La cucina del cuore
eBook - ePub

La cucina del cuore

La filosofia e le ricette di un grande chef

  1. 204 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La cucina del cuore

La filosofia e le ricette di un grande chef

Informazioni su questo libro

La cucina di Alfonso Iaccarino nasce da una sfida: dare un taglio netto alla moda dei cibi insaporiti artificialmente, delle salse burrose, grasse e piene di panna. Per avere la certezza dell'assoluta bontà delle materie prime, Iaccarino ha imparato a coltivarle in proprio, e si rivolge a produttori che come lui hanno fatto della difesa delle tradizioni la propria bandiera. Certo, anche l'innovazione trova grande spazio nella cucina di questo caparbio chef campano, soprattutto nelle cotture, tese a preservare l'integrità dei sapori e la leggerezza dei piatti, nelle lavorazioni, negli accostamenti degli ingredienti.
I riconoscimenti internazionali ottenuti dal Don Alfonso 1890 nel corso degli anni (tra gli altri, le tre stelle Michelin del 1997) hanno dato il giusto rilievo a uno chef che interpreta l'arte di cucinare come la tavolozza con cui esprimere la passione per i sapori, il piacere della convivialità, il senso del gusto, che è anzitutto misura, equilibrio. Una cucina che sa essere anche seduzione, intrigo, sorpresa, proprio quando si ha la sensazione di conoscerla nelle sue note più profonde.
"Ma chisto è pazzo¿" commentavano all'inizio a mezza bocca i suoi conterranei, vedendo sul menu gli spaghetti al pomodoro e basilico negli anni in cui si cercava l'innovazione a tutti i costi, come se il salmone, la panna, lo champagne fossero le nuove frontiere del prestigio sociale, uno status symbol nel piatto. Gli spaghetti col pomodoro facevano contadino, suonavano come una cosa povera. In quel piatto, invece, c'era un'idea di cucina destinata a fare scuola. Un'idea di cibo "biologico " che non prevede mediazioni tra i prodotti della terra e la cucina, in cui nulla di artificiale - ormoni, diserbanti, antibiotici - interviene dall'esterno a modificare il sapore naturale degli alimenti.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La cucina del cuore di Alfonso Iaccarino in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804601425
eBook ISBN
9788852017841

Il cuore in tavola

Una tavolozza bianca

Chi viene al Don Alfonso non capita per caso. Ha già messo in agenda questo appuntamento come una serata speciale: perché vuole celebrare un anniversario o un compleanno, un successo o una promozione sul lavoro, perché vuole conquistare o riconquistare una donna, perché ha deciso di rendere speciale quella serata.
Non possiamo deludere le attese. Ma per noi speciali sono loro, i nostri ospiti.
Il Don Alfonso è il foglio bianco sul quale scriveranno le emozioni di una serata che ci auguriamo indimenticabile, la nostra cucina l’inchiostro che si imprimerà su quel foglio.
Anche la mia cucina nasce dal bianco.
Quando ci sentivamo incompresi dal pubblico, soprattutto quell’anno terribile in cui il ristorante rimaneva spesso vuoto, perché la nostra proposta di piatti della tradizione era considerata «scontata», inutile, per consolarci con Livia ci dicevamo: «Parliamo una lingua diversa». La cucina è un linguaggio che si evolve, come quello parlato. Le tradizioni sono le radici del mio linguaggio. Il mio foglio bianco è il piatto, la mia tavolozza. Bianca, così come le pareti della sala che accoglierà gli ospiti. E il tovagliato. E la trasparenza delle luci.
Avete mai visto un pittore dipingere su una tavolozza colorata? Lo stesso è per me. E non perché voglia sentirmi artista a tutti i costi. Tuttavia credo che l’ospite debba essere messo in condizione di apprezzare ogni particolare di un piatto, la forma come il contenuto. Il bianco, con la sua luminosità non invadente, ma piena di vita, accoglie sia l’ospite che la creazione gastronomica, suggerendo un ambiente sereno.
Cerchiamo di predisporre chi ci visita a ricevere la nostra proposta in maniera lieve, favorendo però la sua concentrazione e quella dei suoi sensi sul piatto. Non può quindi esserci nessun elemento distraente, né di tipo architettonico, legato all’arredo, né sonoro. L’attenzione dell’ospite dev’essere riservata a ciò che sta per gustare.
Livia si occupa delle scelte del tovagliato e dell’arredo dei tavoli: bicchieri, posate, forme dei piatti. E tutto dev’essere funzionale, ma essenziale. È stata lei a volere, sui tavoli, dei bicchieri trasparenti che contengono un solo fiore dai colori tenui. Questi particolari, che possono sembrare ininfluenti, sono il frutto di scelte molto accorte e ponderate. Insieme a Livia, che in questo settore ha una sensibilità e un istinto infallibili, maturati in quarant’anni di lavoro, visiono ogni anno decine e decine di modelli di piatti e di bicchieri, per decidere se sia opportuno un cambiamento o si possano confermare forme e stili dell’anno precedente. La chiusura da novembre a marzo serve anche a questo, oltre che per i lavori di mantenimento e ammodernamento necessari per il ristorante e il relais.
La prima regola è la semplicità. A Livia non piace alternare nel tovagliato tessuti diversi; tutto dev’essere rigorosamente di lino di fiandra.

