La scala di Dioniso
eBook - ePub

La scala di Dioniso

  1. 490 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La scala di Dioniso

Informazioni su questo libro

È il 31 dicembre 1899. L'alba del nuovo secolo si macchia di sangue.
Una strage efferata - la prima di una lunga e misteriosa catena di delitti - si consuma alla Mignatta, "la sanguisuga", il promiscuo distretto suburbano che ospita ladri, taglieggiatori e tutti i miserabili che la città si lascia alle spalle, senza voltarsi, ma anche i ricchi azionisti del grande zuccherificio, chiusi nelle loro ville dorate e ostili alle nascenti idee socialiste che si diffondono tra gli operai. Ed è proprio contro le mogli degli azionisti che si accanisce l'assassino, incidendo nelle loro carni gli indecifrabili segni della sua rivalsa.
Feroce come un vendicatore, implacabile come un dio, è il primo serial killer del Novecento. In questa polveriera pronta a esplodere, il giovane ispettore Milton Germinal compie la sua discesa all'inferno. Trasferito alla Mignatta a causa della sua dipendenza da oppio ed eroina, spetta a lui decifrare la firma del mostro, i suoi macabri riti. Annaspando in questo incubo, dove nulla è ciò che sembra, Germinal incontra personaggi ambigui e carismatici, deformi e seducenti: il pallido ed etereo Stigle, il chimico dello zuccherificio; il dottor Noverre, l'inquietante direttore dell'Istituto delle Malformazioni; l'itterico Sciron e poi c'è lei, Ignés dai magnifici occhi grigi, la Regina delle Nebbie... e l'orrore a tratti si stempera in una storia d'amore che lo può salvare o condurre alla perdizione.
In un'atmosfera cupa e morbosa, appassionata e sensuale, mistica e feroce, Luca Di Fulvio conduce, gradino dopo gradino, in cima alla scala di Dioniso, la scala di quel dio visionario dalla quale si domina la fine dell'Ottocento e l'inizio di un Novecento che racchiude in sé tutti i germi della nostra attuale malattia.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La scala di Dioniso di Luca Di Fulvio in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804556206
eBook ISBN
9788852015373

