
- 84 pagine
- Italian
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Nessuno scrive al colonnello
Informazioni su questo libro
Considerata la prosa più riuscita ed equilibrata - per ritmo e misura, per densità e asciuttezza di stile - del García Márquez prima maniera, Nessuno scrive al colonnello costituisce un prezioso tassello di quel ciclo di Macondo che troverà la sua grande sintesi in Cent'anni di solitudine. Il vecchio militare in attesa da quindici anni di una pensione che non arriva mai, e che sacrifica perfino i magri pasti per allevare un gallo da combattimento da cui si aspetta scommesse e guadagni, appartiene alla galleria di ritratti maschili di cui è ricco l'universo di Macondo. La sua semplicità ne fa uno tra i personaggi più riusciti dello scrittore.
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Informazioni
Nessuno scrive al colonnello
Il colonnello aprì il barattolo del caffè e si accorse che ne era rimasto appena un cucchiaino. Tolse il pentolino dal focolare, rovesciò metà dell’acqua sul pavimento di terra battuta, e con un coltello raschiò l’interno del barattolo sul pentolino finché si distaccarono gli ultimi rimasugli di polvere di caffè misti a ruggine di latta.
Mentre aspettava che l’infusione bollisse, seduto vicino al focolare di mattoni in un atteggiamento di fiduciosa e innocente attesa, il colonnello provò la sensazione che nelle sue viscere nascessero funghi e muffosità velenose. Era ottobre. Una mattina difficile da cavar fuori, anche per un uomo come lui che era sopravvissuto a tante mattine come quella. Per cinquantasei anni – da quando era finita l’ultima guerra civile – il colonnello non aveva fatto altro che aspettare. Ottobre era una delle poche cose che arrivavano.
Sua moglie alzò la zanzariera quando lo vide entrare nella stanza col caffè. Quella notte aveva sofferto una crisi di asma e ora era prostrata in uno stato di sopore. Ma si sollevò per prendere la tazza.
«E tu?» disse.
«L’ho già preso» mentì il colonnello. «Ne era rimasta ancora una cucchiaiata grande.»
In quel momento cominciarono i rintocchi. Il colonnello si era dimenticato del funerale. Mentre sua moglie beveva il caffè, staccò l’amaca da un’estremità e l’arrotolò nell’altra, dietro la porta. La donna pensò al morto.
«È nato nel 1922» disse. «Esattamente un mese dopo nostro figlio. Il sette aprile.»
Continuò a bere il caffè nelle pause della sua respirazione rantolosa. Era una donna costruita soltanto di cartilagini bianche su una spina dorsale marcata e inflessibile. I disturbi respiratori la costringevano a far domande affermando. Quando finì il caffè stava ancora pensando al morto.
«Deve essere orribile essere sepolto in ottobre» disse. Ma suo marito non le fece caso. Aprì la finestra. Ottobre si era insediato nel patio. Osservando la vegetazione che prorompeva in verdi intensi, le minuscole cupole dei vermi nel fango, il colonnello sentì di nuovo il mese funesto negli intestini.
«Ho le ossa umide» disse.
«È l’inverno» ribatté la donna. «Da quando è cominciato a piovere ti sto dicendo di dormire senza toglierti le calze.»
«È da una settimana che dormo con le calze.»
Pioveva adagio ma ininterrottamente. Il colonnello avrebbe preferito avvolgersi in una coperta di lana e rimettersi nell’amaca. Ma l’insistenza delle campane fesse gli ricordò il funerale. «È ottobre» mormorò, e si mosse verso il centro della stanza. Soltanto allora si ricordò del gallo legato al piede del letto. Era un gallo da combattimento.
Dopo aver portato la tazza in cucina andò nel salotto a caricare una pendola in cornice di legno intagliato. A differenza della stanza da letto, troppo angusta per la respirazione di una asmatica, il salotto era ampio, con quattro sedie a dondolo di vimini attorno a un tavolino con un tappeto e un gatto di gesso. Sulla parete di fronte all’orologio, c’era il quadro di una donna avvolta in veli, circondata da amorini in una barca carica di rose.
Erano le sette e venti quando terminò di caricare l’orologio. Poi portò il gallo in cucina, lo legò a un sostegno del focolare, cambiò l’acqua alla bacinella e vi mise vicino un pugno di granturco. Un gruppo di bambini entrò dallo steccato sconnesso. Si sedettero intorno al gallo, a contemplarlo in silenzio.
«Smettetela di guardare quell’animale» disse il colonnello. «I galli si sciupano, a furia di guardarli.»
I bambini non si scomposero. Uno di loro attaccò sull’armonica gli accordi di una canzone di moda. «Oggi non si suona» gli disse il colonnello. «C’è un morto in paese.» Il bambino si infilò lo strumento nella tasca dei pantaloni e il colonnello andò nella stanza a vestirsi per il funerale.
Il vestito bianco non era stirato a causa dell’asma della donna. Di modo che il colonnello dovette decidersi per il vecchio vestito di panno nero che dopo il suo matrimonio usava soltanto in speciali occasioni. Gli costò fatica trovarlo in fondo al baule, avvolto nei giornali e preservato contro le tarme con palline di naftalina. Rigida sul letto la donna continuava a pensare al morto.
«Deve aver già incontrato Agustín» disse. «Può darsi che non gli racconti la situazione in cui ci siamo trovati dopo la sua morte.»
«A quest’ora staranno discutendo di galli» disse il colonnello.
Trovò nel baule un ombrello enorme e antico. Lo aveva vinto la donna a una tombola politica destinata a raccogliere fondi per il partito del colonnello. Quella stessa sera avevano assistito a uno spettacolo all’aperto che non era stato interrotto malgrado la pioggia. Il colonnello, sua moglie e suo figlio Agustín – che allora aveva otto anni – avevano assistito allo spettacolo fino alla fine, seduti sotto l’ombrello. Ora Agustín era morto e la fodera di raso lucido era stata distrutta dalle tarme.
