Il Rosso e il Nero
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Il Rosso e il Nero

Cronaca del 1830

  1. 656 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il Rosso e il Nero

Cronaca del 1830

Informazioni su questo libro

L'ascesa dell'apparente timido ma in realtà ambizioso e impulsivo Julien Sorel, i suoi amori tempestosi e l'improvviso dramma finale. Personaggi famosi, di straordinaria verità psicologica, nel primo capolavoro dello scrittore

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804516637
eBook ISBN
9788852016882

PARTE SECONDA

Non è bella, non si dà il rossetto.
SAINTE-BEUVE

I

I piaceri della campagna

O rus quando ego te aspiciam!
VIRGILIO
«Il signore aspetta la corriera di Parigi, naturalmente» gli disse il padrone di una locanda dove si era fermato per fare colazione.
«Quella di oggi, o quella di domani; poco importa» rispose Julien.
Mentre faceva l’indifferente, la corriera arrivò. C’erano due posti liberi.
«Come, sei tu, mio povero Falcoz?» disse il viaggiatore che veniva da Ginevra a quello che saliva in vettura insieme a Julien.
«Credevo che ti fossi stabilito nei dintorni di Lione – disse Falcoz, – in una deliziosa valle vicino al Rodano.»
«Stabilito benissimo. E scappo.»
«Come! Scappi? Tu, Saint-Giraud, con questa faccia perbene, hai forse commesso un delitto?» disse Falcoz ridendo.
«Mah! Tanto varrebbe. Fuggo dalla vita orribile che si fa in provincia. Mi piace la frescura dei boschi e la tranquillità dei campi, lo sai; mi hai accusato spesso di essere un romantico. Non ho mai voluto sentir parlare di politica, e la politica mi fa scappare.»
«Ma di che partito sei?»
«Di nessuno, e proprio questo mi rovina. Ecco tutta la mia politica: amo la musica, la pittura; un buon libro per me è un avvenimento; sto per compiere quarantaquattro anni. Quanto mi resta da vivere? Quindici, venti, trent’anni al massimo! Ebbene, scommetto che fra trent’anni i ministri saranno un po’ più abili, ma onesti come quelli di oggi. La storia d’Inghilterra mi serve da specchio per il nostro avvenire. Ci sarà sempre un re che vorrà aumentare le sue prerogative; ci saranno sempre dei ricchi di provincia ai quali l’ambizione di diventare deputati, la gloria e le centinaia di migliaia di franchi guadagnati da Mirabeau toglieranno il sonno. E chiameranno tutto questo essere liberali e amare il popolo. Il desiderio di diventare pari o gentiluomo di Camera, farà sempre correre gli ultras. Sulla nave dello Stato, tutti vorranno occuparsi della manovra, perché è ben pagata. Non ci sarà mai, insomma, un posticino qualunque per il semplice passeggero?»
«Veniamo al sodo, al fatto, che dev’essere molto divertente, dato il tuo carattere tranquillo. Sono le ultime elezioni che ti cacciano dalla tua provincia?»
«Il mio male viene da più lontano. Quattro anni fa avevo quarant’anni e cinquecentomila franchi; oggi ho quattro anni di più, e probabilmente cinquantamila franchi di meno, che sto per perdere nella vendita del mio castello di Montfleury, vicino al Rodano, in una posizione stupenda. A Parigi ero stanco dell’eterna commedia a cui ci obbliga quella che chiamate la civiltà del XIX secolo. Avevo sete di una vita alla buona, di semplicità. Compero un terreno sulle montagne sopra il Rodano, niente di più bello sotto il cielo. Il vicario del paese e i signorotti dei dintorni mi fanno la corte per sei mesi; li invito a pranzo; “ho lasciato Parigi - dico loro - per non parlare né sentir più parlare di politica. Come potete vedere, non sono abbonato a nessun giornale. Meno lettere mi porta il postino e più sono contento”. Ma tutto questo non va a genio al vicario; ben presto mi trovo a subire mille domande indiscrete, soprusi, e così via. Volevo dare due o trecento franchi all’anno ai poveri, e me li chiedono per le associazioni religiose: quella di san Giuseppe, quella della Vergine, ecc., e io rifiuto: allora mi insultano da ogni parte, e io sono così stupido da