PARTE SECONDA

XV

Ormai era il giallo il colore predominante della sua figura. Gialli i capelli crespi e spettinati a ciuffi irregolari tanto sulla testa che più giù, dove si scompigliavano in basette così grandi da sembrare dei posticci. E gli occhi, distanti, fissi, privi di emozione e comprensione per ciò che avvistavano, erano anch’essi quasi gialli. La pelle stessa – tesa sul viso lungo e scavato, come se fosse roso dall’interno – era itterica e sembrava cuoio conciato in un locale cupo e umido. Un giallo di fosforo si diffondeva anche al resto del corpo e faceva venire alla mente quei mostri degli abissi progettati dalla natura per fronteggiare il buio pesto di luoghi inesplorabili ad altri. I denti, lunghi e del giallo che ha l’avorio vecchio e maltrattato, sorgevano dalle gengive come frastagliate formazioni calcaree in una grotta, consumati irregolarmente ai lati. Le dita erano fragili e scarne come le zampe di un ragno albino e si muovevano con un’inquietante autonomia le une dalle altre, in continuazione, brulicando. Ciò nonostante Gabriel Sciron conservava ancora l’eco di una passata bellezza e nobiltà di tratti – nel naso sottile e adunco in particolare, e in generale nei modi scostanti e alteri – che doveva averne fatto un uomo affascinante.
Il vecchio Sciron guardò il ragazzo disteso sul tavolo, nudo. Aveva quasi tredici anni, un’espressione bolsa da campagnolo ma nello stesso tempo ancora pura da bambino. Aveva spalle ampie, un torace forte e ben strutturato, bicipiti sviluppati. In generale tutta la sua costituzione faceva intuire che aveva mangiato a sufficienza sin da quando era nato. La statura era superiore alla media dei suoi coetanei e pari a quella di molti adulti.
«Non sentirai dolore» promise Sciron al ragazzo, sul cui volto comparivano delle piccole gocce di sudore mentre gli occhi gli schizzavano a destra e a sinistra, in cerca di cosa non sapeva neppure lui. Poi il vecchio prese una siringa e iniettò nel braccio del ragazzo il liquido che aveva preventivamente preparato. Lo guardò dritto nelle pupille e lentamente, in un sussurro, cominciò a contare.
«Cento e uno... cento e due... cento e tre... cento e quattro...»
Il ragazzo sorrise, dopo la paura. Sorrise e rilassò le palpebre, come abbandonandosi. Allora Sciron, con delicatezza, con le sue lunghe dita da ragno, gliele sollevò e lo costrinse a guardarlo, ancora per qualche istante. E ancora contò, con la sua voce ipnotica.
«Cento e cinque... cento e sei... cento e sette... cento e otto...»
La sera prima Sciron era piegato in due, il volto contratto, una mano premuta sullo stomaco. Quando si era raddrizzato sembrava che gli fosse stato succhiato via tutto il sangue dal volto, sofferente e inciso da rughe profonde. Gli occhi bui erano più infossati che mai e la linea nera, leggera, di trucco – come un attore di teatro – si era stinta appena e gocciolava giù dalle ciglia rade.
“La mia ulcera” aveva spiegato alla donna che gli stava di fronte e aveva sorriso, mostrando la fila superiore di denti avorio. “Le piace ricordarmi la sua presenza. Come l’amo ingoiato dal pesce scampato al pescatore.”
Poi Sciron, allungando una mano verso la donna per dirle di aspettare, aveva aperto l’anta di una credenza e ne aveva tratto una bottiglia di cristallo dal collo lungo e con un tappo sfaccettato, anch’esso di puro cristallo, che catturava la luce povera della lanterna e la restituiva trasformata in un arcobaleno. Aveva versato il liquido bianco in un calice così trasparente da credere che non esistesse.
“Latte” aveva detto alzando il calice verso la donna, come in un brindisi. “La mia ulcera è ghiotta di latte. Permettete che la sfami, signora... Come avete detto di chiamarvi?” e aveva bevuto una lunga sorsata.
“Lavaronne” aveva risposto la donna.
“E vostro marito... che fa?”
“Il signor Lavaronne e io abbiamo l’unica rispettabile locanda qui nella Mignatta e i nostri affari procedono bene...” La donna aveva esitato. “Possiamo pagare, dottore.”
“Dovrò vedere il ragazzo” aveva ripreso Sciron dandole le spalle. “Devo constatare che abbia una tempra robusta per superare il trattamento. Tutta la mia scienza non può dargli la forza. Quella, la deve avere di sua natura, mi capite?”
“È forte, dottore” si era precipitata a dire la signora Lavaronne. “È forte come un bue il mio ragazzo, ve l’assicuro.”
“Con tutto il rispetto per il vostro amore di madre...” aveva scandito Sciron “lasciate che sia io a giudicare. La forza di cui parlo si misura con la scienza, non con l’amore.”
“Ma lui è forte...” aveva piagnucolato la donna. “È forte, vi dico... è forte...”
Sciron le si era accostato, lentamente. E lentamente s’era abbassato finché il suo viso rugoso, prosciugato dall’ulcera che lo divorava, era stato all’altezza di quello della donna. Aveva annusato nell’aria l’odore della cucina e quello della lavanderia, odore di sugo e di sapone. “Voi vorreste che lo operassi anche senza sapere se è forte?” le aveva sussurrato in un orecchio.
