Bella bionda e altre storie
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Bella bionda e altre storie

  1. 238 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Bella bionda e altre storie

Informazioni su questo libro

Il racconto di un viaggio a San Francisco in compagnia di una bella sconosciuta, il resoconto dei vagabondaggi per l'America insieme al fotografo Robert Frank, gli acuti giudizi su Shakespeare e Joyce, il ritratto veritiero e spontaneo della Beat Generation e una serie di sorprendenti suggerimenti sulla scrittura creativa in una raccolta di interessantissimi scritti, finora inediti in Italia, del celebre autore di Sulla strada.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804470786
eBook ISBN
9788852016738

SULLA STRADA

Bella bionda

Questo vecchio greco mi ricordava mio zio Nick, nato a Creta ma vissuto a Brooklyn per cinquant’anni. Se ne andava in giro per le grigie strade di Wolfe Brooklyn, basso, con un vestito grigio, un cappello grigio, un viso grigio, verso uno dei suoi tanti lavori, addetto all’ascensore, alle pulizie di qualche appartamento, fosse estate inverno e autunno, e alla fine non era che un uomo come tanti, un uomo comune solo che parlava di politica con accento greco, e quando se ne morí a me sembrò che in fondo Brooklyn non fosse cambiata, e mai lo sarebbe, ci sarebbe stato sempre uno strano e triste vecchio greco a percorrere le sue strade grigie. Me lo immaginavo quest’uomo incontrato sulla spiaggia mentre se andava in giro per le strade bianche di San Francisco, osserva le ragazze, “se ne vaga un po’ qua e un po’ là e guarda le cose per quello che sono” come dicono i cinesi, o persino “dandosi qualche colpetto sulla pancia” come dice Chuang-tse. «Mi piacciono queste conchiglie.» Mi fece vedere alcune conchiglie che aveva raccolto. «Ci faccio dei portacenere molto belli, sono pieno di portacenere a casa.»
«Cosa ne pensi? Pensi che tutto questo sia un sogno?»
«Cosa?»
«La vita.»
«Qui? Adesso? Cosa vuoi dire un sogno, siamo ben svegli, parliamo, vediamo, abbiamo occhi per vedere il mare e la sabbia e il cielo, se sognassimo non vedremmo tutto questo.»
«Come fai a sapere che non stiamo sognando?»
«Ma guarda i miei occhi! Sono aperti, no?» Mi lanciò un’occhiata mentre lavavo i piatti e mettevo a posto le cose.
«Penso che proverò a fare un po’ di autostop verso San Francisco, oppure salto su un treno merci, ma non voglio aspettare sino a questa sera.»
«Certo che voi siete sempre di corsa, eh? Ih ih ih» e rise proprio come avrebbe riso il vecchio zio Nick, le mani allacciate dietro la schiena, un po’ curvo in avanti, in piedi sulle piccole fosse che i suoi piedi avevano scavato, scalciando di tanto in tanto qualche ciuffo d’erba misto a sabbia. In quei suoi occhi grigioverde simili in tutto e per tutto alle acque grigioverdi del mare io vidi la spalancata eternità non solo della Grecia ma anche dell’America e di me stesso.
«Beh, mi sa che è ora di andare» dico io e mi infilo il sacco in spalla.
«Io cammino sino alla spiaggia.» Molto prima che avessimo finito di parlare vidi la ragazza saltare fuori da un gruppo di cespugli, piena di vergogna e lenta nei movimenti, e prendere in direzione dello stabilimento balneare, poi fu il turno del ragazzo, un cinque minuti dopo. A pensarci mi mise tristezza non avere una ragazza da incontrare in mezzo ai cespugli, tra l’eccitante sabbia in mezzo alle foglie, starsene sdraiati là a scambiarsi baci all’ultimo respiro, cercare a tentoni, stringere spalle. A me e al greco non rimase che sospirare mentre li osservavamo sgattaiolare via. «Sono stato giovane anch’io» disse. Allo stabilimento ci salutammo con una stretta di mano e io attraversai il binario della ferrovia per arrivare sino al negozio all’angolo dove comprare un po’ di vino: la radio rilanciava ad alto volume una partita di football e fu in quell’attimo che il sole se ne venne fuori e io vidi tutti i campi di grano dell’America Football Time estendersi sino all’East Coast.
