e quel filo di terra sotto le unghie che fa tanto agreste. Bisogna essere capaci di arrivare alla persona qualunque, perché è quello che permette a un programma di mettere le ali. Altrimenti uno può infilarci tutte le gag di questo mondo, ma senza quel nocciolo di umana comprensione tanto vale prendere il progetto e buttarlo sul palco di un teatro, dove nessuno lo vedrà mai.
Un uomo saggio una volta ha detto che, per riuscire a comunicare, bisogna saper parlare la lingua di un’altra persona. Prendete me, per esempio. Oggi mi avete sentito usare termini come “gente” e “fratelli e sorelle”, che mai, e intendo proprio mai, avrei utilizzato in un contesto più sofisticato. Ma qui, in questa chiesa fatiscente, io sento di poterlo fare, perché ai fini della comunicazione è necessario che parli il vostro linguaggio. Mi è capitato di fare la stessa cosa in occasione di un recente viaggio a Londra, dove, nel corso di un solo weekend, mi sono ritrovato a usare termini come “stramaledetto” e “pippa”. Insomma, avete davanti un comunicatore.
Grazie anche alle mie straordinarie capacità di stabilire relazioni interpersonali, dopo qualche tempo sono stato chiamato da una rete concorrente, che mi ha affidato la programmazione della fiction drammatica. E non mi riferisco al genere di insulse soap opera che di solito piacciono a voi. No, parlo di programmi di forte impatto, socialmente impegnati e ricchi di significato, capaci di riflettere ciò che davvero succede in questo nostro paese. Programmi che, privi come sono di risate preregistrate e non soggetti al soffocante formato di ventidue minuti, invece di puntare alla facile risata toccano i cuori. È vero, magari strappano pure una o due lacrime, ma alla fine se ne ricava sempre un senso di orgoglio per il nostro patrimonio comune. In questi programmi vediamo persone fisicamente attraenti fronteggiare una vita che, voi ne siete la prova in carne e ossa, non sempre è gentile come la si vorrebbe. A volte queste persone fisicamente attraenti sono costrette a visitare case arredate alla bell’e meglio, o addirittura roulotte. Di tanto in tanto capita che entrino in contatto con persone fisicamente non altrettanto attraenti, eppure loro vanno avanti lo stesso. Come tutti noi. Penso a programmi quali Lottando con i Cavanaugh, Cynthia Chinn: la balia dagli occhi a mandorla, Hal e il suo cancro e Bianco come noi. (Pausa per applausi.)
Ma nessuno sa resistere troppo a lungo nello stesso posto. Con le soap opera avevo trovato la mia voce, e con la fiction drammatica avevo dimostrato il mio valore. Era tempo di dedicarsi a quelle bombe da audience note come “miniserie”. Sono certo che almeno qualcuno di voi abbia familiarità con l’argomento. Le chiamano “mini”, anche se di solito sono più lunghe del film medio da grande schermo. Ciò è in parte dovuto alla presenza della pubblicità, ma per noi costituisce anche un’occasione per fermarci a riflettere e arrivare al vero nocciolo della storia. Talvolta questi programmi si basano su romanzi scritti da alcuni dei vostri autori preferiti, quali James Chutney e Jocelyn Hershey-Guest. Mi piace pensare di aver reso giustizia al Cugino di mezzanotte di Olivia Hightop e a Le ragioni del padrone, l’infuocata saga storica di E. Thomas Wallop. Come ho già detto, sovente questi programmi si basano su opere letterarie, ma capita altrettanto spesso di trovare materiale non meno appassionante semplicemente sfogliando i quotidiani, contattando individui sopravvissuti a crimini efferati e comprando le loro storie, che in seguito vengono adattate dai nostri numerosi e abilissimi sceneggiatori. È quanto accaduto per esempio con Sorella Katherine: bollita viva, un episodio tragico che ritengo siamo riusciti a esplorare con rara dignità. Poiché purtroppo la suora in questione è deceduta, abbiamo acquistato i diritti dai gemelli McCracken i quali, a prescindere dalla loro colpevolezza o innocenza, hanno fornito un aiuto inestimabile ai nostri sceneggiatori, il cui motto è “Presentare sempre almeno una versione dei fatti”. Di recente abbiamo mandato in onda un’altra toccante vicenda di vita vissuta, quella di una ragazza madre costretta ad affogare i suoi figli spingendo la macchina in un lago con loro a bordo, nel disperato tentativo di non perdere il suo nuovo, bellissimo fidanzato. Tettuccio apribile opzionale ha scosso molte persone, e aver contribuito alla sua realizzazione è per me un vero onore.
Nonostante il grande interesse suscitato dagli adattamenti televisivi di opere letterarie, sono queste storie di vita vera che tendono ad attrarre più pubblico. Come mai? La risposta si può riassumere in cinque semplici parole, che noi usiamo in tutte le nostre campagne pubblicitarie, tanto sulla carta stampata quanto in televisione: “Tratto da una storia vera”. Non inventata dalla mente di un dattilografo qualunque, ma vera. Alcuni dicono che la verità è più assurda della finzione, e di solito quando lo dicono io do per scontato che abbiano trascorso qualche ora con una delle mie ex mogli! (Pausa per risate.) Ma a parte gli scherzi, nulla sa parlare al cuore e alla mente come un bel adattamento televisivo di un evento realmente accaduto realizzato nei tempi giusti. Senza contare, poi, che il criminale incallito o la povera vittima di turno che sceglie di trasformare il suo dolore, o quello degli altri, in qualcosa di più spendibile di un cuscino bagnato di lacrime si ritrova di solito con un bel gruzzoletto! È per questo che ogni giorno riceviamo centinaia, a volte migliaia di lettere da parte di persone che vogliono v...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Dinah, la zoccola di Natale
  5. Al centro della prima fila con Thaddeus Bristol
  6. Tratto da una storia vera
  7. Natale significa dare
  8. Indice