Henry Atherton rimase per un attimo con gli occhi sgranati e la bocca aperta, cercando di decidere con quale creatura avesse a che fare. Poutpourri era convinto di aver preso una farfalla, ma quella non era una farfalla. Aveva ali di farfalla, d’accordo, però per il resto…
Henry scosse la testa. Quella era una fata!
Naturalmente lui non credeva alle fate. E non conosceva nemmeno qualcuno che ci credesse. A parte… il signor Fogarty! Già, il vecchio credeva alle fate! Credeva anche ai fantasmi e ai dischi volanti. E credeva che il mondo fosse dominato da una coalizione segreta di banchieri svizzeri con base a Zurigo.
Ma quella non era una fantasia del vecchio strambo: era davvero una fata.
— Poutpourri! Lasciala subito! — Henry si slanciò sul gatto, lo acciuffò per la collottola e lo scrollò. Con un miagolio indignato, Poutpourri mollò la… la… la sua preda, qualunque cosa fosse. E soltanto allora Henry mollò lui. Fissandolo con occhi accusatori, il gatto andò ad accucciarsi poco lontano, mentre il ragazzino prendeva la fata fra le mani a coppa, facendo attenzione a non schiacciarle le ali.
Un attimo dopo, sbirciò fra le dita, per darle un’occhiata. Sembrava stordita e teneva la testa piegata di lato… probabile conseguenza dei biascicamenti di Poutpourri. Forse aveva anche una spalla insanguinata.
Henry si sforzò di esaminarla meglio. Era una specie di ometto alato. Un ragazzino, per la precisione. Sembrava uno della sua età, ma in piccolo. Portava una specie di tenuta mimetica verde scuro… difficile distinguere il colore. Le ali erano grigiastre, picchiettate di bruno.
Henry deglutí. — Chi sei?
La fata… anzi l’elfo, visto che era un maschio, si tappò di scatto le orecchie e tentò di prendere il volo, ma Henry richiuse le dita bloccandogli la via di fuga. Un attimo dopo le riaprí appena e ripeté a voce piú bassa: — Chi sei?
Gli venne in mente che forse dava troppe cose per scontate. In tutti i libri di fiabe, fate ed elfi parlavano… ma era vero? E poi… cos’erano, elfi e fate? D’accordo, la creatura che teneva fra le mani somigliava a un essere umano, sia pure in formato ridotto, ma forse era di una specie animale.
In caso contrario, quante probabilità c’erano che parlasse la sua lingua?
Henry ebbe l’impressione che le labbra dell’elfo si muovessero, anche se non udí alcun suono. Decise di dare per scontato che la creatura lo capisse. — Non voglio farti del male — sussurrò. — Ti ho salvato dal gatto, giusto? — Colto da ispirazione improvvisa, aggiunse: — Se mi capisci, fa’ un cenno con la testa.
L’elfo infilò la testa fra le dita di Henry e annuí.
— Prometti che se apro le mani non tenterai di scappare?
L’elfo annuí entusiasta… e ritentò di prendere il volo appena le dita del ragazzo cominciarono a schiudersi. — Non ci provare! — esclamò Henry, imprigionandolo nuovamente nella coppa delle mani. Poi entrò nella rimessa, prese un barattolo di vetro vuoto e con cautela vi infilò dentro la creatura, avvitando infine il coperchio. Quando sollevò il barattolo per controllare le condizioni dell’elfo, vide che si teneva una mano intorno alla gola e si contorceva come se stesse soffocando. — Ho capito — disse. — Fatti da parte. — Non aveva intenzione di aprire il barattolo, ma usando il temperino forò il coperchio in piú punti, sotto lo sguardo attento della creatura.
E ora? Che ci fai, con un elfo?
Gli venne un’idea. — Per caso esaudisci tre desideri? — sussurrò, pur sentendosi molto sciocco.
L’elfo annuí con vigore e gli fece cenno di aprire il barattolo.
— Oh no — replicò Henry. Aveva la sensazione che volesse imbrogliarlo. Solo i bambini piccoli credevano alla storia dei tre desideri. Del resto, solo i bambini piccoli credevano agli elfi. Si grattò la testa. Cosa doveva fare?
Forse il signor Fogarty poteva aiutarlo. Dopotutto il vecchio aveva un grosso vantaggio: era convinto dell’esistenza di elfi e fate. Il che, probabilmente, significava che aveva studiato a fondo l’argomento. Forse non ne aveva mai visti, però se leggi abbastanza libri su un determinato argomento, prima o poi diventi un esperto. Piú ci pensava, piú gli sembrava sensato mostrargli l’elfo. Cosí, prima di cambiare idea, afferrò il barattolo, se lo infilò in tasca e rientrò in casa.
Il vecchio era in cucina, a prepararsi una tazza di caffè istantaneo. — Hai finito?
Henry scosse la testa. — Non ho neanche cominciato.
— Vuoi un caffè?
— No. Io…
— Meglio cosí, perché questo è l’ultimo. L’ho già messo sulla lista del supermercato. Schifezza Istantanea con Additivi Tossici, confezione maxi. Negozi al dettaglio… puh! Fosse per me, chiuderebbero tutti.
— Posso mostrarle una cosa, signor Fogarty? — lo interruppe Henry, che non aveva voglia di discutere.
Per qualche motivo, il vecchio si mise subito in guardia. — L’hai trovata nella rimessa?
— Non proprio. Veramente l’ho trovata fuori della rimessa. — Con qualche difficoltà, estrasse il barattolo dalla tasca.
Il vecchio aggrottò la fronte, chinandosi a scrutare oltre il vetro sporco. — È un giocattolo? — L’elfo si mosse. — Perbacco! — Fogarty fece un salto. Poi sorrise. — Notevole. Per un momento ci sono cascato. Come funziona? Con un telecomando?