«Guarda che cosa è rimasto del nostro ombrello da pagliaccio di circo» disse il colonnello con una sua antica frase. Spalancò sul capo un misterioso sistema di stecche metalliche. «Ora serve soltanto per contare le stelle.»
Sorrise. Ma la donna non si prese la briga di guardare l’ombrello. «Tutto è così» mormorò. «Stiamo marcendo vivi.» E chiuse gli occhi per pensare più intensamente al morto.
Dopo essersi fatto la barba a tastoni – dato che lo specchio mancava da molto tempo – il colonnello si vestì in silenzio. I pantaloni, attillati alle cosce quasi quanto le mutande lunghe, chiusi alle caviglie con fettucce scorrevoli, si sostenevano alla vita con due linguette dello stesso panno che passavano tra due fibbie dorate cucite all’altezza delle reni. Non usava cintura. La camicia color cartone antico, dura come cartone, si chiudeva con un bottone di rame che serviva al tempo stesso per allacciare il colletto inamidato. Ma il colletto inamidato era rotto e così il colonnello rinunciò alla cravatta.
Faceva ogni cosa come se fosse un’azione trascendentale. Le ossa delle sue mani erano foderate di cute lucida e tesa, coperta di chiazze brune come la pelle del collo. Prima di infilarsi gli stivaletti di vernice grattò via il fango incrostato nelle cuciture. Sua moglie lo vide in quell’istante, vestito come il giorno del suo matrimonio. Soltanto allora si accorse come era invecchiato suo marito.
«Ti sei messo come per un avvenimento» disse.
«Questo funerale è un avvenimento» disse il colonnello. «È il primo morto di morte naturale da molti anni a questa parte.»
Smise di piovere solo dopo le nove. Il colonnello stava per uscire quando sua moglie lo tirò per la manica della giacca.
«Pettinati» disse.
Cercò di dominare con un pettine di corno le setole color acciaio. Ma fu uno sforzo inutile.
«Devo sembrare un pappagallo» disse.
La moglie lo esaminò. Pensò di no. Il colonnello non sembrava un pappagallo. Era un uomo arido, con ossa solide articolate a bulloni e cacciavite. Considerata la vivacità dei suoi occhi non sembrava conservato nella formaldeide.
«Così stai bene» ammise la donna, e aggiunse mentre suo marito stava uscendo:
«Chiedi al dottore se in questa casa c’è troppo sole, secondo lui.»
Abitavano in fondo al paese, in una casa col tetto di palma con muri di calce stonacata. L’aria era ancora umida, ma non pioveva. Il colonnello scese verso la piazza lungo un vicolo di case addossate l’una all’altra. Quando imboccò la strada principale rabbrividì. Fin dove giungeva il suo sguardo il paese era tappezzato di fiori. Sedute sulla soglia delle case le donne in nero aspettavano il funerale.
In piazza cominciò di nuovo a piovigginare. Il proprietario della sala da biliardo vide il colonnello dalla porta del suo locale e gli gridò spalancando le braccia:
«Colonnello, aspetti e le presto un ombrello.»
Il colonnello rispose senza girare la testa.
«Grazie, va bene così.»
Il funerale non era ancora uscito. Gli uomini – vestiti di bianco con cravatta nera – chiacchieravano sulla porta sotto gli ombrelli. Uno di loro scorse il colonnello che saltava sulle pozzanghere della piazza.
«Si ripari qui, compare» gridò.
Fece posto sotto l’ombrello.
«Grazie, compare» disse il colonnello.
Ma non accettò l’invito. Entrò subito nella casa per le condoglianze alla madre del morto. La prima cosa che sentì fu l’odore di molti fiori diversi. Poi cominciò il caldo. Il colonnello cercò di farsi strada tra la folla che stipava la camera da letto. Ma qualcuno gli mise una mano sulla spalla, lo spinse in fondo alla stanza lungo una galleria di visi perplessi fino al luogo dove si trovavano – profonde e dilatate – le fosse nasali del morto.
Lì c’era la madre, che scacciava mosche dal feretro con un ventaglio di palme intrecciate. Altre donne vestite di nero contemplavano il cadavere con la stessa espressione con la quale si guarda la corrente di un fiume. Improvvisamente sorse una voce in fondo alla stanza. Il colonnello spinse da parte una donna, si trovò davanti il profilo della madre del morto e le mise una mano sulla spalla. Strinse i denti.
«Le mie sentite condoglianze» disse.
La donna non girò il capo. Aprì la bocca ed emise un ululato. Il colonnello sussultò. Si sentì spinto contro il cadavere da una massa deforme che proruppe in un vibrante urlio. Cercò una presa con le mani ma non trovò il muro. Trovò invece altri corpi. Qualcuno disse vicino al suo orecchio, adagio, con voce assai delicata: «Piano, colonnello». Girò la testa e si trovò davanti il morto. Ma non lo riconobbe perché era duro e dinamico e sembrava sconcertato quanto lui, avvolto in panni bianchi e con la cornetta tra le mani. Quando alzò la testa per boccheggiare al di sopra delle grida vide la cassa chiusa sballottata verso la porta, sotto un dirupo di fiori che si sminuzzavano contro le pareti. Sudò. Gli dolevano le articolazioni. Un momento dopo capì di trovarsi in strada perché la pioggia gli ferì le palpebre e qualcuno lo afferrò per il braccio e gli disse:
«In fretta, compare, l...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione di Dario Puccini
- Nessuno scrive al colonnello
- Copyright