«Accidenti,» mi dissi «comincerò a fare l’autostop da quella autostrada» (101) vedendo il bagliore rapido delle auto che passavano. Mi guardai indietro e vidi che il vecchio greco stava ancora vagando ai bordi dell’acqua, esattamente in quel punto mistico di cui dice Whitman, là dove il mare bacia la spiaggia nell’infinito, sospirato bacio del tempo. Proprio come i tre vagabondi nel New Mexico di Lordsburg, mi parve che quel suo muoversi nel vuoto fosse molto piú triste del mio, quelli se ne andavano a est verso sonni senza speranza avvolti in tela di sacco tra i campi dell’Alabama per finire tra i gruppi di forzati che si trascinano incatenati nel bel mezzo del Texas, lui camminava su e giú per la spiaggia, da solo, scalciando la sabbia… ma io sapevo bene che in realtà la mia stessa direzione, puntavo verso San Francisco per ritrovare la banda o qualunque cosa mi aspettasse da quelle parti, non aveva nulla di piú e nulla di meno di quella sua condizione umile e indicibile. Il piccolo negozio aveva un albero davanti, ombra, e lí lasciai il mio sacco prima di entrare a comprarmi un gelato da dieci cent con il bastoncino e mettermi a sedere, mangiando, in attesa, un po’ di riposo, poi mi pettinai i capelli con l’acqua di un rubinetto che stava lí fuori e filai diritto verso l’autostrada pronto per l’autostop. Camminai un po’ in direzione della luce e là mi piazzai, il sacco ai miei piedi, per un buona mezzoretta durante la quale mi sembrò di impazzire e cominciai a imprecare tra me e me «Mai, l’autostop non lo farò mai piú, diventa sempre peggio ogni stramaledetto anno che passa». Nel frattempo non perdevo d’occhio i binari che passavano a un isolato di lí in direzione del mare nella speranza che sbucasse un qualche treno merci per saltarci sopra. Me ne stavo lí e davvero ero fuori di testa, il pollice ripiegato, infuriato a tal punto (me lo ricordo bene) che gli occhi si erano stretti in una fessura, la bocca serrata in una morsa di rabbia, quando ecco che una Lincoln nuova di zecca color cannella con alla guida una bellissima e giovane bionda vestita del solo costume da bagno, mi passa accanto in un flash, sterza all’improvviso sulla destra e si ferma sul ciglio della strada per farmi salire. Roba da non credersi. Sulle prime pensai che volesse delle informazioni sulla strada. Presi il sacco e cominciai a correre. Aprii lo sportello e guardai dentro, sorridente, per ringraziarla.
Lei disse «Salta su. Sai guidare?». Avevo davanti a me una bionda mozzafiato sui ventidue anni vestita con un costume da bagno bianco e immacolato, i piedi scalzi e una piccola cavigliera attorno alla caviglia destra. Il costume da bagno era senza spalline e la scollatura profonda. Se ne stava là come una modella a galleggiare con il suo costume bianco in quel mare color cannella. Infatti era una modella. Occhi verdi, nata in Texas, stava tornando verso la città.
«Certo che so guidare ma non ho la patente.»
«Ma sai fare, no?»
«Certo, come tutti.»
«Beh, io sono stanca morta, è dal Texas che guido senza dormire neanche un po’, sono stata a trovare la mia famiglia da quelle parti» (eravamo già lanciati sulla strada a piú di cento chilometri e guidava davvero bene senza nessuna esitazione, proprio come se al volante ci fosse un uomo). «Senti ragazzo,» mi disse «non ti immagini quanto mi farei un po’ di Benzedrine o qualcosa del genere per tenermi sveglia. Mi sa che presto ti devo passare il volante.»
