Dodici racconti raminghi
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Dodici racconti raminghi

  1. 168 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dodici racconti raminghi

Informazioni su questo libro

Il sogno, il destino, il desiderio, l'amore e la morte... i temi eterni e universali della letteratura reinterpretati dalla prosa potente e visionaria di García Márquez. Dodici racconti sul filo misterioso della memoria nei quali l'autore colombiano rivive e reinventa le tappe avventurose del suo girovagare in Europa e nel mondo, i suoi soggiorni a Roma, Barcellona, Parigi, L'Avana, Napoli, Vienna, Ginevra e altre ancora. In ognuno di questi racconti l'autore di Cent'anni di solitudine riannoda i suoi ricordi personali con le vicende di personaggi reali o verosimili, ricostruendo le atmosfere e gli ambienti più caratteristici di ciascuno dei luoghi visitati. Una raccolta insolita, una serie di storie bizzarre e affascinanti nelle quali la cultura del vecchio mondo si mescola all'inarrestabile vivacità tropicale della fantasia del Caribe.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804535829
eBook ISBN
9788852015991

Buon viaggio, signor presidente

Era seduto sulla panchina di legno sotto le foglie gialle del parco solitario, intento a contemplare i cigni polverosi con entrambe le mani appoggiate sul pomo d’argento del bastone, e a pensare alla morte. Quando era arrivato a Ginevra per la prima volta il lago era sereno e diafano, e c’erano gabbiani docili che si avvicinavano per mangiare in mano, e donne a nolo che sembravano fantasmi delle sei del pomeriggio, con falpalà di organza e parasoli di seta. Adesso, l’unica donna possibile, fin dove gli arrivava la vista, era una venditrice di fiori sul molo deserto. Stentava a credere che il tempo avesse potuto fare simili scempi non solo nella sua vita ma anche nel mondo.
Era uno dei tanti sconosciuti nella città degli sconosciuti illustri. Indossava il vestito blu a righe bianche, il panciotto di broccato e il cappello rigido dei magistrati in pensione. Aveva un paio di baffi alteri da moschettiere, i capelli azzurrini e abbondanti con onde romantiche, le mani da arpista con la fede da vedovo all’anulare sinistro, e gli occhi allegri. L’unica cosa che tradiva le condizioni della sua salute era la stanchezza della pelle. E anche così, a settantatré anni, era sempre di un’eleganza principesca. Quel mattino, tuttavia, si sentiva esente da ogni vanità. Gli anni della gloria e del potere gli erano rimasti definitivamente alle spalle, e adesso c’erano solo quelli della morte.
Era tornato a Ginevra dopo due guerre mondiali, in cerca di una risposta decisiva a un dolore che i medici della Martinica non erano riusciti a identificare. Aveva previsto non più di quindici giorni, ma erano già trascorse sei settimane di analisi spossanti e di risultati incerti, e non se ne vedeva ancora la fine. Cercavano il dolore nel fegato, nei reni, nel pancreas, nella prostata, lì dove meno si trovava. Fino a quel giovedì malaugurato, in cui il medico meno noto fra i molti che l’avevano visto non gli aveva fissato un appuntamento alle nove del mattino nel reparto di neurologia.
Lo studio sembrava una cella monacale, e il medico era piccolo e lugubre, e aveva la mano destra ingessata per una frattura al pollice. Quando ebbe spento la luce, apparve sullo schermo la radiografia illuminata di una spina dorsale che lui non riconobbe come sua finché il medico non indicò con una bacchetta, sotto la vita, l’unione di due vertebre.
«Il suo dolore sta qui» gli disse.
Per lui non era così facile. Il suo dolore era improbabile e sfuggente, e certe volte sembrava star fra le costole di destra e certe altre nel basso ventre, e spesso lo sorprendeva con una fitta istantanea all’inguine. Il medico lo ascoltò interrompendosi e con la bacchetta immobile sullo schermo. «Ecco perché ci ha depistati così a lungo» disse. «Ma adesso sappiamo che sta qui.» Poi si portò l’indice alla tempia, e precisò:
«Sebbene a rigor di logica, signor presidente, ogni dolore risieda qui.»
