Errori reversibili
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Errori reversibili

  1. 476 pagine
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Errori reversibili

Informazioni su questo libro

Il tempo sembra ormai giungere al termine per Rommy Gandolph, condannato a morte per un triplice e feroce delitto commesso dieci anni prima. Ma alla vigilia dell'esecuzione nuovi indizi convincono Arthur Raven, l'avvocato della difesa, a riaprire il caso. Inizia così una revisione processuale che si rivelerà più sconvolgente del previsto.
A essere risucchiati nelle spire di questa vicenda non sono solo Rommy e Arthur ma anche l'allora giudice del caso, l'affascinante Gillian Sullivan, l'avvocato dell'accusa e il detective che aveva indagato su Rommy. Ognuno sembra avere un buon motivo per sperare che la condanna venga eseguita. Ma Rommy è davvero colpevole?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804526032
eBook ISBN
9788852014543

Parte terza

LA DECISIONE

25

28 giugno 2001

È stato lui

Arthur cercò di scappare da solo dal sontuoso ufficio degli Stern, ma Muriel e Larry arrivarono mentre aspettava l’ascensore, e restarono tutti e tre in un silenzio neutrale davanti alla porta di ottone lavorato. Alla fine Muriel disse qualcosa a proposito di un’istanza di non luogo a procedere da presentare alla Corte d’appello, ma Arthur non era in grado di reagire e neanche di ascoltare. Quando arrivò l’ascensore li lasciò scendere da soli.
Pochi minuti dopo, arrivò all’ingresso delle Towers, dove una tettoia di vetro e acciaio sopra il portone offriva protezione da un improvviso temporale estivo. Arthur guardò fuori, poi uscì sotto la pioggia e percorse più di un isolato prima di accorgersi che era bagnato fradicio. Si infilò nel portone di un altro palazzo di Center City e poi, dopo una breve pausa di agitata riflessione, si ributtò nel temporale. Doveva tornare in ufficio. Doveva dirlo a Pamela. A un certo punto si rese conto che aveva fame, era stanco e doveva andare in bagno. Eppure, anche sotto il diluvio riusciva a pensare soltanto alla risposta finale della signora Carriere. “Il suo cliente. Il signor Gandolph.” Masticò quelle parole fino a ridurle a un bolo greve e indigeribile, finché non si sentì costretto ad accettarle e a trovarsi un nuovo riparo. Poi, dopo pochi minuti, ripartì di gran carriera, mosso dalla disperazione, come se in un altro posto le parole della teste avessero potuto assumere un diverso significato.
Fino a quel giorno, nella sua mente Rommy era esclusivamente un innocente triste e afflitto e – cosa ancora più importante – lui stesso era il valoroso campione di una causa giusta e miracolosa. Se Rommy era colpevole, il mondo di Arthur cambiava, diventava più cupo, un posto in cui si era in qualche modo convinto di non dover più abitare. La vita sarebbe di nuovo diventata soltanto lavoro e dovere.
Alla fine, si ritrovò di fronte a Morton. Ormai disperato, entrò con l’idea di trovare una toilette, ma una volta dentro pensò a Gillian, ispirato da una visione periferica dei suoi capelli rossi. Eppure quando arrivò al banco dei cosmetici lei non c’era. Era certo che fosse stata un’impressione illusoria, ma lei si alzò all’improvviso, dopo aver riposto dei prodotti nei cassetti sotto il banco.
«Arthur!» Gillian fece un passo indietro, portandosi una lunga mano al colletto.
«È stato lui» disse Arthur. «Ho pensato che dovevo dirtelo. Muriel lo farà sapere a tutti. Lo sentirai anche tu. Ma è stato davvero lui.»
«Chi?»
«Il mio cliente, Rommy. È colpevole.»
Gillian aprì una porticina e uscì da dietro il banco. Prese Arthur per un gomito, come avrebbe potuto fare con un bambino sperduto. «Come sarebbe a dire, è colpevole?»
Arthur le raccontò la deposizione. «Al momento non riesco a ragionare con lucidità» le disse. «Mi sento come se il mio cervello fosse passato nel microonde o qualcosa del genere. Dov’è il bagno?»
Gillian disse a una collega che andava in pausa, poi gli indicò la strada, offrendosi di tenergli la borsa. Al piano interrato c’era una piccola caffetteria dove lo avrebbe aspettato.
