
- 378 pagine
- Italian
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L'ultimo giurato
Informazioni su questo libro
Nel 1970 Danny Padgitt, membro di una spietata famiglia di malavitosi accusato di un terribile delitto (lo stupro e la brutale uccisione di una giovane madre davanti agli occhi dei suoi stessi figli) viene condannato all'ergastolo. Dopo nove anni torna in libertà con una sola idea in testa: farla pagare al giovane e presuntuoso giornalista che l'ha fatto sbattere al fresco, lottando contro omertà e connivenze.
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Informazioni
Print ISBN
9788804550228eBook ISBN
9788852015786PARTE PRIMA
1
Nel 1970, dopo decenni di costante, incauta gestione e amorevole trascuratezza, il “Ford County Times” fallì. La proprietaria e editrice, Miss Emma Caudle, aveva novantatré anni ed era assicurata a un letto in una casa di riposo per anziani a Tupelo. Il direttore del settimanale, suo figlio Wilson Caudle, era ultrasettantenne e dai tempi della Prima guerra mondiale aveva una placca nella testa. Gliela copriva un perfetto cerchio di cute scura trapiantata in cima alla lunga fronte spiovente, e per tutta la vita adulta si era portato addosso il nomignolo di Spot. Spot fai questo. Spot fai quello. Spot di qua. Spot di là.
Da giovane preparava servizi sulle riunioni in municipio, le partite di football, le elezioni, i processi, le attività parrocchiali e su ogni sorta di avvenimenti mondani nella Ford County. Era un buon reporter, meticoloso e intuitivo. Evidentemente la ferita alla testa non aveva compromesso le sue capacità. Ma all’indomani della Seconda guerra mondiale pare che la placca si fosse spostata, e da quel momento Mr Caudle smise di scrivere qualsiasi cosa tranne i necrologi. Amava i necrologi. Vi dedicava ore. Compilava paragrafi di prosa ispirata ricostruendo la biografia fosse anche del più umile tra gli abitanti della sua contea. La scomparsa di un cittadino facoltoso o di una personalità locale meritava la prima pagina, con Mr Caudle a fare da coprotagonista. Non mancava mai a una veglia o a un funerale, e non scriveva mai male di nessuno. Alla fine, tutti trovavano la gloria. La Ford County era un gran bel posto dove morire. E Spot un personaggio molto popolare, anche se era matto.
La sola vera crisi nella sua carriera di giornalista ebbe luogo nel 1967, all’epoca in cui il movimento dei diritti civili arrivò finalmente nella Ford County. Il giornale non aveva mai lasciato trasparire il minimo indizio di tolleranza razziale. Sulle sue pagine non apparivano volti dalla pelle scura, se non quelli appartenenti a criminali noti o presunti. Nessun annuncio di nozze tra persone di colore. Nessuna menzione di studenti neri che si fossero in qualche modo distinti, o servizi su squadre di baseball composte da giocatori neri. Ma nel 1967 Mr Caudle fece una scoperta sorprendente. Una bella mattina, tutt’a un tratto, si accorse che nella Ford County c’era gente di colore che moriva, ma che della loro morte non si dava conto nel modo adeguato. Lo attendeva un intero mondo di necrologi, nuovo e fertile, e fu così che Mr Caudle fece vela verso acque ignote e insidiose. Mercoledì 8 marzo 1967, il “Times” fu il primo settimanale del Mississippi a proprietà bianca a pubblicare il necrologio di un nero. Venne in larga misura ignorato.
La settimana seguente pubblicò tre necrologi di persone di colore e la gente cominciò a parlarne. Nella quarta settimana ebbe inizio un boicottaggio in piena regola, con cancellazioni di abbonamenti e rinunce di inserzionisti. Mr Caudle sapeva che cosa stava accadendo, ma era troppo preso dal suo nuovo ruolo di integrazionista per preoccuparsi di questioni triviali come vendite e utili. Sei settimane dopo lo storico necrologio, annunciò la sua nuova politica sulla prima pagina e a caratteri cubitali. Spiegò ai lettori la sua intenzione di pubblicare quello che voleva, secondo il proprio insindacabile giudizio, e, se ai bianchi non piaceva, lui avrebbe semplicemente eliminato i loro necrologi.
In Mississippi morire dignitosamente è un aspetto importante del vivere, tanto per i bianchi quanto per i neri, e la prospettiva di una dipartita priva del glorioso viatico di uno dei necrologi di Spot appariva alla maggioranza inaccettabile. E si sapeva che lui era abbastanza matto da mettere in pratica la sua minaccia.
L’edizione successiva del giornale uscì con un congruo numero di necrologi, di bianchi e di neri, tutti in preciso ordine alfabetico e senza distinzione in base alla razza. Andò esaurito, e da allora seguì un breve periodo di prosperità.