Il bianco del Don Alfonso

Quando con Livia abbiamo deciso di dare vita al Don Alfonso, sapevamo due cose con certezza: non avremmo mai usato i piatti con le cifre del vecchio albergo di famiglia (nonostante fossero bianchi) e la nostra struttura sarebbe stata essenzialmente luce e spazio. Il Don Alfonso è nato come la casa che sognavamo di dividere con gli amici da ragazzi e che, crescendo, è diventata la dimora per gli ospiti che avrebbero scelto di visitarci. Naturalmente, doveva recare delle tracce del territorio, significative ma non fastose né sovradimensionate.
Su luce, spazio e territorio non avremmo ceduto. Ora bisognava trovare l’architetto che trasferisse questi tre punti in un progetto realizzabile. Avendo le idee chiare, mi sembrava la cosa più semplice del mondo, anche perché Livia ha sempre avuto una spiccata vocazione per gli arredi d’interni, che mi trovava in piena sintonia. Insomma, a lei la ricetta degli arredi, a me la cucina. Tutta mia. Finalmente!
È cominciata così un’avventura che immaginavo potesse risolversi in un paio di mesi e che invece ha richiesto oltre due anni, solo per il progetto su carta. Ero convinto, forse ingenuamente, che, una volta individuato l’architetto, bastasse svelargli le tre famose indicazioni, proprio come una formula magica, e lui – puff! – avrebbe tradotto immediatamente, nel giro di poche settimane, la nostra idea in spazi di vita.
Non è stato così semplice, così rapido e così (economicamente) indolore. Livia lo sapeva già. Le donne sanno sempre tutto. E mi ricopriva di carezze e di tenerezze, come fossi un cucciolo cui stava per estrarre una spina dalla zampa. Gli uomini alle prese con l’arredo di casa insieme alla propria dolce ma implacabile metà mi possono capire.
All’inizio percepivo questo surplus di attenzioni come un’espressione di gioia ed eccitazione per il progetto che stava per concretizzarsi: oggi so che Livia, da compagna intelligente, premurosa e attenta qual è, conoscendo la mia impazienza – lei dice che «sfarfallo» – cercava di prepararmi al peggio.
Insieme abbiamo scongiurato il pericolo che il progetto si trasformasse in un cantiere perenne, a causa delle aggiunte fantasiose, lontane dalle nostre idee, degli architetti – tre per la precisione – che si sono succeduti in circa settecento giorni.
Livia non si dava pace. Dopo una serie di peregrinazioni anche in giro per l’Europa – un amico ci aveva suggerito che forse un professionista distante dalla nostra cultura l’avrebbe interpretata in maniera più lucida – un giorno, per caso, in un cassetto, ritrovammo il biglietto da visita di un architetto sorrentino, Marco De Luca, che ci eravamo ripromessi di contattare ma che, per impegni non coincidenti – lui a Sorrento, noi a Tokyo; noi a Sant’Agata, lui a Londra – non eravamo mai riusciti a incontrare. «Stavolta ci siamo» mi disse Livia stringendosi al mio braccio, dopo averlo conosciuto. E come sempre aveva ragione. Con lui abbiamo realizzato sia il ristorante che il relais & châteaux. Livia ha disegnato con Marco le ceramiche, poi realizzate da artigiani campani, che colorano la prima colazione, il caffè e la tisaneria.
Il progetto della ristrutturazione del relais, che devo alla cocciuta determinazione dei miei due figli, è stato la nostra seconda follia, dopo quella di vent’anni prima. Di nuovo abbiamo investito tutto per rimetterci in gioco. Questa volta, però, con il conforto della complicità dei nostri figli, convinti che la nostra azienda dovesse mantenere il suo cuore artigiano, ma aprirsi al mondo contemporaneo. Fin dalle sue mura. E così a Sant’Agata è arrivata la tivù giapponese, poi quella francese, quella inglese, quella tedesca e quella brasiliana.
Naturalmente, Livia ha personalmente vagliato ogni sfumatura. A partire dal bianco delle pareti. Per quattro mesi, tutti i giorni, ha avuto sotto lo sguardo otto pannelli, con altrettanti punti di bianco diversi – uno virava all’avorio, un altro al grigio, un terzo declinava una sfumatura azzurrina… – e solo dopo una lunga riflessione, ha deciso quale scegliere. Per riuscire a cogliere questi particolari, per me impercettibili, gli ingredienti base sono stati la pazienza, l’abnegazione, la testardaggine di Livia.
A questa scelta di campo bisognava poi affiancare un elemento che rendesse il Don Alfonso riconoscibile, che raccontasse la sua anima mediterranea, la sua vocazione a essere specchio e interpretazione del territorio.
Qui Ernesto e Livia, con Mario e la sua fantasia di accanito viaggiatore, hanno fatto la parte del leone. La struttura doveva essere in armonia con la nostra idea di cibo e la nostra filosofia di cucina ispirata alla natura. Se il bianco rappresentava la pagina da scrivere, c’erano le luci e le sfumature di questa terra da interpretare. Nel rincorrere le stagioni in tavola, con Ernesto già consolidato controcanto in cucina, abbiamo guardato alla stagione che più colora questo lato del mondo, fino alla Grecia: la primavera. Ed ecco l’esplosione di glicine di maggio nelle tazze da tè, da latte, da caffè; il giallo intenso della ginestra, dominante in una delle suite del relais, e su alcune pareti del ristorante; il fucsia, che all’inizio aveva fatto inorridire Livia. Promise di sopportarlo per una settimana solo a condizione di poterlo ridipingere di bianco, se non le fosse piaciuto.
La nostra casa ha i colori dei prodotti che usiamo in cucina e del mediterraneo che ci circonda, perché tutto sia espressione di un unico progetto, specchio di un gruppo compatto: la nostra famiglia è un’azienda in cui noi siamo anche i finanziatori di noi stessi. Come chef questo mi consente una libertà assoluta di inventiva e di espressione. È il nostro fascino questo «volere» e «fare», di quattro teste diverse e anche piuttosto dure e indipendenti, ma è anche il nostro punto nevralgico. Rischiamo in proprio. Però in totale libertà.
Io e Livia abbiamo sempre difeso le nostre scelte in cucina. Con Ernesto e Mario abbiamo compreso che quelle scelte non andavano più espresse, sia pure a livello internazionale, solo nel gusto di un piatto, ma nella sintassi più complessa della vita. Oggi uno chef dev’essere anche un manager capace di relazionarsi con il mondo, altrimenti finisce per non avere visibilità. E uno chef non cucina mai per se stesso, ma per godere del piacere che offre agli altri. Non esiste chef senza pubblico. E il pubblico oggi è il mondo.