Pochi minuti dopo, sperando di calmarsi, Arthur si osservò allo specchio sopra il lavandino. Aveva i capelli appiccicati alla testa e, in quell’intensa luce al neon, sembravano inchiostro liquido. Il suo abito grigio era così bagnato sulle spalle da sembrare nero. Non c’era da meravigliarsi se Gillian vedendolo aveva sobbalzato. Sembrava un vagabondo appena caduto in un rigagnolo.
Una volta uscito, chiamò rapidamente Pamela, assicurandole che le notizie erano proprio pessime come sembravano, poi scese con la scala mobile fino al piccolo bar che Morton aveva appena inaugurato nel piano interrato come ulteriore esca per trattenere i clienti. Oggi l’espediente funzionava alla grande. Anche se l’ora del pranzo era passata da un pezzo, la maggior parte dei tavolini bianchi erano occupati da signore in attesa che il temporale finisse, con i sacchetti degli acquisti posati accanto alle ginocchia.
Poco più avanti c’era Gillian, che gli dava le spalle e stava finendo di fumare una sigaretta. Se non altro, vederla attutì un minimo lo shock provocato dalle parole della signora Carriere. Anche se cominciava ad avere molto freddo, ed era molto confuso, la vista di Gillian continuava a emozionarlo ed eccitarlo. Ma non poteva fingere che lei non avesse in parte raggiunto lo scopo che si era prefissa con le sue rivelazioni l’ultima volta che si erano visti. Era l’immagine di un’adolescente demoniaca, che si bruciava la carne con una sigaretta accesa, che lo perseguitava. La vedeva, così pallida e sottile, che spingeva la punta incandescente contro la parte interna del braccio, mantenendo un’espressione solenne nonostante il dolore e l’acre sentore della propria carne fumante.
Quell’immagine gli si presentò di nuovo, e lo bloccò. Sapeva di essere una persona che si nutriva di sogni irrealizzabili. Ma al perpetuo adolescente si sovrapponeva l’uomo che era diventato dopo i trent’anni, non più bambino, per niente stupido, una persona che cominciava a imparare dai propri errori invece di continuare a ripeterli all’infinito, una persona che ormai non soltanto riusciva a controllare le proprie voglie, ma addirittura a superarle. Negli ultimi dieci giorni, quando si prendeva un attimo di pausa dal lavoro e si metteva a guardare il fiume, aveva pensato spesso a Gillian. Sì, aveva il cuore gonfio, sì, analizzava le conversazioni con lei finché non erano più perfettamente integre nella memoria, a furia di intrecciarsi con le brillanti repliche immaginarie che gli suggeriva il motore rombante della sua fantasia. Ma poi il suo batticuore si calmava al pensiero degli autentici rischi che correva. Conosceva bene il desiderio, era meno esperto in cuori spezzati.
Il suo divorzio era stato devastante, ma aveva sposato Marjya soprattutto perché lo voleva lei. Era molto carina e intelligente. E Arthur era sempre eccitatissimo, senza tregua. Ma non c’era stato nemmeno un giorno, nei circa quaranta che avevano vissuto insieme, in cui avesse avuto la sensazione di capire anche solo qualcosa di lei. Non riusciva a insegnarle a chiudere la porta del bagno, né ad apprezzare il cibo americano. Chi avrebbe potuto metterlo in guardia che sarebbe stato difficilissimo farsi capire da una persona che era cresciuta senza televisione, e che aveva soltanto una vaga idea di chi fosse Richard Nixon, figuriamoci Farrah Fawcett o il cubo di Rubik. Ogni istante era stato una sorpresa, specialmente l’ultimo, quando lei gli aveva detto che lo lasciava per un tipo di campagna, uno che riparava tetti, niente meno.
Come poteva abbandonarlo, le aveva chiesto lui, e interrompere la loro vita?
“Questo?” aveva risposto lei nel suo accento straniero. “Questo è niente.”
