La luce è come l'acqua
eBook - ePub

La luce è come l'acqua

e altri racconti

  1. 300 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La luce è come l'acqua

e altri racconti

Informazioni su questo libro

Un'antologia "a tema" che Gabriel García Márquez ha pensato per i giovani lettori, commentata da suggestive illustrazioni, in grado di offrire ai ragazzi e agli adulti la possibilità di incontrarsi da pari a pari, frequentando insieme il territorio della grande letteratura.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804508663
eBook ISBN
9788852016059

L’estate felice della signora Forbes

Ritratto di un bambino
Nel pomeriggio, di ritorno a casa, trovammo un enorme serpente marino inchiodato per il collo sullo stipite della porta, ed era nero e fosforescente e sembrava un maleficio di zingari, con gli occhi ancora vivi e i denti a saracco nelle mascelle spalancate. Io dovevo avere allora nove anni, e provai un terrore così intenso dinanzi a quell’apparizione da delirio, che mi si bloccò la voce. Ma mio fratello, che aveva due anni meno di me, mollò le bombole di ossigeno, le maschere e le pinne e scappò via con un grido di terrore. La signora Forbes lo udì fin dalla tortuosa scala di pietre che si arrampicava su per gli scogli dall’imbarcadero fino a casa, e ci raggiunse, ansimante e livida, ma le bastò vedere l’animale crocefisso sulla porta per capire la causa del nostro orrore. Lei diceva sempre che quando due bambini sono insieme, sono tutt’e due colpevoli di quel che ognuno fa separatamente, sicché ci sgridò entrambi per le grida di mio fratello, e continuò a rimproverarci per la nostra mancanza di controllo. Parlò in tedesco, e non in inglese, come prevedeva il suo contratto di istitutrice, forse perché pure lei era spaventata e rifiutava di ammetterlo. Ma non appena ebbe ripreso fiato tornò al suo inglese sassoso e alla sua ossessione pedagogica.
— È una muraena helena — ci disse — così chiamata perché fu un animale sacro per gli antichi greci.
Oreste, il ragazzo del luogo che ci insegnava a nuotare in profondità, comparve d’improvviso dietro gli arbusti di capperi. Portava la maschera da subacqueo sulla fronte, un costume da bagno minuscolo e una cintura di cuoio con sei coltelli, di forme e grandezze diverse, perché non concepiva altro modo di cacciare sott’acqua che lottando corpo a corpo con gli animali. Aveva una ventina di anni, passava più tempo nei fondali marini che sulla terra ferma e lui stesso sembrava un animale del mare col corpo sempre impiastricciato di olio da motore. Vedendolo per la prima volta la signora Forbes aveva detto ai miei genitori che era impossibile concepire una creatura umana più bella. Tuttavia, la sua bellezza non lo esentava dal rigore: anche lui dovette subire una reprimenda in italiano per avere appeso la murena alla porta, senza altra spiegazione possibile che quella di spaventare i bambini. Poi, la signora Forbes ordinò che la staccasse col rispetto dovuto a una creatura mitica e ci mandò a vestirci per la cena.
Lo facemmo subito e tentando di non commettere un solo errore, perché dopo due settimane sotto il regime della signora Forbes avevamo imparato che nulla era più difficile che vivere. Mentre ci facevamo la doccia nel bagno, in penombra, mi resi conto che mio fratello stava sempre pensando alla murena. — Aveva occhi da persona — mi disse. Io ero d’accordo, ma gli feci credere il contrario, e continuai a cambiare argomento finché non ebbi finito di lavarmi. Ma quando uscii dalla doccia mi chiese di fermarmi per fargli compagnia.
— È ancora giorno — gli dissi.
Aprii le tende. Era pieno agosto, e attraverso la finestra si vedevano l’ardente pianura lunare fino all’altra parte dell’isola, e il sole fermo nel cielo.
— Non è per questo — disse mio fratello. — È che ho paura di avere paura.
Comunque, quando arrivammo a tavola sembrava tranquillo, e aveva fatto le cose con tanta cura che meritò un apprezzamento speciale della signora Forbes, e altri due punti nel conto del suo profitto settimanale. Quanto a me, invece, mi tolse due punti dei cinque che avevo già guadagnato, perché all’ultimo momento mi ero lasciato trascinare dalla fretta ed ero arrivato in sala da pranzo col respiro affannato. Ogni cinquanta punti davano diritto a una doppia razione di dolce, ma nessuno di noi due era riuscito ad andare oltre i quindici punti. Era un peccato, davvero, perché non trovammo mai più un pudding delizioso come quello della signora Forbes.