Il suo stile clinico era così drammatico, che la sentenza finale sembrò benevola: il presidente doveva sottoporsi a un’operazione pericolosa e inevitabile. Questi gli domandò qual era il margine di rischio, e il vecchio dottore lo avvolse in una luce di incertezza.
«Non potremmo dirlo con sicurezza» gli disse.
Fino a poco tempo prima, precisò, i rischi di incidenti fatali erano grandi, e più ancora di molteplici paralisi di vario grado. Ma col progresso della medicina dopo le due guerre quei timori erano cose del passato.
«Parta tranquillo» concluse. «Sistemi per bene le sue cose, e ci avverta. Però non dimentichi che sarà meglio occuparsene al più presto.»
Non era una buona mattina per smaltire quella brutta notizia, e tanto meno con quel tempaccio. Era uscito molto presto dall’albergo, senza soprabito, perché aveva visto un sole raggiante dalla finestra, e si era avviato col suo passo lento dal chemin du Beau Soleil, dove si trovava l’ospedale, sino al rifugio per innamorati furtivi del Parc Anglais. Era lì da oltre un’ora, sempre intento a pensare alla morte, quando iniziò l’autunno. Il lago si increspò come un oceano infuriato, e un vento di disordine spaventò i gabbiani e spazzò via le ultime foglie. Il presidente si alzò e, invece di comprarla dalla fioraia, colse una margherita dai vasi pubblici e se la infilò all’occhiello del risvolto. La fioraia lo sorprese.
«Quei fiori non sono del buon Dio, signore» gli disse, piccata. «Sono del municipio.»
Lui non le diede retta. Si allontanò con lunghi passi leggeri, impugnando il bastone al centro della canna, e a tratti facendolo girare con una scioltezza un po’ libertina. Sul ponte del Mont Blanc stavano togliendo di gran fretta le bandiere della confederazione impazzite sotto il vento, e lo zampillo sottile coronato di spuma si spense prima del tempo. Il presidente non riconobbe il suo solito caffè sul molo, perché avevano tolto il tendone verde della veranda e le terrazze fiorite dell’estate si erano ormai chiuse. Nella sala, le lampade erano accese in pieno giorno, e il quartetto d’archi suonava un Mozart premonitore. Il presidente prese dal banco un quotidiano della pila riservata ai clienti, appese il cappello e il bastone all’attaccapanni, si mise gli occhiali con la montatura d’oro per leggere al tavolino più discosto, e solo allora fu consapevole che era arrivato l’autunno. Cominciò a leggere dalla pagina di politica estera, dove assai di rado trovava qualche notizia delle Americhe, e continuò a leggere dal fondo verso l’inizio finché la cameriera non gli ebbe portato la sua bottiglia quotidiana di acqua di Evian. Da più di trent’anni aveva rinunciato all’abitudine del caffè per ordine dei medici. Ma aveva detto: «Se un giorno avessi la certezza di dover morire, riprenderei a berlo». Forse il momento era arrivato.
«Mi porti pure un caffè» ordinò in un francese perfetto. E precisò senza accorgersi del doppio senso: «All’italiana, di quelli che fanno resuscitare i morti».
Lo bevve senza zucchero, a sorsi lenti, e poi rovesciò la tazza sul piattino affinché i fondi del caffè, dopo tanti anni, avessero il tempo di tracciare il suo destino. Il sapore recuperato lo redense per un istante dai suoi brutti pensieri. Un momento dopo, come parte dello stesso sortilegio, sentì che qualcuno lo guardava. Allora girò la pagina con un gesto casuale, guardò da sopra gli occhiali, e vide l’uomo pallido e non rasato, con un berretto sportivo e una giacca di pelle scamosciata, che allontanò subito lo sguardo per non incontrare il suo.
