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La formazione delle connessioni sinaptiche
Come crescono e si sfoltiscono con la maturità
La dottoressa Francine Benes, che indossava un elegante completo di seta beige, stava osservando una sezione sottile e piatta di cervello, accuratamente sistemata sotto un vetrino da microscopio. Il campione, simile a una fettina di cavolfiore, proveniva dall’organo di un diciassettenne deceduto in un incidente stradale.
In pochi secondi trovò ciò che stava cercando. Eravamo nel laboratorio di un vecchio edificio di mattoni del McLean Hospital, l’ospedale psichiatrico e centro di ricerca appena fuori Boston. La dottoressa mi suggerì di osservare una piccola linea frastagliata situata proprio al centro della sezione, illuminata dal supporto.
«Vede» mi disse, animandosi improvvisamente. «Qui! È proprio qui che l’abbiamo scoperto!» Francine Benes, ricercatrice del McLean e docente di psichiatria e neurologia alla Harvard Medical School, è un’altra delle decane delle neuroscienze. Da giovane lavorava in un istituto psichiatrico per schizofrenici. Questa esperienza suscitò in lei un’impressione così duratura da indurla a dedicare la propria carriera a cercar di capire in che modo si sviluppa il cervello e, in particolare, in che cosa consiste la crescita anomala che si verifica nella schizofrenia. Poiché la maggior parte delle volte questa malattia ha inizio nell’adolescenza, le sue ricerche si sono indirizzate per forza di cose ai ragazzi di questa età.
Quando era ancora una giovane professoressa, durante una visita alla banca dei cervelli Yakovlev a Washington D.C., Benes notò qualcosa di anomalo in alcuni degli organi adolescenti conservati in quell’archivio: mano a mano che i ragazzi crescevano, sembrava che aumentasse anche lo spessore di una striscia di mielina.
La mielina, che fa parte della sostanza bianca del cervello, è simile a una confortevole coperta lipidica avvolta intorno ai lunghi rami degli assoni che si dipartono dai corpi cellulari dei neuroni. Funge da isolante, impedendo che i segnali elettrici cerebrali sfuggano da quello che è il loro percorso lungo gli assoni, e aumentandone la velocità.
Durante lo sviluppo cerebrale la mielina viene prodotta dalle cellule gliali, che costituiscono il cosiddetto collante cerebrale. Dieci volte più numerose dei neuroni nel cervello, che pure sono componenti importantissime, le cellule gliali svolgono anche la funzione di «spazzini» cerebrali, poiché eliminano i neuroni morti e i dendriti sottoutilizzati. Considerate per molto tempo i parenti poveri dei neuroni, le cellule gliali, secondo i dati recenti, potrebbero invece giocare un ruolo molto più importante, contribuendo forse ad amplificare i segnali. (Nel cervello di Einstein, hanno scoperto i ricercatori, le aree deputate al ragionamento logico e spaziale possedevano una quantità di cellule gliali maggiore del normale.)
Un particolare tipo di cellule gliali, i cosiddetti oligodendrociti, somigliano vagamente a una piovra e, al momento opportuno, quando cioè l’assone della cellula nervosa diviene abbastanza spesso, forse a causa dell’uso intenso, emettono delle propaggini che avvolgono l’assone come un rotolo di gelatina, creando la guaina di mielina.
Dopo essere stato rivestito di mielina, l’assone viene considerato sostanza bianca: l’efficienza e la velocità del suo segnale si moltiplicano, in modo simile a una vettura che passi dall’andatura lenta sull’autostrada nell’ora di punta a una gara del campionato di Formula 1. Una carica elettrica viaggia cento volte più veloce su un assone avvolto dalla guaina mielinica che su uno privo di rivestimento, raggiungendo velocità superiori ai trecentoventi chilometri l’ora. Non molto tempo fa, mio cognato incominciò a manifestare problemi di equilibrio: camminando sbandava verso destra. Risultò che era affetto da sclerosi multipla, una malattia in cui il rivestimento mielinico delle cellule nervose degenera. Nel suo caso, non ancora grave, all’interno del cervelletto – la masserella cerebrale di cui abbiamo già parlato, posta alla sommità del collo e coinvolta in un’ampia gamma di attività cerebrali, fra cui l’equilibrio – c’era una piccola regione priva di mielina.