Era stato terribile. Ma Gillian, una donna a cui lui aspirava con tanta esaltazione, e non importava se era pura follia, rappresentava un pericolo assai maggiore di Marjya. In questo mondo, lui non aveva quasi niente. Ma c’era il suo Io, la sua anima fragile. Una persona distrutta e compromessa come Gillian, che era stata talmente vinta dai suoi demoni da cedere all’alcolismo e al crimine e all’amore incestuoso e Dio sa cos’altro, una persona del genere era imprevedibile quanto Susan. Aveva detto a Gillian che non aveva paura di lei. Era stato un gesto coraggioso e sconsiderato. In seguito, aveva infatti capito che non era del tutto vero. Sul finire del pomeriggio, quando si allontanava dalla scrivania e permetteva alla sua mente di inseguire i raggi di luce che si riflettevano in scaglie arancione sul fiume, il pensiero di Gillian si accompagnava alla fredda consapevolezza che l’amore poteva essere una catastrofe.
Lì fermo al piano interrato di Morton, ripensò ancora una volta a tutto questo. Poi avanzò verso di lei. Poteva essere soltanto se stesso, e quindi inseguire la possibilità, per quanto minima, di stare insieme alla persona sognata, e superare l’incalcolabile distanza fra quello che esisteva soltanto nella sua mente e la realtà. Come il cibo, la salute e una casa, era convinto che fosse una cosa a cui tutti avevano diritto.
Mentre aspettava Arthur, Gillian fumò parecchie sigarette seduta al tavolino bianco. Di recente si era limitata a meno di un pacchetto al giorno, ma ormai aveva capito che gli incontri con Arthur l’agitavano molto. Questi scossoni sembravano anche in qualche modo salutari, ma aveva comunque bisogno di fortificarsi con la nicotina. Aveva smesso di fumare durante l’università, e aveva ricominciato soltanto in ospedale, durante il periodo della disintossicazione. Nel corso delle riunioni di ex tossici, tutti avevano fra le dita una sigaretta. Sapeva di aver barattato una dipendenza con un’altra quasi altrettanto letale, e meno divertente, ma queste erano le condizioni di una vita che andava vissuta giorno per giorno.
Vide Arthur che tornava, perso nei suoi pensieri. Aveva una cosa importante da dirgli e non aspettò neanche che si fosse seduto. «Non devi rinunciare, Arthur.»
Lui crollò su una sedia, a bocca aperta.
«Non ho nessun diritto di darti un consiglio» disse Gillian «ma lascia che lo faccia. Hai fatto un ottimo lavoro. Se c’era una testimonianza nuova, potrebbero essercene altre.»
Da principio, mentre aspettava Arthur, era preoccupata per lui. Dopo essere stata a casa sua, dopo aver conosciuto Susan, dopo averlo ascoltato parlare con adorazione del padre, desiderava che per lui si accendesse qualche luce abbagliante e meravigliosa, perché, molto semplicemente, se lo meritava. Perdere il caso Gandolph sarebbe stata una batosta ingiusta.
Ma quello che l’aveva costretta ad affrontare una Gillian che tanto spesso scioccava anche lei era l’amara delusione personale che aveva provato sentendo la notizia. Chiunque abbia lavorato al tribunale penale sa che in generale gli imputati meritano le loro punizioni. Mentre stava lì seduta a fumare senza interruzione, mentre la cenere si accumulava nel piccolo portacenere di carta argentata sul tavolino, si era però gradualmente – e tranquillamente – accorta che aveva desiderato la liberazione di Rommy Gandolph. Avrebbe voluto che il giudizio che aveva dato su di lui fosse, come tanti altri suoi giudizi in quel periodo, classificato come errore. E rettificato. Perché quel giorno aveva finalmente capito: lei equiparava la possibilità di una nuova vita per Rommy Gandolph alla propria rinascita e si era affidata ad Arthur, quel campione di sincerità, come a un cavaliere errante. Perché Arthur era così: affidabile e virtuoso. Forse la cosa più sorprendente era che lei non fosse disposta ad arrendersi. Non aveva alcun dover di spiegare le sue ragioni, ma restava ben decisa a rincuorarlo.
«Il guaio è» disse Arthur «che io credo a Genevieve. Non voleva affatto dirlo.»
«Ma hai creduto anche a Erno. Adesso pensi che abbia mentito?» A quanto pareva, questo Arthur non lo aveva considerato. «Hai bisogno di tempo per pensare, Arthur. Di parlare con il tuo cliente. E con Erno.»
«Giusto.»