Gli altri arredi e… un casaro

Tutto fa accoglienza, ospitalità, casa al Don Alfonso.
In base alla nota bianca di fondo, Livia ha scelto il tovagliato di fiandra che adorna la nostra tavola e che viene stirato due volte: prima in stireria, poi sul tavolo, intorno alle diciannove, quando comincia il rito della mise en place.
E la lanterna in ferro battuto, recuperata da un antiquario in Toscana, che illumina da anni il nostro ingresso, l’abbiamo riproposta in bianco anche nel giardino, facendone realizzare delle copie da un artigiano: Milord (dal cognome Milordo), fabbro di quarta generazione, fa parte della nostra storia perché i nostri padri e i nostri nonni si conoscevano e si frequentavano.
E a proposito di bianco… latte, Milord ci ha fatto conoscere un casaro, Benedetto (alla terza generazione), che con il latte delle sue trenta mucche ci fornisce delle trecce di fiordilatte pannose per le nostre entrée, le caciotte per i ravioli, il caciocavallo podolico, parte del «mosaico di formaggi» e la provola affumicata per gli gnocchetti. In casa nostra accogliamo solo artigiani con il nostro stesso obiettivo: offrire prodotti freschi e del territorio.
Con Livia ci muoviamo pochissimo: il nostro giorno bianco in agenda, in cui cerchiamo di non prendere impegni – cosa sempre più difficile, tra i convegni, le riunioni, la manutenzione della casa – è il lunedì. Qualche volta ci concediamo una cenetta a due allo Scoglio di Marina di Cantone, dove ci accolgono Peppino e sua madre Antonietta, di ottantun’anni. Peppino sa che sono goloso di pesche «tabacchiere», dette così per la forma, e delle susine scure del suo orto, oltre che di ’mpepata di cozze. Un bicchiere di Gragnano, che piace tanto a Livia perché dice che è un vino gioioso, conviviale, che si accompagna a tutto, e due chiacchiere tra amici. Mi basta poco. La tavolozza è bianca. E bianco è anche il colore pacificato della serenità.