Non c’è alcun dubbio che la mielina sia fondamentale per un efficiente funzionamento del cervello. E in passato, quando Benes osservava gli organi raccolti nella banca, era convinta di poter affermare anche a occhio nudo che la mielina si stava ancora stratificando in un’area importantissima del cervello adolescente.
Cosa che, naturalmente, non avrebbe dovuto succedere.
«A quell’epoca sapevamo che la mielina era importante durante le fasi iniziali dello sviluppo cerebrale» mi spiegò in seguito Benes in uno dei grandi, gelidi e bui stanzoni del McLean. «Il periodo in cui un individuo inizia a camminare e le sue mani acquisiscono sempre più destrezza era stato associato alla mielinizzazione che si verifica nella corteccia motoria. Noi però ritenevamo che, nel complesso, il processo di mielinizzazione nel sistema nervoso centrale fosse concluso verso i cinque o sei anni di età.»
Sebbene i campioni esaminati fossero poco numerosi, Benes pubblicò le proprie osservazioni. Poi si mise all’opera in maniera sistematica per dimostrare ciò che aveva scoperto.1 A Boston, raccolse i cervelli provenienti dagli ospedali vicini e confrontò i livelli di mielina nell’area in cui aveva riscontrato la crescita: la lamina midollare. Trovò ciò che stava cercando: nel caso degli adolescenti era ancora in corso un processo di mielinizzazione. La mielina, infatti, aumentava di uno spettacolare 100 per cento durante gli anni dell’adolescenza.2
L’area in cui Benes individuò la crescita della mielina funziona come una stazione di relé che collega fra loro due regioni cerebrali importantissime: il giro del cingolo e l’ippocampo. Quanto sia decisivo l’ippocampo, un agglomerato di cellule situate proprio nel centro del cervello, è cosa ben nota: si tratta di una delle sue principali aree, da cui dipende la selezione di nuovi ricordi.
Il protagonista del film Memento, che ha addirittura tatuate sul corpo le informazioni importanti, deve scrivere di continuo ciò che vuol fare e chi vuole incontrare. Questo perché, sebbene la sua memoria a lungo termine sia intatta ed egli abbia conservato il senso della propria individualità, il suo ippocampo è stato danneggiato ed egli non è più in grado di ricordare eventi accaduti addirittura pochi secondi prima.
Un paziente che diventò una leggenda delle neuroscienze, chiamato semplicemente H.M., fornì per la prima volta ai neuroscienziati una dimostrazione del ruolo dell’ippocampo. A causa di un grave colpo apoplettico, nel 1953 H.M. subì un intervento chirurgico che rimosse una sezione del suo cervello, inclusi l’ippocampo e l’amigdala. L’operazione ridusse la frequenza degli attacchi ma gli impedì, da quel momento in poi, di ricordare eventi recenti. Senza l’ippocampo, H.M. non era più in grado di trasferire nuovi ricordi nella memoria a lungo termine. Conservava alcuni tipi di ricordo: riusciva a imparare azioni automatiche connesse con il moto, come, per esempio, disegnare un cerchio o andare in bicicletta. Riusciva a ricordare avvenimenti accaduti prima dell’intervento chirurgico ma, come il protagonista di Memento, non era più in grado di ricordare con chi aveva appena parlato, e una volta spiegò la cosa dicendo «ogni giorno è isolato e solo».3
La seconda regione del cervello adolescente in cui Benes scoprì un processo di mielinizzazione attivo è il giro del cingolo, che ha a che fare con le emozioni. La parte posteriore del giro del cingolo invia le sue fibre al tronco dell’encefalo e al midollo spinale, che controllano alcune delle reazioni viscerali fondamentali come l’accelerazione del battito cardiaco, la sudorazione del palmo della mano e, forse, anche l’impulso di sbattere una porta.