offendermi. Non posso più uscire il mattino per godere della bellezza delle nostre montagne, senza trovarmi tra i piedi qualche seccatura che mi strappi al mio fantasticare e mi ricordi sgradevolmente gli uomini e la loro cattiveria. Per esempio, alla processione delle Rogazioni, di cui mi piace il canto (probabilmente una melodia greca), non benedicono più i miei campi, perché, dice il vicario, appartengono a un empio. Muore la vacca di una vecchia bigotta, e lei dice che è a causa di uno stagno vicino, che è mio, di un filosofo empio che viene da Parigi, e una settimana dopo trovo tutti i miei pesci a pancia all’aria, avvelenati con la calce. Sono assediato da ogni forma di vessazione. Il giudice conciliatore, un galantuomo, ma che ha paura di perdere il posto, mi dà sempre torto. La pace dei campi è per me un inferno. Quando mi hanno visto abbandonato dal vicario, capo della congregazione del paese, e non più sostenuto dal capitano in pensione, capo dei liberali, mi sono piombati tutti addosso, persino il muratore al quale davo da vivere da un anno, persino il carraio che voleva imbrogliarmi impunemente aggiustando i miei aratri. Per ottenere un appoggio, e vincere, nonostante tutto, qualcuna delle mie cause, mi faccio liberale; ma, come dici tu, arrivano quelle maledette elezioni e mi chiedono il voto.»
«Per uno sconosciuto?»
«Niente affatto: per un uomo che conosco anche troppo. Allora rifiuto: orribile imprudenza! Da quel momento, ho contro anche i liberali, la mia posizione diventa insostenibile. Credo che se fosse venuto in mente al vicario di accusarmi di aver assassinato la mia serva, ci sarebbero stati venti testimoni dei due partiti pronti a giurare di avermi visto commettere il delitto.»
«Vuoi vivere in campagna senza impegnarti nelle passioni dei tuoi vicini, senza neppure ascoltarne le chiacchiere. Che errore!…»
«Finalmente ho rimediato. Montfleury è in vendita, perdo cinquantamila franchi, se è necessario, ma sono proprio contento; lascio quest’inferno di ipocrisia e di angherie. Vado a cercare la solitudine e la pace dei campi nel solo luogo in cui esistano in Francia: a un quarto piano sugli Champs-Élysées. E non ho ancora deciso se iniziare la mia carriera politica nel quartiere del Roule, servendo la parrocchia.»
«Tutto questo non sarebbe successo sotto Bonaparte» disse Falcoz con gli occhi scintillanti d’ira e rimpianto.
«Alla buon’ora! Ma perché non è riuscito a tener duro, il tuo Bonaparte? Tutto quello di cui soffro oggi è colpa sua.»
A questo punto l’attenzione di Julien si fece più viva. Aveva capito fin dalle prime parole che il bonapartista Falcoz era l’amico d’infanzia di Rênal, il quale lo aveva ripudiato nel 1816, e il filosofo Saint-Giraud doveva essere il fratello di quel capufficio alla prefettura di…, che sapeva farsi aggiudicare a un prezzo di favore le case dei comuni.
«Sì, tutto questo lo dobbiamo al tuo Bonaparte – continuava Saint-Giraud. – Un galantuomo, inoffensivo, se mai ce ne furono, a quarant’anni e con cinquecentomila franchi, non può andare a stabilirsi in provincia e trovarvi la pace; i preti e i nobili lo fanno scappare.»
«Ah, non dire male di lui! – esclamò Falcoz. – La Francia non è mai stata così in alto nella stima dei popoli come nei tredici anni del suo potere. Allora, c’era qualcosa di grande in tutto ciò che si faceva.»
«Il tuo imperatore, che il diavolo se lo porti – riprese l’uomo di quarantaquattro anni, – è stato grande solo sui campi di battaglia, e quando ha risanato le finanze verso il 1802. Ma cosa significa quello che ha fatto in seguito? Con i suoi ciambellani, la sua gran pompa e i ricevimenti alle Tuileries, ha dato una nuova edizione di tutte le stupidaggini monarchiche. Era un’edizione corretta, e avrebbe potuto durare ancora un secolo o due. I nobili e i preti sono voluti tornare a quella antica, ma non hanno il pugno di ferro che ci vuole per farla ingoiare al popolo.»
«Questo è proprio il linguaggio di un ex tipografo.»