«Senti ma fin dove si va?»
«Fino a dove stai pensando anche tu, credo… San Francisco.»
«Wow, grande.» (E a me stesso: chi ci crederà mai a questa storia? Ho avuto un passaggio da un bella bionda praticamente nuda se non fosse per il costume da bagno, che cosa si aspetta da me come prossima mossa?)
«Del Benzedrine dici, eh?» dissi. «Ne ho nella borsa, sono appena tornato dal Messico, ne ho a palate.»
«Roba da matti!» strillò. «Cacciala fuori, ne voglio un po’ subito.»
«Ti fai tutta la strada in un fiato appena questa roba comincia a fare effetto. È roba messicana.»
«Messicana o non messicana, dammene un po’. Subito.»
«Ok.» Il volto in un ghigno cominciai a rovesciare la borsa, saltò fuori di tutto, i miei quattro stracci sporchi e strappati, roba un po’ eccentrica, cianfrusaglie di ogni tipo oltre a qualche rimasuglio di cibo avvolto nella carta, tutto bello sparpagliato per la macchina e io che mi dannavo per cercare questi tubetti di Benny che accidenti a loro non mi riusciva proprio di trovare. Cominciai ad andare in panico. Rovistai in tutte le tasche, davanti, dietro. Niente. «Accidenti, ma dove sono finite?» Continuavo a pensare alla puzza che esalava dai miei vestiti vecchi e non lavati, magari le dava fastidio, non vedevo l’ora che saltasse fuori la roba per impacchettare tutto di nuovo e non pensarci piú.
«Non ti preoccupare, amico, fai con calma» mi disse continuando a fissare la strada e io, in una pausa di quell’affannosa ricerca, lascio scivolare l’occhio sulla cavigliera, una vista devastante come quella di Cleopatra che avanza in cima alla poppa dorata di una nave, il piedino piccolo bianco come la neve sul pedale dell’acceleratore, roba da far diventare matto un uomo. Continuavo a chiedermi per quale ragione mi avesse preso su.
Alla fine glielo chiesi. «Come mai hai fatto salire un tipo come me? Mai visto una tipa come te che prende su un uomo.»
«Te l’ho detto che avevo bisogno di qualcuno che mi desse il cambio alla guida per arrivare sino a San Francisco, e ho pensato, questo sa guidare, davi quell’impressione…»
«Ma dove diavolo sono quelle pastiglie?»
«Con calma.»
«Eccole!»
«Grande! Mi fermo a quella stazione di rifornimento, ci compriamo una coca e le buttiamo giú all’istante.» Fermò l’auto alla stazione di rifornimento che tra le altre cose aveva anche una saletta interna per mangiare. Saltò fuori dall’auto a piedi nudi strizzata in quel suo costume da bagno bianco dalla scollatura profonda e il benzinaio la guardò con gli occhi spalancati mentre lei chiedeva il pieno e io entravo al bar per comprare due bottiglie che sarebbero servite allo scopo, belle fredde. Al mio ritorno era già in macchina, il resto in mano, pronta a scattare. Bella, bionda e selvaggia. Diedi un’occhiata al benzinaio per cercare di capire cosa pensasse. Mi fissava pieno di invidia. Mi sentivo quasi in obbligo di dirgli come stavano le cose veramente.
«Tieni» e le allungai i tubetti di pastiglie, lei ne prese subito due.
«Ehi, non sono un po’ troppe? Schizzi fuori di testa all’istante!… meglio prenderne una e mezza, oppure anche una sola. Io ne prendo una.»
«Non ne voglio una e mezza, ne voglio due.»
«Ma ne hai già prese altre volte?»
«Certo, amico mio, e ben altro anche.»
«Anche marijuana?»