In altre parole, la porzione di cervello che, come Benes ha scoperto, continua a essere mielinizzata durante l’adolescenza è parte integrante di un circuito che collega le reazioni veloci a pensieri del passato, appartenenti a un contesto preciso. Le scoperte della scienziata suscitano domande ovvie: il fatto che quest’area sia ancora in fase di costruzione in quel periodo potrebbe permetterci di spiegare alcuni degli scontri e delle strane reazioni tipici di quell’età? Il fatto che le connessioni tra reazioni viscerali e risposte razionali non siano ancora del tutto perfezionate potrebbe spiegare perché un quattordicenne che si è sempre comportato in modo educato perda il controllo quando gli viene chiesto, per esempio, di portare fuori la spazzatura?
«Le emozioni che percepiamo hanno in realtà due componenti distinte: una viscerale e una concettuale» mi ha spiegato Benes. «Quando vediamo un parente o un caro amico ce ne rallegriamo, perché associata alla sensazione di “gioia” c’è un’esperienza viscerale. Contemporaneamente vediamo quella persona e ce la raffiguriamo concettualmente come “una persona che ci piace”.
«Durante l’infanzia e la prima adolescenza, le esperienze emotive non sono perfettamente integrate con i processi cognitivi. Vale a dire che possiamo compiere un’azione impulsiva che sembra collegata solo marginalmente a ciò che invece sta accadendo.»
Benes ha scoperto che, di solito, i cervelli delle ragazze venivano mielinizzati più velocemente di quelli dei ragazzi. Questo fatto, ha ipotizzato, potrebbe essere un fattore causale della diversa vita sessuale tra maschi e femmine adolescenti. Potrebbe essere una delle ragioni per cui sembra spesso che le ragazze raggiungano la maturità emozionale prima dei ragazzi: «La mielinizzazione delle vie nervose e il graduale restringimento che ne consegue potrebbero spiegare l’acquisizione di modelli comportamentali sempre più maturi, il miglior controllo degli impulsi, la migliore concentrazione e attenzione da parte degli adolescenti».
«Per certi versi» ha aggiunto Benes «è davvero un peccato che vadano perse le caratteristiche di quell’età, non crede? Gli adolescenti sono estremamente esuberanti, ed è questo che ci incanta. Noi adulti tendiamo a tenerci a freno, almeno fino a quando nessuno ci vede. A volte mi spiace che non si riesca a conservarne un po’ di più.»
Attraverso la scissura interemisferica
In un angusto laboratorio di neuroscienze alla UCLA, un giovane ricercatore controlla contemporaneamente lo schermo di tre computer. A un click del mouse, alla sua destra si illumina uno schermo con il profilo di un encefalo. Nel centro dell’immagine è visibile un’ampia striscia orizzontale rosso acceso che pulsa. Lentamente, il colore incomincia a sbiadire. La mia guida, riassumendo i progetti di ricerca di quel laboratorio sul cervello degli adolescenti, spiega che il colore rosso rappresenta il tasso di crescita della mielina nel corpo calloso, un’ampia fascia fibrosa che collega l’emisfero cerebrale sinistro a quello destro.
L’immagine che appare sullo schermo è una sintesi ricavata da diversi organi umani viventi, scansionati ripetutamente durante il periodo di crescita che va dai sette ai sedici anni di età. Inizialmente il processo di mielinizzazione a carico del corpo calloso procede con grande rapidità, ma poi si assesta, e sullo schermo il rosso brillante si attenua. Grazie agli straordinari poteri della simulazione al computer, posso osservare i cervelli degli adolescenti mentre appianano le connessioni nervose, modellano le circonvoluzioni, crescono in modo più efficiente, veloce e preciso.
Il lavoro di quel laboratorio si focalizzava sul processo di mielinizzazione in atto in una parte del corpo calloso che collega fra loro aree cerebrali ancora più importanti: le regioni sinistra e destra dell’area di Wernicke, quella che ci permette di capire il linguaggio e di parlare in maniera comprensibile.
Il corpo calloso, con i suoi 200 milioni di fibre, attraversa la scissura interemisferica, un solco posto fra gli emisferi sinistro e destro, e promuove l’integrazione di quelle che, spesso, sono due immagini completamente diverse del mondo.