Il viso gli era familiare. Si erano incrociati più volte nell’atrio dell’ospedale, l’aveva rivisto un giorno su una motoretta lungo la promenade du Lac mentre lui contemplava i cigni, ma non si era mai sentito riconosciuto. Non scartò, tuttavia, che fosse un’altra delle tante fantasie di persecuzione dell’esilio.
Finì il quotidiano senza fretta, fluttuando fra i cieli sontuosi di Brahms, finché il dolore non fu più forte dell’analgesico della musica. Allora guardò l’orologio d’oro che portava appeso a una catena nel taschino del panciotto, e prese le due compresse calmanti di mezzogiorno con l’ultimo sorso di acqua di Evian. Prima di togliersi gli occhiali decifrò il suo destino nei fondi del caffè, ed ebbe un brivido gelido: eccola lì l’incertezza. Infine pagò il conto con una mancia stitica, prese il bastone e il cappello dall’attaccapanni, e uscì in strada senza guardare l’uomo che lo guardava. Si allontanò con la sua andatura festosa, costeggiando i vasi di fiori rotti dal vento, e si credette libero dalla malia. Ma d’improvviso sentì i passi dietro i suoi, si fermò mentre girava all’angolo, e si volse. L’uomo che lo seguiva dovette fermarsi di botto per non scontrarsi con lui, e lo guardò stupito, a meno di due palmi dai suoi occhi.
«Signor presidente» mormorò.
«Dica a quelli che la pagano di non farsi illusioni» disse il presidente, senza perdere il sorriso né il fascino della voce. «La mia salute è ottima.»
«Nessuno lo sa meglio di me» disse l’uomo, schiacciato dal peso della dignità che gli cadde addosso. «Lavoro all’ospedale.»
La dizione e la cadenza, e anche la sua timidezza, erano quelle di un caraibico genuino.
«Non mi dirà che è medico» gli disse il presidente.
«Magari, signore» disse l’uomo. «Sono conduttore di ambulanza.»
«Mi dispiace» disse il presidente, convinto del suo errore. «È un lavoro duro.»
«Non quanto il suo, signore.»
Lui lo guardò senza riserve, si appoggiò al bastone con entrambe le mani, e gli domandò con un interesse reale:
«Di dov’è lei?»
«Dei Caraibi.»
«Di questo me n’ero accorto» disse il presidente. «Ma di quale paese?»
«Proprio del suo, signore» disse l’uomo, e gli porse la mano. «Il mio nome è Homero Rey.»
Il presidente lo interruppe sorpreso, senza lasciargli la mano.
«Caspita» gli disse. «Che bel nome!»
Homero si rilassò.
«E ce n’è ancora» disse: «Homero Rey de la Casa».
Una coltellata invernale li colse indifesi in mezzo alla strada. Il presidente rabbrividì fin nelle ossa e comprese che senza soprabito non avrebbe potuto fare i due isolati che gli mancavano fino alla trattoria per poveri dove in genere pranzava.
«Ha già pranzato?» domandò a Homero.
«Non pranzo mai» disse Homero. «Mangio una sola volta la sera a casa mia.»
«Faccia un’eccezione per oggi» gli disse lui con tutto il suo fascino a fior di pelle. «La invito a pranzo.»
Lo prese per un braccio e lo guidò fino al ristorante di fronte, col nome dorato sul tendone di tela plastificata: Le Boeuf Couronné. L’interno era raccolto e caldo, e non sembrava che ci fossero posti liberi. Homero Rey, stupito che nessuno riconoscesse il presidente, proseguì sino in fondo alla sala per chiedere aiuto.
«È un presidente in carica?» gli domandò il proprietario.
«No» disse Homero. «Deposto.»
Il proprietario se ne uscì in un sorriso di consenso.
«Per loro» disse «ho sempre un posto speciale.»
Li guidò a un tavolo appartato in fondo alla sala dove era possibile chiacchierare con agio. Il presidente lo ringraziò.