«E come no? Anche marijuana… conosco tutti quelli che suonano a L.A. e anche in città, tutte le volte che arrivo al Ramador, Shelly Manne mi vede smette di suonare il pezzo che sta suonando con la band e attacca la mia canzone preferita – una melodia riarrangiata in chiave bop.»
«E come fa?»
«Ah! Fa cosí: bup bup bi duudlya dap.»
«Ehi, ma sai anche cantare!»
«Amico mio, metto piede nella sala, loro si mettono a suonare quel pezzo, e tutti sanno che sono tornata.» Prese le sue due pastiglie, le tracannò in un fiato e fece filare l’auto oltre i centoventi mentre incrociavamo la campagna oltre Santa Barbara, il traffico sempre meno fitto, la strada piú larga e dritta. «Una bella tirata sino a San Francisco, saranno 640 chilometri o giú di lí. Spero proprio che queste pastiglie siano buone, mi piacerebbe arrivarci senza soste.»
«Beh, se ti stanchi, posso guidare anch’io» dissi cosí ma dentro di me speravo proprio di non guidare, l’auto era nuova di zecca e troppo bella. Era una Lincoln del ’55 e a quel tempo eravamo nel mese di ottobre del cinquantacinque. Bella, affusolata con il suo muso basso, tutta lucida. Veloce, ricca. Mi distesi un po’, le pastiglie nel palmo della mano e giú che le ingoiai anch’io con la coca e cominciai a sentirmi bene. Fu in quell’istante, all’improvviso, che compresi che San Francisco sarebbe stata là ad attendermi, splendente con le braccia spalancate nella notte, le sue mille luci accese e niente fatica, dolori vari, niente treni merci da prendere al volo, niente sudate facendo l’autostop sulla strada, dritti, d’un fiato, sparati a fionda per otto ore. E saremmo stati là. Continuava a guidare e ogni tanto superava qualche auto. Accese la radio cercando del jazz, trovò solo rock and roll, non cambiò stazione, alzò il volume. Certo che a osservarla guidare, lo sguardo fisso davanti a sé, privo di espressione, nessun segno o gesto di sdolcinatezza, nemmeno intuibile telepaticamente, nessuno l’avrebbe mai presa per una ragazza carina in costume da bagno. Ero senza parole. Anche se nel fondo del mio cervello che sempre tramava continuavo a chiedermi senza sosta (in maniera poco pulita) se non mi avesse preso su perché segretamente era una maniaca del sesso e non aspettava altro che io dicessi «Parcheggiamo la macchina da qualche parte e facciamolo!» ma c’era qualcosa di cosí inviolabilmente grave nel suo modo di fare che mi impediva di dire una cosa del genere, o forse ancora piú di quello poté un’improvvisa timidezza (mentre le sante pastiglie cominciavano a fare effetto), che mi trattenne dall’uscirmene con una proposta davvero inopportuna e insultante dato che l’avevo appena conosciuta. La cosa certa però è che quell’idea continuava a ballarmi in testa e non aveva nessuna intenzione di mollarmi. Temevo l’idea di voltarmi e guardarla e solo di tanto in tanto facevo scivolare lo sguardo sulla cavigliera e quel piccolo piedino bianco giglio appoggiato sul pedale dell’acceleratore. E parlavamo parlavamo. Alla fine il Benzedrine cominciò a picchiare duro dopo Los Alamos e il discorso prese una piega depressa, era piú che altro lei che conduceva le danze. Era stata una modella, ora voleva diventare attrice, e cosí via, un classico per tutte le bionde californiane, ma a un certo punto la bloccai e dissi «Per quanto mi riguarda non voglio niente… penso che la vita sia sofferenza, un sogno fatto di sofferenza e tutto ciò che desidero è riposo e starmene da qualche parte, meglio ancora se tra i boschi, sotto un albero, magari vivere in una baracca.»
«E non hai intenzione di sposarti?»