“Io vorrei che mio figlio...” La donna s’era interrotta. “Dottore, voi non sapete che cos’è per una madre un figlio...” ed era scoppiata in lacrime.
“Quanti anni ha il ragazzo?”
“Tredici a marzo.” La donna aveva alzato il capo e aveva guardato supplichevole gli occhi gialli del dottor Sciron. “Ma ne dimostra venti, quanto a forza... se non fosse per...”
“Sapete il prezzo?”
“No, ma...”
“È alto.”
“Non importa.”
“Direbbe così anche il signor Lavaronne?”
“Lui più di me. Ci si è ammalato per colpa di quella...”
“Pagherà, dunque?”
“Pagheremo.”
Sciron si era girato di scatto. “Vogliamo fare per domani?” aveva domandato.
La donna si era portata una mano al petto e aveva spalancato gli occhi. La bocca aperta. “Domani?” aveva ripetuto con un’intonazione bolsa.
“Non avete più premura?”
“Oh, sì che ne ho. Per l’amor di Dio, sì...” s’era affrettata a giustificarsi la signora Lavaronne. Poi si era afflosciata. “Volete sapere come si chiama il mio ragazzo?” aveva domandato con una voce trasformata, da bambina. “Si chiama Jack.”
“Arrivederci, signora” aveva detto Sciron. “A domani.”
La donna era uscita senza salutare, vinta dal suo stesso dolore.
«Cento e ventuno... cento e ventidue... cento e ventitré... cento e ventiquattro...» contava ancora Sciron. «E... cento e venticinque. Dormi... dormi, mio piccolo Jack.»
Sciron guardò la parte inferiore del corpo del ragazzo. La coscia destra era forte, tornita, il quadricipite era gonfio e tendeva i legamenti del ginocchio, rendendo salda l’articolazione; il polpaccio era rigonfio come una fiasca e si assottigliava in una caviglia robusta che mostrava l’impalcatura scheletrica massiccia, poco nobile ma certo affidabile, di un animale da soma. Prese uno spillone e lo conficcò senza tanti complimenti nella coscia sinistra del ragazzo. Una coscia magra con un grosso ginocchio. Un polpaccio quasi atrofizzato in fondo al quale pendeva un grande piede, sproporzionato all’arto. Una gamba più corta dell’altra, della quale non era neanche lontana parente. L’ago penetrò a fondo, il corpo del ragazzo ebbe una leggera contrazione.
«Qualcosa sentirai...» disse Sciron e poi si voltò verso un angolo buio del grande carrozzone che usava sia per spostarsi che per dormire che per operare.
«Falla entrare» disse verso l’angolo buio.
E dal nero emerse una figura imponente. L’Uomo Meccanico, a passi legnosi, si avviò verso la porta e l’aprì. Guardò la donna con un’espressione impassibilmente feroce.
«Entrate, signora Lavaronne» fece Sciron. «Ecco il vostro ragazzo» proseguì mentre la donna saliva sul carrozzone e si avvicinava con uno sguardo carico d’apprensione al figlio, semincosciente. «È pronto per il trattamento.»
La donna si portò una mano alla bocca.
«I soldi?» le chiese Sciron.
La donna cavò dalla manica un tintinnante sacchetto di cuoio e glielo porse. Il vecchio sciolse il laccio e rovesciò le monete su una piccola scrivania. Contò distrattamente il denaro.
«Fai più luce» ordinò Sciron all’Uomo Meccanico.
Il gigante accese un paio di lanterne, già pronte ai due lati del tavolo. Dietro ogni lanterna due fogli di metallo specchiato amplificarono la luce concentrandola sul tavolo operatorio. Il ragazzo giaceva immobile, nudo. Con un sorriso ebete dipinto sulle labbra.
Sciron prese una matita grassa e fece una serie di segni lungo la coscia atrofizzata. E un’altra serie a metà del polpaccio. «Non basterà una sola applicazione e il successo totale non è garantito» disse alla donna. «E comunque la lunghezza dell’osso rimarrà quella. Per rimediare potrei dotarlo di una protesi. Come il mio straordinario Uomo Meccanico. Ma nel caso avrò bisogno di esigere un nuovo pagamento.»
La donna guardava inorridita l’Uomo Meccanico. «Ma mio figlio...» balbettò la donna. «Io... io non vorrei che mio figlio... che diventasse... una macchina» e scoppiò a piangere.
Sciron rise, di quella sua risata maligna e sprezzante. «Vostro figlio, al massimo, avrà una gamba meccanica, signora Lavaronne» disse. Poi guardò l’Uomo Meccanico e gli fece un cenno col capo.
Il gigante prese il ragazzo tra le mani di metallo e lo mise a sedere. Le gambe, quella sana e quella atrofizzata, penzolavano nell’aria, a un palmo da terra.
«Jack, mi senti? Voglio che tu muova la gamba destra» disse Sciron.
Il ragazzo irrigidì i muscoli forti della coscia sana e sollevò la gamba.
«Bene, Jack. E adesso fai la stessa cosa con la sinistra» ordinò ancora.
Il ragazzo mosse appena la gamba atrofizzata. La madre soffocò un singhiozzo disperato.
«Portami l’attrezzatura» ordinò Sciron all’Uomo Meccanico.
Il gigante di carne e ottone aprì una cassa e ne trasse una grande bobina di rame, collegata a un complicato congegno di dischi, pulegge, cilindri e carrucole che terminavano in una manovella. Dalla bobina partivano dei cavi, anch’essi di rame, ricoperti di stoffa cerata, che terminavano con dei morsetti. L’Uomo Meccanico depose l’attrezzatura sul tavolo, accanto al ragazzo. Poi prese una scatola più piccola, di ciliegio, e la porse a Sciron. Il vecchio la scoperchiò e, a uno a uno – mentre la donna fremeva, coprendosi gli occhi –, conficcò nella coscia e nel polpaccio del ragazzo tanti aghi quanti erano i segni che aveva tracciato con la matita grassa. Poi applicò a ogni ago uno dei cavi metallici rivestiti di tela cerata, fissandoli con i morsetti. Infine fece un cenno al suo disumano assistente.