«Non tutti riconoscono come lei la dignità dell’esilio» disse.
La specialità della casa erano le costate di manzo alla brace. Il presidente e il suo invitato si guardarono intorno, e videro agli altri tavoli i grossi pezzi arrostiti con un bordo di grasso tenero. «È una carne magnifica» mormorò il presidente. «Ma me l’hanno proibita.» Fissò su Homero uno sguardo discolo, e cambiò tono.
«In realtà, mi hanno proibito tutto.»
«Le hanno proibito pure il caffè,» disse Homero «e tuttavia lo prende.»
«Se n’è accorto?» disse il presidente. «Ma oggi è stata solo un’eccezione in una giornata eccezionale.»
L’eccezione di quel giorno non fu solo il caffè. Ordinò anche una costata di manzo alla brace e un’insalata di verdura fresca senz’altro condimento che un goccio di olio d’oliva. Il suo invitato ordinò le stesse cose, più mezza caraffa di vino rosso.
Mentre aspettavano la carne, Homero tirò fuori dalla tasca della giacca un portafogli senza denaro e con molti pezzi di carta, e mostrò al presidente una foto sbiadita. Lui si riconobbe in maniche di camicia, con parecchi chili di meno e i capelli e i baffi di un color nero intenso, in mezzo a una ressa di giovani che si alzavano sulla punta dei piedi per farsi notare. Con un solo sguardo riconobbe il luogo, riconobbe gli emblemi di una campagna elettorale esecrabile, riconobbe il giorno ingrato. «Che orrore!» mormorò. «L’ho sempre detto che si invecchia più in fretta nelle fotografie che nella vita reale.» E restituì l’immagine con un gesto da ultimo atto.
«Ricordo benissimo» disse. «È stato migliaia di anni fa nell’arena per i combattimenti dei galli a San Cristóbal de las Casas.»
«È il mio paese» disse Homero, e indicò se stesso nel gruppo. «Questo sono io.»
Il presidente lo riconobbe.
«Era un bambino!»
«Quasi» disse Homero. «Sono stato con lei per tutta la campagna del Sud come capo delle brigate universitarie.»
Il presidente prevenne il rimprovero.
«Io, è ovvio, neppure mi accorgevo di lei» disse.
«Al contrario, era molto gentile con noi» disse Homero. «Ma eravamo così tanti che non è possibile si ricordi.»
«E poi?»
«Chi può saperlo meglio di lei?» disse Homero. «Dopo l’intervento dei militari è un miracolo che tutt’e due ci ritroviamo qui, pronti a mangiarci mezzo bue. Non molti hanno avuto la stessa fortuna.»
In quel momento portarono i loro piatti. Il presidente si annodò il tovagliolo intorno al collo, come un bavaglino, e non fu insensibile al silenzioso stupore dell’invitato. «Se non facessi così ci rimetterei una cravatta a ogni pasto» disse. Prima di iniziare controllò se la carne era tenera, l’approvò con un gesto compiaciuto, e riprese il discorso.
«Quello che non mi spiego» disse «è perché non mi si è avvicinato prima invece di starmi dietro come un segugio.»
Allora Homero gli raccontò che l’aveva riconosciuto fin da quando l’aveva visto entrare nell’ospedale da una porta riservata ai casi molto speciali. Era piena estate, e lui indossava il completo di lino bianco delle Antille, con ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dodici racconti raminghi
  4. Premessa. Perché dodici, perché racconti e perché raminghi
  5. Buon viaggio, signor presidente
  6. La santa
  7. L’aereo della bella addormentata
  8. Mi offro per sognare
  9. «Sono venuta solo per telefonare»
  10. Fantasmi d’agosto
  11. María dos Prazeres
  12. Diciassette inglesi avvelenati
  13. Tramontana
  14. L’estate felice della signora Forbes
  15. La luce è come l’acqua
  16. La traccia del tuo sangue sulla neve
  17. Copyright