Prima di cominciare la cena pregavamo in piedi davanti ai piatti vuoti. La signora Forbes non era cattolica, ma il suo contratto stabiliva che ci facesse pregare sei volte al giorno, e aveva imparato le nostre preghiere per esservi ligia. Poi ci sedevamo tutt’e tre, trattenendo il respiro mentre lei controllava persino il dettaglio più infimo della nostra condotta, e solo quando tutto le sembrava perfetto faceva risuonare il campanello. Allora entrava Fulvia Flaminea, la cuoca, con l’eterna pastina in brodo di quell’estate aborrita.
All’inizio, quando eravamo soli con i nostri genitori, i pasti erano una festa. Fulvia Flaminea ci serviva chiocciando intorno alla tavola, con una vocazione al disordine che rallegrava la vita, e infine si sedeva con noi e finiva per mangiare un po’ dai piatti di tutti. Ma dopo che la signora Forbes si era fatta carico del nostro destino ci serviva in un silenzio così buio, che potevamo udire il borboglio della minestra mentre bolliva nella pentola. Cenavamo con la spina dorsale appoggiata alla spalliera della seggiola, masticando dieci volte con una mascella e dieci volte con l’altra, senza scostare lo sguardo dalla ferrea e languida donna autunnale, che recitava a memoria una lezione di urbanità. Era come la messa della domenica, ma senza il conforto della gente che cantava.
Il giorno in cui trovammo la murena appesa alla porta, la signora Forbes ci parlò dei doveri verso la patria. Fulvia Flaminea, quasi fluttuando nell’aria rarefatta dalla voce, ci servì dopo la minestra un filetto alla brace di una carne nivea, con un odore squisito. Io, che già allora preferivo il pesce a qualsiasi altra cosa da mangiare della terra o del cielo, mi ritrovai col cuore blandito da quel ricordo della nostra casa di Guacamayal. Ma mio fratello respinse il piatto senza assaggiarlo.
I due ragazzi parlano in un angolo della stanza
— Non mi piace — disse.
La signora Forbes interruppe la lezione.
— Non puoi saperlo — gli disse — non l’hai neppure assaggiato.
Rivolse alla cuoca uno sguardo di allarme, ma ormai era troppo tardi.
— La murena è il pesce più saporito del mondo, figlio mio — gli disse Fulvia Flaminea. — Assaggialo e vedrai.
La signora Forbes non si turbò. Ci raccontò, col suo metodo inclemente, che la murena era un cibo da re nell’antichità, e che i guerrieri si contendevano il suo fiele perché infondeva un coraggio sovrannaturale. Poi ci ripeté, come tante altre volte in così poco tempo, che il buon gusto non è una virtù congenita, e che neppure lo si insegna a una qualche età, ma che si impone sin dall’infanzia. Sicché non c’era alcun motivo valido per non mangiare. Io, che avevo assaggiato la murena prima di sapere cosa fosse, rimasi per sempre con quella contraddizione: aveva un sapore terso, sebbene un po’ malinconico, ma l’immagine del serpente trafitto sullo stipite era più incalzante dell’appetito. Mio fratello fece uno sforzo supremo col primo boccone, ma non riuscì a tollerarlo: vomitò.
— Va’ in bagno — gli disse la signora Forbes senza turbarsi — lavati per bene e torna a mangiare.
Provai una grande angoscia per lui, perché sapevo quanto gli costava attraversare tutta la casa alle prime ombre e rimanere da solo in bagno il tempo necessario per lavarsi. Ma tornò molto presto, con un’altra camicia pulita, pallido e appena scosso da un tremito recondito, e superò benissimo l’esame severo della sua nettezza. Allora la signora Forbes tranciò un pezzo della murena, e diede ordine di continuare. Io inghiottii un secondo boccone sforzandomi molto. Mio fratello, invece, non prese neppure le posate.
— Non la mangerò — disse.
La sua risoluzione era così evidente, che la signora Forbes la schivò.
— Va bene — disse — ma non mangerai il dolce.
Il sollievo di mio fratello mi infuse il suo coraggio. Incrociai le posate sul piatto, così come la signora Forbes ci aveva insegnato che bisognava fare per finire, e dissi:
— Neppure io mangerò il dolce.
— E neppure vedrete le televisione — replicò lei.
— E neppure vedremo la televisione — dissi.
La signora Forbes posò il tovagliolo sulla tavola, e tutt’e tre ci alzammo a pregare. Poi ci spedì in camera nostra, con l’avvertenza che dovevamo addormentarci nello stesso tempo che lei impiegava per finir di mangiare. Tutti i nostri punti buoni furono annullati, e solo a partire da venti avremmo di nuovo beneficiato dei suoi pasticcini alla crema, delle sue torte alla vaniglia, delle sue squisite crostate di prugne, d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La luce è come l’acqua
  4. L’ultimo viaggio della nave fantasma
  5. La siesta del martedì
  6. L’estate felice della signora Forbes
  7. Un signore molto vecchio con certe ali enormi
  8. La luce è come l’acqua
  9. Copyright