Ricevere gli ospiti, una partitura in… bianco

Il personale di sala deve saper essere presente con discrezione: troppa partecipazione diventa soffocante per un ospite, specie se si tratta di una cena a due. Chi serve ai tavoli deve vigilare da lontano e soddisfare, prima che sorga, ogni richiesta. La lunga esperienza ci suggerisce di illustrare i vari piatti, cercando di evidenziare sempre la qualità delle materie prime e di sottolineare i singoli componenti, perché gli abbinamenti spesso incuriosiscono molto per l’originalità (triglia e gnocchetti di limone) o l’apparente contrasto (il cioccolato con la carne di cinghiale, la provola con i calamaretti).
A ricevere gli ospiti pensano Livia e Mario. Livia ha una memoria di ferro e un cuore pulsante, che fa del menu un racconto incantato; Mario ha la simpatia, l’immediatezza, il garbo, ma anche il sorriso, di un giovane padrone di casa che sa proporsi ai propri ospiti con la giusta dose di complicità e di rispettosa distanza.
Ciò che a me preme, invece, è la cornice della mia creazione: il piatto.
Un piatto deve dare aria e spazio alla creazione. Gli ingredienti, i colori, i diversi elementi devono trovarsi alla giusta distanza, distendersi come una pennellata dolce. La cucina deve comunicare serenità, non inquietare, non stordire, non stravolgere. La serenità è una conquista della vita, non è facile da raggiungere. È più facile farsi sentire gridando che a voce modulata: nel primo caso si attira l’attenzione, ma si lascia un senso di sgradevolezza, nel secondo si ha successo solo se quella voce esprime un concetto interessante.
Sul mio foglio bianco devo scrivere una frase elegante, ma efficace, breve, ma non rapida, che sappia conquistare l’interlocutore, anche per come viene interpretata.
Prendiamo, per esempio, un piatto un tempo considerato banale: gli spaghetti. Gli spaghetti alla Don Alfonso vengono serviti come un gomitolo, sormontato dalla salsa di pomodoro fresco e completati con un ciuffo impertinente di basilico.
Questa morbida creazione, che si sviluppa in verticale, permette di raggiungere immediatamente l’olfatto dell’ospite e dare un primo segnale importante: l’intensità del profumo di grano duro, l’acidità del pomodoro, l’avvolgente aroma del basilico. Nell’attimo in cui il piatto viene servito, quel bouquet di sensazioni olfattive costituisce il primo assaggio e predispone al meglio il palato, perché il cervello ha già elaborato, attraverso l’olfatto, un senso di piacevolezza.
Il bianco del piatto ha un ruolo preciso: di mare calmo, di una navigazione gastronomica priva delle asperità degli scogli. Se il piatto fosse colorato, l’impatto sarebbe più aggressivo e volgeremmo l’attenzione alla decorazione, quindi alla parte non edibile. Al Don Alfonso miriamo all’eccellenza, e pertanto ci preme invece concentrare l’interesse dell’ospite sul cibo in sé, non deconcentrarlo con particolari inutili o, addirittura, controproducenti.
E poi il bianco esalta gli altri colori, per esempio il viola dei calamaretti – che solo cotti diventano rosa – che, in genere, mi piace guarnire con i fiori di lavanda, di una tonalità più intensa. O i peperoni verde, giallo e rosso, che propongo come antipasto. O ancora il rosa corallo del risotto di mare con pennellate di nero di seppia.
Ma che cosa succede se anche l’alimento è bianco, per esempio una carne di coniglio o un pesce bollito? Uno strato di spinaci selvatici, un velo di barbabietole viola o delle ciliegie nere e il colore è in tavola!
Il bianco diventa come il riflettore di un teatro, puntato sull’attore che recita il monologo. Concentra l’attenzione del pubblico solo su un interprete. Mi viene in mente Sei personaggi in cerca d’autore, quando la scena viene calamitata, di volta in volta, da uno dei protagonisti della pièce pirandelliana. Immaginate un menu degustazione di sei portate: l’autore c’è già, ma manca un degustatore che, nell’ambiente giusto, venga indirizzato lungo un percorso gastronomico, che, alla fine, si tradurrà in un’emozione… è dunque più di una somma di portate, più di un menu, più di una cena. Un’emozione è il risultato di sensazioni che si moltiplicano, e solo così rimarrà nella memoria.