«Chi mi caccia dalla mia terra? – continuò il tipografo incollerito. – I preti, che Napoleone ha fatto tornare con il suo concordato, invece di trattarli come lo Stato tratta i medici, gli avvocati e gli astronomi, e cioè come normali cittadini, senza preoccuparsi della professione che esercitano per guadagnarsi la vita. Ci sarebbero, oggi, dei gentiluomini insolenti, se il tuo Bonaparte non ne avesse fatto dei baroni e dei conti? No, erano già passati di moda. Dopo i preti, sono stati i piccoli nobili di campagna che mi hanno dato più fastidio, e mi hanno costretto a diventare liberale.»
La conversazione non finiva più: toccava un argomento che farà discutere i francesi ancora per mezzo secolo. Siccome Saint-Giraud ripeteva continuamente che era impossibile vivere in provincia, Julien propose timidamente l’esempio di Rênal.
«Perbacco, giovanotto, questa è bella! – esclamò Falcoz, – lui si è fatto martello per non essere incudine, e un martello tremendo, per giunta. Ma lo vedo sopraffatto da Valenod. Lo conoscete, quel furfante? Perché è un autentico furfante. Cosa dirà il vostro signor de Rênal quando si vedrà destituito, una mattina di queste, e vedrà al suo posto il signor Valenod?»
«Resterà a tu per tu con i suoi delitti – disse Saint-Giraud. – Dunque, giovanotto, conoscete Verrières? Ebbene, Bonaparte, che il cielo confonda lui e il suo ciarpame monarchico, ha reso possibile il regno dei Rênal e degli Chélan, che ha portato al regno dei Valenod e dei Maslon.»
Questa conversazione politica a fosche tinte aveva stupito Julien, sottraendolo alle sue fantasticherie voluttuose.
Non gli fece molta impressione Parigi, quando la vide da lontano. I castelli in aria sul suo futuro dovevano lottare con il ricordo, ancora ben presente, delle ventiquattr’ore che aveva passato a Verrières. Giurò a se stesso che non avrebbe mai abbandonato i figli della sua amica, e che avrebbe lasciato ogni altra cosa per proteggerli, qualora l’impudenza dei preti ci avesse regalato la repubblica e le persecuzioni contro i nobili.
Che cosa sarebbe successo, la notte del suo arrivo a Verrières se al momento in cui appoggiava la sua scala contro la finestra della camera da letto della signora de Rênal, vi avesse trovato un estraneo, o lo stesso Rênal?
Eppure, che delizia quelle prime due ore, quando la sua amica voleva sinceramente mandarlo via, e lui sosteneva la sua causa, seduto accanto a lei nel buio!
Un’anima come quella di Julien è accompagnata per tutta la vita da simili ricordi. Il seguito del loro incontro già si confondeva in lui con ciò che era accaduto all’inizio del loro amore, quattordici mesi prima.
Fu sottratto ai pensieri in cui era immerso quando la corriera si fermò. Erano entrati nella rimessa di rue Jean-Jacques Rousseau. «Voglio andare alla Malmaison» disse a un vetturino che si era avvicinato.
«A quest’ora, signore, e a far che?»
«Che cosa v’importa? Andate.»
Ogni vera passione non pensa che a se stessa. È per questo, io credo, che le passioni sono ridicole a Parigi, dove il vostro vicino pretende sempre che si pensi molto a lui. Non starò a raccontarvi l’entusiasmo di Julien alla Malmaison. Pianse. Come! Nonostante i brutti muri bianchi costruiti quest’anno, che hanno tagliato il parco a pezzi? Sissignori: per Julien, come per la posterità, non c’era nessuna differenza tra Arcole, Sant’Elena e la Malmaison.
La sera, Julien esitò a lungo prima di entrare in un teatro; aveva strane idee su quel luogo di perdizione.
Una profonda diffidenza gli impedì di ammirare la vita di Parigi; era commosso solo dai monumenti lasciati dal suo eroe.
«Eccomi dunque al centro dell’intrigo e dell’ipocrisia! Qui regnano i protettori di Frilair.»
La sera del terzo giorno, la curiosità ebbe la meglio sul progetto di vedere tutto prima di presentarsi all’abate Pirard. Il quale gli spiegò, con freddezza, il genere di vita che lo aspettava dal signor de La Mole.