Il fallimento fu involontario, ma è anche vero che normalmente uno non fallisce per la brama incontenibile di farsi del male. Alla testa del branco dei creditori c’era una cartiera di Memphis che doveva riscuotere sessantamila dollari. Altri aspettavano i soldi da sei mesi. La Security Bank chiedeva il rientro di un prestito.
Io ero nuovo, ma avevo raccolto delle indiscrezioni. Stavo leggendo una rivista seduto a una scrivania nella stanza che dava sulla facciata del “Times”, quando entrò tutto impettito un nano con le scarpe a punta che chiese di Wilson Caudle.
«È all’impresa di pompe funebri» gli dissi.
Aveva un’aria tracotante, l’omino. Gli vedevo spuntare una pistola dalla cintola sotto il blazer blu spiegazzato, una pistola portata in modo che la si vedesse. Con tutta probabilità aveva la licenza, ma nella Ford County non era veramente necessaria, non nel 1970. Le licenze, anzi, venivano guardate con un certo dispetto. «Ho bisogno di notificargli queste carte» annunciò agitando una busta.
Non avevo intenzione di essere premuroso, ma è difficile trattare male un nano. Anche se gira armato. «È all’impresa di pompe funebri» ripetei.
«Allora dovrò lasciarle a lei» dichiarò.
Sebbene io fossi lì da meno di due mesi, e avessi frequentato l’università su nel Nord, alcune cose le avevo imparate. Sapevo che le buone notizie non vengono notificate. Vengono spedite per posta o corriere, oppure consegnate a mano, ma mai notificate. Quelle erano brutte notizie, e io non volevo essere coinvolto.
«Io non le prendo» risposi abbassando gli occhi.
Le leggi della natura prevedono che i nani siano persone docili e remissive, e il tizio non faceva eccezione. La pistola era uno stratagemma. Si guardò intorno con un tentativo di smorfia beffarda sulle labbra, ma sapeva che la situazione era disperata. S’infilò la busta in tasca con un gesto un po’ plateale e chiese: «Dov’è l’impresa di pompe funebri?».
Gli diedi le indicazioni e lui se ne andò. Un’ora dopo entrò Spot stralunato, agitando dei documenti. Singhiozzava in preda a una crisi isterica. «È finita! È finita!» continuava a ripetere fra le lacrime, mentre io gli sfilavo dalla mano l’istanza di fallimento. Alle sue spalle sopraggiunsero la segretaria Margaret Wright e Hardy, il tipografo, per cercare di consolarlo. Spot si sedette, si prese il volto fra le mani, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, e continuò a singhiozzare angosciato. Io lessi a voce alta il documento a beneficio dei presenti.
Mr Caudle doveva comparire in tribunale a Oxford di lì a una settimana, alla presenza dei creditori e del giudice, e in quella sede si sarebbe deciso se il giornale avrebbe continuato la sua attività sotto la tutela di un amministratore fiduciario. Vedevo bene che Margaret e Hardy erano molto più preoccupati del proprio lavoro che di Mr Caudle e della sua crisi di sconforto, ma seppero fare buon viso a cattivo gioco standogli vicino e battendogli pacche amichevoli sulle spalle.
Quando ebbe smesso di piangere, Spot si alzò in piedi all’improvviso, si morsicò il labbro inferiore e annunciò: «Devo dirlo a mamma».
Noialtri tre ci scambiammo un’occhiata. Miss Emma Caudle ci aveva lasciato ormai da anni, seppure il suo debole cuore continuasse a lavorare quel tanto da posticipare un funerale. Non sapeva e non le importava di che colore fosse il Jell-O che le davano da mangiare, e certo era del tutto indifferente alla Ford County e al suo giornale. Ormai cieca e sorda, pesava poco più di trenta chili, e ora Spot aveva intenzione di discutere con lei un caso di fallimento. A quel punto, mi resi conto che anche lui non era più con noi.
Riprese a piangere e se ne andò. Sei mesi dopo, avrei scritto il suo necrologio.
Poiché ero stato all’università, e poiché avevo in mano i documenti, Margaret e Hardy mi guardavano in speranzosa attesa. Io ero un giornalista, non un avvocato, ma dissi loro che avrei portato i documenti al consulente legale della famiglia Caudle. Avremmo seguito le sue direttive. Loro sorrisero debolmente e tornarono al lavoro.
A mezzogiorno comprai una confezione di birra da sei al Quincy’s One Stop di Lowtown, il quartiere nero di Clanton, e andai a fare una lunga corsa sulla mia Spitfire. Nonostante fosse febbraio inoltrato, la temperatura era insolitamente alta, così abbassai il tettuccio e mi diressi al lago, domandandomi, non per la prima volta, che cosa diavolo ci facessi nella Ford County.