La pasta

La pasta è il seme della mia terra, è il grano duro di Gragnano e Torre Annunziata, è la trafila in bronzo, è una forma di artigianato artistico, perché il prodotto non può essere modificato, ha una vita a sé stante: se la pasta non è realizzata a regola d’arte – grano, trafilatura, essiccazione, confezionamento – e non ci sono l’aria e l’acqua giusti, non ci sarà cottura, salsa o escamotage che tenga.
Quando ho cominciato a viaggiare per il mondo, con la mia idea di «territorialità» nella valigia – e relative paste, oli e pomodori – spesso mi sentivo dire, soprattutto dai cuochi di formazione francese: «La pasta? Ma cosa volete che sia la pasta? Un prodotto per sfamare la gente». La pasta, però, non è un ingrediente da svilire. D’altronde, dopo «mangiafoglie», i napoletani furono detti «maccaroni» e l’appellativo non era nobilitante, ma derisorio.
Ho dedicato ai cugini d’Oltralpe un doppio raviolo con foie gras e pere, per ricordare loro che uno chef può fare tesoro del patrimonio del mondo e ricondurlo sempre alla propria terra. E che la pasta può essere un alimento ricco o popolare, ma non è un prodotto banale o di second’ordine e può nobilitare anche la tradizione francese, giustamente orgogliosa dei propri preziosi ingredienti.
In Italia ci sono tipizzazioni regionali che ci arricchiscono proprio per la loro diversità: se il Nord predilige la pasta all’uovo e crea capolavori come i tortellini o i ravioli di zucca mantovani, il Centro-Sud fa uso soprattutto di pasta secca. Non è un caso: è una questione di clima. I grani teneri, infatti, hanno bisogno di maggiore umidità e di freddo. Da noi la pasta fresca, pasta ricca fatta con le uova, un tempo era utilizzata solo in occasione delle feste, nei giorni importanti come Pasqua, Natale, Carnevale, nei piatti sontuosi come le lasagne al ragù napoletano e come gli strascinati, poi chiamati cannelloni.
Prendiamo un menu-tipo di cucina internazionale: due antipasti, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La cucina del cuore
  3. Il mondo a Sant’Agata sui due Golfi
  4. Le origini
  5. Peracciole, il nostro Eden
  6. Un giorno al Don Alfonso
  7. Pane e olio
  8. La filosofia della pasta cresciuta
  9. Maestri e sostenitori
  10. La filosofia del Don Alfonso
  11. Il piacere del gusto
  12. Il pomo d’oro
  13. Le cotture
  14. Il cuore in tavola
  15. La cantina, venticinque leghe sotto il suolo
  16. Un signore molto accigliato…
  17. Il caso Don Alfonso
  18. OGM? No, grazie
  19. Il futuro è già oggi
  20. Le nuove frontiere: profumi d’Oriente
  21. E per finire…
  22. Le ricette
  23. Acquerello di tonnetto di passo e melagrana
  24. Millefoglie di pesce bandiera ai carciofi e origano
  25. Polipetti affogati con cuscus, spuma di provolone e cannella
  26. Linguine alle vongole veraci e zucchine
  27. Penne con salsicce e carciofi
  28. Sartù di riso
  29. Sartù di riso in sfoglia di melanzane
  30. Strascinati di nonno Ernesto con leggero ragù di pomodori San Marzano
  31. Vesuvio di rigatoni
  32. Ziti con genovese di pollo, caciotta invecchiata e riduzione di vino rosso
  33. Parmigiana di melanzane
  34. Peperoni farciti di nonna Titina
  35. Millefoglie di melanzana al cioccolato bianco e fondente
  36. Mostaccioli
  37. Roccocò
  38. Struffoli
  39. Liquore di limoni
  40. Ringraziamenti
  41. Colophon