«Non rinunciare.» Lei si protese in avanti e gli afferrò entrambe le mani. Questa volta sorrise e lui, un po’ infantilmente, reagì al suo incoraggiamento. Annuì, poi si strinse le braccia al petto. Aveva un freddo bestiale, disse, e doveva andare a casa a cambiarsi. Lei gli credette senza difficoltà: le sue mani sembravano di marmo.
«Perdonami, Arthur, ma guardandoti mi chiedo se tu sia in grado di guidare. Faccio troppo la nonna?»
«Probabilmente no. Prenderò un taxi.»
«Saresti molto fortunato a trovarne uno con questa pioggia. Dov’è la tua macchina? Posso accompagnarti io. Ho fatto un po’ di pratica con la station wagon di Duffy. E ho ancora da fare sia la pausa pranzo sia quella per la cena.»
Arthur sembrava confuso. Gillian chiamò il suo capo, Ralph, da un telefono interno, e lui le disse di andare pure. Con quel temporale, i clienti erano pochi.
«Vieni, Arthur» disse lei. «Preoccuparti per la tua splendida macchina nelle mie mani ti impedirà di pensare ai tuoi guai.»
Il parcheggio privato di Arthur era a mezzo isolato da lì, e ci arrivarono passando sotto una serie di porticati che collegavano i diversi edifici. Si trovava sotto uno dei nuovi grattacieli, e dava su Lower River, un sottopassaggio che scorreva sotto River Drive. I nuovi arrivati in città non capivano che senso avesse quella strada, e Gillian, che da dieci anni non frequentava quella zona, non era molto più preparata. Lower River era stato progettato per non far transitare i camion nelle strade di Center City, consentendo loro di arrivare da un altro accesso alla zona di scarico dei grandi edifici. Funzionava allo scopo, ma la strada era tortuosa e l’ambiente surreale. Le luci ai vapori di sodio erano accese ventiquattr’ore al giorno, e nel corso degli anni i vagabondi lo avevano eletto a loro principale rifugio. I cartoni e i materassi luridi e senza molle su cui dormivano erano impilati nelle cavità tra i contrafforti di cemento che sostenevano River Drive. La pioggia sgocciolava dalla strada superiore, mentre uomini luridi coperti di stracci si aggiravano tra i piloni, simili, nel migliore dei casi, a personaggi di I Miserabili se non di The Gates of Hell.
In macchina, Arthur tornò alla catastrofe di quel giorno. «Ti senti vendicata?» le chiese.
«Per niente, Arthur» rispose lei con una certa veemenza. «Affatto.»
«Davvero? Dopo le mazzate che ti hanno rifilato i giornali, pensavo che te la fossi presa.»
«In questo caso sei stato coraggioso a venire a dirmelo. Sinceramente, credevo che non ti saresti più fatto sentire, Arthur.»
Gillian guidava con la cautela delle persone di una certa età, agitando il volante e frenando troppo spesso, e fissava l’asfalto lucente con la stessa attenzione che avrebbe riservato a un campo minato. Ciò nonostante, quando passarono vicino a un lampione, si permise un’occhiata ad Arthur. Dato il suo attuale stato d’animo confuso, lui ci mise un po’ a capire che lei alludeva a quello che gli aveva detto a proposito del fratello nella loro ultima conversazione.
«Casomai il contrario» disse allora. «Pensavo di essere stato io a offenderti con quello che ti ho detto prima che scendessi dalla macchina.»
«Oh, penso che tu avessi perfettamente ragione, Arthur. Probabilmente stavo cercando di modificare la tua opinione eccessivamente lusinghiera nei miei confronti.»
«Tu fai sempre in modo che nessuno abbia la minima possibilità con te. Lo sai, vero?»
In un attimo Gillian si rese conto che stava stringendo fortissimo sia la mascella sia il volante.
«Me l’hanno già detto» rispose. «Questo non significa che i miei avvertimenti non siano giustificati, Arthur. Anzi, probabilmente li legittima.»
«Brava» disse lui. «Li conosco i tuoi avvertimenti. Ma io non ho mai immaginato che tu fossi perfetta, Gillian. Solo affascinante.»
«Affascinante? In che senso?» Lei sentì che Arthur la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Scott Turow
  3. Errori reversibili
  4. Parte prima - L’INDAGINE
  5. Parte seconda - LA CAUSA
  6. Parte terza - LA DECISIONE
  7. Nota
  8. Copyright