A volte, per esempio quando un individuo soffre di una grave forma di epilessia, i chirurghi recidono il corpo calloso per tenere a freno le crisi. Questi pazienti dal cervello diviso in due, come sono chiamati, si riprendono sorprendentemente bene dall’intervento, ma mostrano alcune stranezze che esemplificano alla perfezione la funzione del corpo calloso. (I bambini piccolissimi che possiedono un cervello incredibilmente flessibile possono subire l’asportazione chirurgica di un emisfero cerebrale intero, come misura terapeutica nei confronti di una grave forma di epilessia o addirittura di tumori, e ciononostante mostrare spesso un ridotto numero di scompensi gravi. Se, per esempio, si rimuove il loro emisfero sinistro sarà quello destro ad assumersi per lo più la funzione del linguaggio: un’impresa meravigliosa che i più anziani non possono compiere.)
Nei pazienti dal cervello diviso in due, gli emisferi destro e sinistro sono intatti, ma il ponte che li collega, il corpo calloso, è stato tagliato.4 Gli scienziati, e in particolare i due neuroscienziati Roger Sperry e Michael Gazzaniga, hanno registrato le stranezze conseguenti a questa interruzione servendosi di alcuni test classici. Supponiamo, per esempio, che un paziente con il cervello diviso in due sieda a un tavolo provvisto di un divisorio verticale, così che il suo occhio sinistro possa vedere solo gli oggetti a sinistra, e quello destro solo gli oggetti alla destra.
Se sul lato sinistro del divisorio viene fatta lampeggiare l’immagine di un cucchiaio il paziente la vedrà solamente con l’occhio sinistro, le cui connessioni nervose si dirigono verso l’emisfero cerebrale destro. Poiché questo possiede poche aree in grado di identificare le parole, probabilmente il soggetto riferirà di non vedere nulla. Siccome non è in grado di attribuire un nome a ciò che vede, il suo cervello decide che egli non vede nulla.
Ma se poi chiediamo a questa persona di usare la mano sinistra, che è controllata dall’emisfero cerebrale destro, e di scegliere da un insieme di oggetti posti sotto il tavolo quello che ha visto, accade qualcosa di interessante: il soggetto sceglierà immancabilmente il cucchiaio. L’emisfero destro, che non è riuscito ad attribuire un nome al cucchiaio, è però riuscito a riconoscerne la forma, una funzione più squisitamente tattile, e a estrarlo da sotto il tavolo.
È noto che i pazienti dal cervello diviso in due cercano di togliersi gli abiti con una mano e di indossarli con l’altra, o di prendere con una mano un libro che sembra interessante per riporlo poi quando l’altro emisfero, che non riesce a leggere, ha deciso che tenere in mano un libro è seccante. In poche parole: in assenza di un corpo calloso che connetta i due emisferi cerebrali, viene danneggiata o, nel peggiore dei casi perduta, la comunicazione cerebrale completa.5
Che cosa accade se, come suggeriva un breve filmato prodotto alla UCLA, in alcuni periodi dell’adolescenza le due regioni dell’area di Wernicke, una delle più importanti aree cerebrali preposte al linguaggio, non sono ancora del tutto connesse attraverso l’istmo vitale del corpo calloso?
Due giovani neuroscienziati, Paul Thompson e Elizabeth Sowell, hanno contribuito a fornire una spiegazione. Thompson, inglese di Leeds, capelli neri e aspetto giovanile, prima di conseguire il Ph.D. in matematica si è laureato in latino e greco a Oxford. Sowell, che è cresciuta nel Sud della California, si è imbattuta nelle scansioni cerebrali grazie a un precedente interesse per la psicologia, e ha conseguito il Ph.D. all’università della California a San Diego, un istituto assai rinomato per le neuroscienze. Entrambi avevano recentemente pubblicato alcuni articoli su riviste scientifiche, e per la presentazione sullo sviluppo del cervello adolescente a cui ho assistito alla UCLA si sono basati sui dati da loro acquisiti.