«Se dopo qualche mese non vi sarete dimostrato utile, rientrerete in seminario, ma dalla porta principale. Alloggerete dal marchese, uno dei più grandi signori di Francia. Porterete l’abito nero, ma come un uomo in lutto, e non come un ecclesiastico. Esigo che, tre volte alla settimana, seguiate i vostri studi di teologia in un seminario, dove vi farò presentare. Tutti i giorni, a mezzogiorno, vi farete trovare nella biblioteca del marchese, che conta di farvi scrivere delle lettere per le sue cause e per altre faccende. Il marchese annota in due parole, in margine a ogni lettera che riceve, il tipo di risposta che occorre. Ho sostenuto che in capo a tre mesi sarete in grado di scrivere queste risposte, in modo che, su dodici che gliene presenterete, il marchese ne possa firmare otto o nove. La sera, alle otto, metterete in ordine la sua scrivania, e alle dieci sarete libero.
Può darsi – continuò Pirard – che qualche vecchia dama o qualche signore dal tono mellifluo, vi faccia intravedere vantaggi straordinari, o vi offra molto volgarmente del denaro per mostrargli le lettere che riceve il marchese…»
«Ah, padre!» esclamò Julien arrossendo.
«È strano – disse l’abate con un sorriso amaro – che, povero come siete, e dopo un anno di seminario, abbiate ancora questi momenti di sdegno virtuoso. Bisogna dire che eravate proprio cieco!»
«Che sia la forza del sangue? – disse Pirard a mezza voce e come parlando con se stesso. – La cosa più strana – aggiunse guardando Julien – è che il marchese vi conosce… Non so come. Per cominciare, vi darà cento luigi di stipendio. È un uomo che agisce solo per capriccio; è il suo difetto. Per certi aspetti puerili farà a gara con voi. Se sarà contento, il vostro stipendio potrà arrivare in seguito fino a ottomila franchi. Ma capite bene – riprese l’abate in modo brusco – che non vi darà tutti questi soldi per i vostri begli occhi. Si tratta di essere utile. Al vostro posto, parlerei molto poco, e soprattutto non parlerei mai di quello che non so.
Ah! – disse ancora Pirard – Ho preso qualche informazione per voi; dimenticavo la famiglia del marchese de La Mole. Ha due figli: una ragazza e un giovane di diciannove anni, un vero elegante, una specie di folle, che non sa a mezzogiorno ciò che farà alle due. Non manca d’intelligenza, ha del coraggio; ha fatto la guerra di Spagna. Il marchese spera, non so per quale motivo, che diventiate amico del giovane conte Norbert. Ho detto che siete un grande latinista; forse conta che insegniate a suo figlio qualche frase fatta su Cicerone e Virgilio.
Al vostro posto, non mi lascerei prendere in giro da questo bel giovanotto; e sarei molto ma molto cauto, prima di cedere ai suoi approcci, che saranno cortesissimi, ma un po’ intaccati dall’ironia. Non vi nasconderò che il giovane conte de La Mole, sulle prime, vi disprezzerà, perché non siete che un piccolo borghese. Un suo avo faceva parte della corte, ed ebbe l’onore di avere la testa mozzata in place de Grève, il 26 aprile 1574, per un intrigo politico. Voi, invece, siete il figlio di un carpentiere di Verrières, e, per di più, alle dipendenze di suo padre. Pesate bene queste differenze, e studiate la storia di questa famiglia sul Moreri. Tutti gli adulatori che pranzano dal marchese vi fanno, di tanto in tanto, come dicono loro stessi, qualche delicata allusione.
State attento al modo in cui rispondete alle battute del conte Norbert de La Mole, capo di uno squadrone di ussari e futuro pari di Francia, e non venite poi a lamentarvi con me.»
«Mi sembra – disse Julien, arrossendo vistosamente, – che non dovrei nemmeno rispondere a un uomo che mi disprezza.»
«Non avete la minima idea di un disprezzo di quel genere; si manifes...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il Rosso e il Nero
  3. Introduzione - di Erich Auerbach
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. IL ROSSO E IL NERO
  7. Parte Prima
  8. Parte Seconda
  9. Postfazione - di Leonardo Sciascia
  10. Copyright