— È un elfo — rispose Henry.
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, con l’elfo imbarattolato sul tavolo della cucina, in mezzo a loro.
— Pensi che sappia parlare?
— L’ho visto muovere le labbra, però non ho sentito niente.
— Sarà un problema di registro — osservò Fogarty. — Deve avere corde vocali piuttosto corte. Probabilmente produce suoni molto acuti, come i pipistrelli. A proposito, riesci ancora a sentirli?
— I pipistrelli? Sí, certo.
— Quando invecchi non ci riesci piú. Ti succede qualcosa alle orecchie. Io non li sento da cinquant’anni buoni. — Fogarty tornò a occuparsi dell’elfo. — O forse è il volume. Dev’essere piuttosto scarso anche a polmoni.
— Comunque lui mi sente — lo informò Henry. — E mi capisce.
— Sicuro che capisce. Sono carognette intelligenti, da tutti i punti di vista. E pericolose.
Henry aggrottò la fronte. — Come può essere pericolosa una creatura cosí piccola?
Fogarty lo fissò serio. — Astuzia animale. Ti attirano in Elfolandia, e a quel punto sei fritto.
— Cioè… usano la magia o roba del genere?
— Noooo — sbuffò Fogarty. — La loro forza sta nel numero. Certi hanno un pungiglione avvelenato, come le api africane.
— Crede davvero che esista… Elfolandia? Una specie di posto incantato?
— Perché continui a blaterare di magia e incantesimi? — replicò Fogarty, infastidito. — Io parlo di una realtà alternativa. Non v’insegnano la fisica, a scuola?
— Veramente…
Il vecchio continuò senza sentirlo. — Einstein… sai chi era? — Henry annuí. — Be’, Einstein ha calcolato che ci sono piú o meno un miliardo di universi confinanti col nostro. E i ragazzi che studiano la quantum fisica dicono la stessa cosa… Mai sentito parlare della Teoria della Moglie Nuova di Hoyle? Ogni mattina ti svegli accanto a una moglie nuova perché ti sei trasferito in un nuovo universo, però non te ne rendi conto perché anche i tuoi ricordi sono nuovi di zecca. — Guardò la faccia di Henry e aggiunse in fretta: — Lascia perdere. Personalmente ritengo che questa creatura provenga da un universo parallelo. Non è che hai visto in giro qualche UFO?
Sbalordito, Henry fece un cenno di diniego.
L’elfo stava seduto a gambe incrociate nel barattolo e li fissava, però non dava segno di seguire la loro conversazione.
— Svita il coperchio — ordinò Fogarty.
— E se scappa?
— Dov’è che dovrebbe scappare? Porta e finestre sono chiuse. E se ci prova, lo spiaccico con lo schiacciamosche. — Fogarty sogghignò. — Ha sentito, eh? Il piccolo farabutto capisce ogni parola. Ma guardalo! Capito, ragazzo? Se fai qualche scherzo, ti aspetta lo schiacciamosche. Comprendez?
Dentro il barattolo, l’elfo annuí.
— Te l’avevo detto — commentò Fogarty. — Svita il coperchio.
Con riluttanza, Henry obbedí. Dopo un momento, l’elfo raggiunse il bordo del barattolo e lo scavalcò, lasciandosi scivolare sul tavolo. Henry notò che usava le ali il meno possibile e che non perdeva d’occhio Fogarty.
— Ora ascolta — disse il vecchio. — Noi due dobbiamo riuscire a comunicare. Il guaio è che tu mi senti, ma io non sento te. Comunque a questo si può provvedere. Se è un problema di registro o di volume, una soluzione è possibile. Non sarà elegante, ma funzionerà. Sta a te decidere se semplificare le cose, oppure no. Puoi cercare di dartela a gambe, ma non arriveresti lontano. Non userò lo schiacciamosche. Era solo una battuta… Sei troppo prezioso. Però posso riacchiapparti con un retino per farfalle e rimetterti nel barattolo. Allora, cosa decidi? Farai il bravo?
L’elfo annuí.
— Ottimo. Non ci vorrà molto.
L’elfo si sedette con la schiena appoggiata al barattolo, mentre Fogarty toglieva da uno scaffale una vecchia scatola da scarpe piena di cavetti aggrovigliati e materiale elettrico. Ci rovistò dentro deponendo sul tavolo diversi aggeggi. Henry notò un piccolo altoparlante che un tempo doveva essere appartenuto a un transistor. — Nessuno usa piú questa roba — borbottò Fogarty, aprendo un tubetto strizzato per controllarne il contenuto. — Solo schifosi microchip e circuiti elettronici.
Affascinato, Henry lo guardò mettere insieme qualcosa con l’altoparlante a un’estremità. Le vecchie mani picchiettate di scuro di quell’uomo erano sorprendentemente agili, quasi fossero abituate a montare apparecchiature complesse.
All’improvviso l’elfo sembrò aver capito il funzionamento di quell’affare, perché si alzò e cominciò a passargli i pezzi via via che gli servivano.
— Vedi se nel cassetto sotto l’acquaio c’è una pila — disse il vecchio rivolgendosi a Henry, quando anche l’ultima vite fu a posto. — A nove volt. È quadrata.
Il cassetto era pieno di pezzi di spago. Non sembrava esserci altro, ma Henry trovò una pila proprio sul fondo. — È questa?
Fogarty, impegnato a dare gli ultimi tocchi alla sua creazione, alzò appena la testa. — Sí. — Gliela tolse di mano e fissò due cavetti attorno ai poli. — Parla qua dentro — disse all...