Nelle sue ricerche che hanno costituito la base per il filmato sulla mielinizzazione, Thompson ha scoperto che le fibre del corpo calloso che collegano l’area di Wernicke dell’emisfero cerebrale sinistro con la controparte nell’emisfero destro subivano un processo di mielinizzazione «selvaggia» prima di ridursi significativamente, mano a mano che i ragazzi passavano dalla preadolescenza all’adolescenza piena.6
Perché è così importante che all’interno dell’area di Wernicke le connessioni nervose aumentino? In passato gli scienziati credevano che nel cervello esistessero solo due regioni principali deputate al linguaggio. Una, l’area di Broca, situata più o meno vicino all’attaccatura dei capelli sopra le orecchie, fu scoperta da Paul Broca il quale nel 1861 eseguì un’autopsia su un uomo che, prima di morire, riusciva a dire solo «tan». Le persone in cui l’area di Broca è danneggiata hanno difficoltà a trovare e a pronunciare le parole. Nella mia famiglia abbiamo avuto prove tangibili sulla funzione di questa regione. Vicino all’area di Broca mio marito Richard presenta un piccolo groviglio di vasi sanguigni, un angioma cavernoso, che di quando in quando si attiva, permettendogli di pronunciare, per qualche minuto, soltanto un paio di parole buffe a caso, come lampada o automobile. Anche durante questi rari episodi, però, Richard è assolutamente in grado di comprendere il linguaggio. Se gli diciamo di sedersi, lo fa. Questo accade perché l’altra principale area del linguaggio di cui dispone, l’area di Wernicke, sta ancora funzionando in modo soddisfacente.
L’area di Wernicke, situata in una zona posteriore del cervello, fu scoperta nel 1876 da Karl Wernicke, mentre questi studiava un paziente che comprendeva il linguaggio ma emetteva soltanto suoni confusi. Gli scienziati sono ancora convinti che queste due regioni cerebrali, le aree di Broca e di Wernicke, abbiano un’importanza fondamentale per il linguaggio, ma nel corso degli ultimi anni hanno identificato circa un centinaio di altre aree cerebrali da cui dipendono diversi aspetti specifici, fra cui particolari regioni che riguardano i nomi dei vegetali o degli strumenti. Oggi si ritiene che anche le aree di Broca e di Wernicke siano suddivise in sottoregioni.7 Alcune parti dell’area di Wernicke, per esempio, sono preposte alla comprensione degli aspetti emozionali del linguaggio, come il tono, mentre altre ci aiutano con la sintassi, facendoci capire la differenza fra «Bob ama Sally» e «Sally ama Bob».
In generale si ritiene che la porzione sinistra dell’area di Wernicke, che è la parte dominante nella maggior parte dei destrimani, sia quella più importante per l’ascolto delle parole e la comprensione del loro significato. La sua regione speculare sul lato destro ci fornisce un quadro più generale, aiutandoci per quanto riguarda aspetti quali lo stile della prosa, l’organizzazione, o la capacità, dice Thompson, «di scrivere come Emily Brontë». Sebbene tali caratteristiche migliorino ovviamente con l’esercizio, l’idoneità a veicolare in modo armonico le informazioni fra queste due regioni viene considerata fondamentale per un esercizio regolare delle funzioni lessicali superiori. Thompson ritiene che il miglioramento sia legato alla mielinizzazione delle aree del linguaggio che si verifica nel cervello degli adolescenti.
«Un bambino di dieci anni che scrive un tema sulle sue attività estive potrebbe svolgerlo in uno stile assolutamente telegrafico, del tipo “Sono andato lì”» spiega Thompson. «Mentre nel pieno dell’adolescenza, è probabile che lo stesso tema venga svolto in modo più emozionale, più organizzato.»
I cambiamenti che a questa età coinvolgono il processo di mielinizzazione nel cervello non si limitano all’area di Wernicke e al linguaggio. Di recente Thompson ha scoperto che la porzione di corpo calloso che invia le sue fibre alla corteccia parietale, l’area cerebrale collegata al pensiero logico, incomincia a mielinizzarsi, a «irro...