L’Uomo Meccanico cominciò a girare la manovella, con foga legnosa, accumulando energia elettrica nella bobina.
«E ora guardate» fece Sciron alla donna. «Muovi la gamba sinistra, Jack» ordinò e contemporaneamente abbassò una leva del congegno.
La gamba atrofizzata del ragazzo scattò in alto, percorsa dalle stimolazioni elettriche, e il polpaccio si contrasse spingendo in avanti il piede. Sciron staccò il contatto e la gamba tornò nella posizione originaria. Lo attivò ancora e la gamba riprese vita, scalciando elettrizzata.
La signora Lavaronne s’inginocchiò e si fece il segno della croce. «Che Dio vi benedica, dottore!» esclamò, con gli occhi colmi di lacrime, ma di gioia questa volta, e poi, presa la mano del suo benefattore, la baciò con entusiasmo. «Che Dio vi benedica!»
«Per ora è un movimento indotto» disse Sciron. «Ma il ragazzo sembra rispondere bene alle cure. Avrà bisogno di svariate applicazioni prima che si possa dire che abbiamo avuto successo. La mia ginnastica elettrica, seppur straordinaria, non produce miracoli.»
«Ma questo è già un miracolo!» fece la donna alzandosi in piedi e abbracciando Sciron. «La muove! Muove la gamba!»
Sciron si svincolò dalla stretta con un gesto infastidito. «Tornate a prenderlo fra un paio d’ore e poi riportatemelo domani. Per quel che riguarda il pagamento di oggi...» e Sciron si voltò verso le monete che scintillavano sulla piccola scrivania «copre il costo di dieci sedute. Se ne dovessero servire altre... siete in grado di provvedere?»
«Certo, dottore. Qualunque cosa purché il mio Jack possa camminare senza trascinarsela dietro, quella gamba.»
Sciron le voltò le spalle. La donna sentì la porta aprirsi. L’Uomo Meccanico, con la sua impenetrabile maschera di pelle e ottone, la invitava a uscire. La donna lanciò un ultimo sguardo al figlio e se ne andò.
Appena soli Sciron, dopo aver imbevuto un panno di cloroformio, lo pigiò sul volto del ragazzo che, addormentandosi, roteò gli occhi. Allora Sciron si sedette con un’espressione stanca su una poltrona rivestita di velluto.
Dalla porta sul retro del carrozzone comparve Ignés. Aveva il volto teso e un’espressione irrequieta. Guardò le monete sul piano della scrivania. «L’hai spolpata per bene.»
«L’ignoranza della gente è la migliore alleata degli scienziati» rise Sciron.
«L’ho vista...» disse Ignés con una nota nervosa. «Sembra una brava donna...»
«Abbassa le luci, mi danno noia quanto le tue prediche ipocrite» disse Sciron con una voce piatta. «E aiutalo a sbaraccare quell’inutile congegno.»
Ignés si avvicinò al ragazzo, staccò i morsetti dei cavi, sfilò gli aghi dalla coscia e dal polpaccio e li ripose nella scatola di ciliegio. Poi arrotolò i cavi e si voltò verso l’Uomo Meccanico, che stava slacciandosi l’ampia giacca di panno pesante, verde cupo. «Aspetta» gli disse sgarbata. «Quello è troppo pesante per me» e indicò la bobina di rame e il congegno di dischi, pulegge, cilindri e carrucole. «Mettilo a posto tu.»
«Le luci» ripeté Sciron.
Ignés abbassò le luci e il carrozzone sprofondò nella penombra. Il ragazzo era steso sul tavolo, immobile, assente.
Sciron la guardò con occhi maligni. «Per oggi ho organizzato due spettacoli privati... mia Regina delle Nebbie» le disse. «Uno è tra poco e l’altro stanotte. Fai la brava» e rise.
La mano di Ignés andò a una tasca del vestito. Strinse il bottone di madreperla di Germinal. «Sei solo un vecchio porco.»
Sciron rise di nuovo. Quasi divertito. «È questo che mi merito per averti salvato da tuo padre?»
«Mi hai portata via per farmi la stessa cosa che mi faceva lui.»
«Ma io non ero tuo padre» sorrise Sciron.
Ignés lo guardò. Uno sguardo duro, crudele. «No, ma già allora eri più vecchio di lui.»
Sciron sembrò accusare il colpo. «Sei contenta che Stigle sia tornato con noi? Lui almeno è giovane...»
«Sono stanca della tua sporcizia» disse Ignés, stringendo forte il bottone di madreperla.
«È della tua che non puoi liberarti» replicò Sciron.
L’uomo che aveva trovato quel che rimaneva del cadavere di Juffridi, si leggeva nei verbali, era il direttore del reparto fermentazione dello zuccherificio e Germinal aveva deciso di andarlo a trovare per avere informazioni meno impersonali di quelle che poteva ricavare da un rapporto tanto generico. A volte nei ricordi dei testimoni si nascondeva un indizio.
Germinal uscì dal commissariato e accese la sua motocicletta sotto lo sguardo incuriosito del piantone. La sera prima, di nuovo, aveva assunto una dose di cloralio.
Nel tempo che ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prologo
  5. Parte Prima
  6. Parte Seconda
  7. Parte Terza
  8. I Sedici Scalini
  9. Ringraziamenti