Sono cresciuto a Memphis e ho studiato giornalismo per cinque anni a Syracuse prima che mia nonna si stancasse di finanziare quella che stava diventando un’istruzione a lungo termine. I miei voti erano mediocri e la laurea lontana, forse un anno e mezzo. Lei, BeeBee, aveva un sacco di soldi, ma detestava spenderli, e dopo cinque anni ritenne che l’opportunità concessami fosse stata adeguatamente finanziata. Quando mi tagliò i fondi ne fui molto deluso, ma non mi lamentai, di sicuro non con lei. Ero il suo unico nipote e il suo patrimonio sarebbe stato una manna.
Avevo studiato giornalismo tra una sbornia e l’altra. Nei primi tempi a Syracuse aspiravo a diventare un reporter investigativo per il “New York Times” o il “Washington Post”. Volevo salvare il mondo smascherando la corruzione e i reati contro l’ambiente, gli sprechi governativi e le ingiustizie patite dai deboli e dagli oppressi. Mi attendevano vari premi Pulitzer. Dopo circa un anno di sogni grandiosi vidi un film su un corrispondente straniero che girava per il mondo a cercare guerre e sedurre belle donne, trovando chissà come il tempo di scrivere anche articoli sensazionali. Parlava otto lingue, aveva la barba, portava scarponcini militari e una divisa cachi inamidata che non si sgualciva mai. Decisi così che sarei stato un giornalista di quello stampo. Mi feci crescere la barba, comprai scarponcini e divisa, cercai di imparare il tedesco e di concupire ragazze più carine. Al secondo anno, quando il mio rendimento cominciò a declinare verso i ranghi più bassi del corso, mi lasciai catturare dall’idea di lavorare per il giornale di una cittadina di provincia. Non so spiegarmi questa attrazione, se non con il fatto che fu più o meno in quel periodo che conobbi Nick Diener e strinsi amicizia con lui. Veniva dalle campagne dell’Indiana e da decenni la sua famiglia era proprietaria di un ben avviato settimanale locale. Girava su una piccola ed elegante Alfa Romeo e aveva sempre parecchi soldi in tasca. Diventammo buoni amici.
Nick era uno studente brillante che avrebbe potuto conseguire ottimi voti in medicina, legge o ingegneria. Il suo unico intento, però, era tornare nell’Indiana a condurre l’azienda di famiglia. Per me rimase un enigma fino a quando una sera ci ubriacammo e mi confidò quanto suo padre incassava annualmente dal suo piccolo settimanale, con una tiratura di seimila copie. Una miniera d’oro, disse. Soltanto notizie locali, annunci di matrimoni, attività parrocchiali, menzioni d’onore, avvenimenti sportivi, foto di squadre di basket, qualche ricetta, qualche necrologio e pagine di pubblicità. Forse un pizzico di politica, ma stando alla larga dalle questioni più spinose. A quel punto, restava solo da contare i soldi. Suo padre era milionario. Si trattava di giornalismo disimpegnato, tranquillo, con il denaro che cresceva sugli alberi, a sentire Nick.
Mi attirava. Dopo il mio quarto anno di università, che avrebbe dovuto essere l’ultimo ma non lo era nemmeno lontanamente, trascorsi l’estate a fare apprendistato in un piccolo settimanale sulle Ozark Mountains dell’Arkansas. Pagavano una miseria, ma BeeBee ne fu favorevolmente colpita perché avevo un impiego. Ogni settimana le inviavo per posta il giornale, almeno metà del quale era scritto da me. Il proprietario/direttore/editore era uno splendido signore anziano, felice di avere un cronista desideroso di scrivere. Era sicuramente agiato.
Dopo cinque anni a Syracuse, i miei voti erano irreparabili e i cordoni della borsa si chiusero. Tornai a Memphis, andai a trovare BeeBee, la ringraziai per quanto aveva fatto per me e le dissi che le volevo bene. Lei mi invitò a trovare un lavoro.
A quei tempi la sorella di Wilson Caudle viveva a Memphis, e a una di quelle riunioni di bevitrici di tè caldo le capitò di conoscere BeeBee. Dopo uno scambio di telefonate, feci i bagagli e partii alla volta di Clanton, in Mississippi, dove Spot mi attendeva con ansia. Dopo un’ora di addestramento, mi sguinzagliò in giro per la Ford County.
Nel numero in uscita pubblicò un simpatico trafiletto con tanto di foto annunciando il mio “apprendistato” al “Times”. In prima pagina. Era un periodo di fiacca, per i giornali.
L’annuncio conteneva due tremendi errori che mi avrebbero perseguitato per anni. Il primo, e meno grave, era il fatto che l’università di Syracuse fosse entrata nella Ivy League, almeno secondo Spot. Fu lui a informare il declinante pubblico dei suoi lettori che avevo ricevu...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- L’ultimo giurato
- Parte prima
- Parte seconda
- Parte terza
- Nota dell’autore
- Copyright