«Mi sono già sposato due volte e ne ho avuto abbastanza.»
«Beh, dovresti provare la terza volta, forse potrebbe funzionare.»
«Non è quello il problema. Per prima cosa c’è che non voglio avere figli, vengono al mondo solo per morire.»
«Ai miei, fossi in te, una cosa del genere non la direi, giú in Texas hanno messo al mondo otto figli, loro, e io sono stata la seconda, hanno avuto una vita lunga e bella e tutti i figli sono grandi ognuno a modo proprio, sai cos’ha fatto il piú piccolo, mio fratello, quando sono arrivata a casa dopo un anno che non lo vedevo? È cresciuto mica poco, è diventato alto. Beh, ha messo su un disco di rock and roll e ha voluto che ballassi con lui. Che risate ci siamo fatti, nella vecchia cara fattoria dei miei, la settimana scorsa. Sono proprio contenta di essere andata.»
«Mi sa che da ragazzina ti sei divertita mica poco laggiú nel Texas, eh? Feste, balli, ragazzini che ti giravano attorno.»
«Lo puoi dire, a volte penso che questa mia vita da modella e attrice non vale la metà del tempo passato dalle mie parti.»
«Ti ci vedo nelle lunghe notti texane con la nonna che leggeva pagine della Bibbia, giusto?»
«Sí è cosí, e il mangiare quant’era buono, adesso ho degli appuntamenti con degli uomini nei ristoranti ma…»
«Appuntamenti… ehi ma non eri sposata?»
«Non ancora, ma lo sarò presto.»
«Non capisco cosa gira in testa a una bella ragazza come te, davvero.»
Queste parole la fecero girare di scatto. Mi fissò con quei suoi occhi verdi dolci e sinceri.
«Cosa vorresti dire?»
«Non lo so… quello che penso sia giusto per me l’ho detto, per te, boh, forse per una bella ragazza come te quello che stai facendo è la cosa migliore.» Non è con questo che le volessi dire vai in convento, ormai aveva vissuto tutto e poi era troppo bella e comunque non avrebbe cambiato la propria vita di una virgola. Semplicemente non gliene fregava nulla. In un niente superammo Los Alamos in direzione nord e ci trovammo incolonnati nel traffico poco fuori Santa Maria. Fermò l’auto a una stazione di servizio e disse:
«Non è che per caso hai un po’ di soldi spicci?»
«Piú o meno un dollaro e mezzo.»
«Mmh… ho bisogno di fare una telefonata interurbana a South City per dire al mio uomo che sarò là verso le otto o giú di lí.»
«Se è il tuo uomo, chiama a carico del destinatario.»
«Adesso stai parlando proprio come un uomo» disse e trotterellò a piedi nudi sino alla cabina telefonica che stava lungo il vialetto. Entrò e chiamò con dieci cent. Nel frattempo io ero uscito dalla macchina per stiracchiarmi un po’, mi sentivo su di giri, suonato, ero pallido e sudavo, un po’ eccitato per via del Benzedrine e mentre la osservavo dentro alla cabina telefonica vidi che anche lei si sentiva cosí. Notai che masticava una gomma quasi con violenza. Ottenne la sua interurbana e cominciò a parlare e allora io presi su un’arancia da terra e per sgranchirmi i muscoli giocai al lanciatore sulla base. Mi sentivo bene. Un vento fresco soffiava attraverso Santa Maria, portandosi dietro il profumo del mare. Le palme erano mosse da un vento piú fresco rispetto a quello di Barbara e L.A. Questa sera avrei ritrovato nuovamente le fresche foschie di Frisco! Dopo tutti questi anni! Finí la telefonata e r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Pensando a Jack: una prefazione
  4. BELLA BIONDA E ALTRE STORIE
  5. Sulla strada
  6. Sulla scrittura
  7. Osservazioni
  8. Sullo sport
  9. Le ultime parole
  10. Citycitycity
  11. Copyright