È un bel guaio quando il protagonista di una storia sparisce di colpo senza dare più notizie di sé. Si trattasse di un giallo, il fatto potrebbe trovare una spiegazione e dare persino un impulso decisivo al racconto. Ma nel caso di questa vicenda, l’assenza improvvisa di Michele disorienta tutti, a partire dal narratore. Si crea un vuoto che pare difficile se non impossibile colmare. Forse bisognerebbe interrogarsi sul significato della latitanza e capire quanto a lungo si protrarrà, perché su una cosa non possono esserci dubbi: Michele ha scelto di allontanarsi. Ma proprio per questo decifrare le ragioni del suo gesto non porterebbe lontano, comunque non abbastanza per raggiungerlo e riassegnargli il ruolo che gli compete. Meglio rispettare per il momento la sua decisione e dedicarsi al resto, a tutto ciò che gli sta intorno. Il destino a cui tutti, ci piaccia o no, dobbiamo rassegnarci è che la vita va avanti comunque, con o senza la nostra presenza, vale per chiunque, anche per Michele. Toccherà dunque saltare qua e là, da una zona all’altra della città e non solo, volteggiare sopra varie parti d’Italia e del mondo, in volo low cost possibilmente. Ci sono infatti parecchie persone, donne in particolare, che si apprestano a fare il proprio ingresso concreto nella vicenda, dopo essere state per lungo tempo soltanto evocate nella mente del protagonista. Sarebbe imperdonabile lasciarsi sfuggire proprio adesso rivelazioni e sorprese, azioni, reazioni, passaggi e movimenti, l’intrigante viavai di destini che la storia sta per provocare. La curiosità è più che legittima.
Una breve nota, prima di decollare.
Nel giorno seguente a quello appena narrato, prima di eclissarsi in un luogo ignoto, Michele è stato preso da frenesia organizzativa, si è messo alla caccia di tutti i contatti, ha fatto telefonate, ricerche, incontri, come se sentisse l’urgenza di chiudere prima di poter cambiare idea. Alla sera si è messo al computer, ha scritto e riscritto il messaggio di invito per poi tornare alla prima versione, però ha fatto due piccole aggiunte di non poco conto: luogo e ora dell’appuntamento – “ore 20 a casa mia” – decisione presa d’impulso, più una breve frase finale – “porta con te chi vuoi” – accogliente e liberatoria. Ha inviato a tutte le donne della sua lista, così perlomeno è sembrato, una mail o un SMS, in qualche caso entrambe le cose e alla fine ha cerchiato sul foglio due nomi soltanto, per i quali evidentemente non aveva ancora trovato un recapito. Ha indossato pantaloncini e maglietta, le sue consunte scarpe da jogging, in mano il suo fedele cronometro, ed è andato a correre nella notte. Al ritorno ha fatto una doccia, ha preparato una borsa con discreta cura, ha chiuso casa, è salito in macchina ed è scomparso.
Ciao Cosima, il 15 settembre compio quarant’anni e ho deciso di fare una grande festa, sarei felice di rivederti con tutte le persone che hanno contato per me, se anche tu ci sarai sarà un’immensa gioia. Ore 20 a casa mia. Porta con te chi vuoi. A presto! Michele
“Chi è che ti scrive a quest’ora?”
“Niente, Ettore, dormi...”
“Ma non capisco perché lo tieni acceso anche di notte.”
“Ho dimenticato di spegnerlo.”
“Proprio stanotte, cazzo, domani opero presto...”
“Scusa, adesso l’ho spento.”
L’uomo si rigira nervosamente, cerca di riprendere il primo sonno, quello che più fa infuriare che venga interrotto. Cosima è immobile, trattiene il respiro come se con lo sforzo della sua apnea le fosse possibile ipnotizzare il marito. Passano quanti? Cinque, dieci, venti minuti? Ora Ettore russa, scampato pericolo, se non riposa per bene diventa una belva. Cosima si alza con movimenti lenti, non servirebbe perché Ettore ha il sonno di piombo, ma meglio evitare qualsiasi rischio. Ora è in salotto fra tenda e finestra, legge e rilegge l’SMS. In un bell’appartamento del centro c’è una donna sveglia che pensa. Pensa a un passato che le sembrava lontano, pensa a un presente che le sta stretto, pensa a quanto si sente diversa, meno incosciente, meno sfacciata. Pensa e si chiede: sono più io adesso o ero più io allora? La pendola metà Ottocento fa un tic tac sottile che non disturba il silenzio, ma scandisce il tempo che si consuma, niente di originale, è un orologio e fa il suo mestiere, ciò che è strano è essere lì e farci caso. Mezzanotte meno un quarto, che ora stupida per andare a dormire, anzi c’è di là chi già dorme da un pezzo e invece di qua c’è chi vorrebbe stare sveglia per ore, non stasera ma tutte le sere, per riprendere le abitudini sepolte, le chiacchiere, il vino, la musica. Il messaggio di Michele ha smosso le zolle in un terreno asciutto, forse ghiacciato, in fondo non è altro che l’invito a una festa, ma non sempre chi legge si accontenta del senso delle parole e interpreta, devia, ci aggiunge qualcosa dal proprio vocabolario. Cosima si sente vuota, deve essere l’energia che crede di aver perduto per strada, deve essere il figlio che non vuole proprio arrivare. Accetterà di andarci? E chi porterà con sé? Certamente domani sarà tutto più semplice, alla portata.
Grazie Michele ci sarò! C.
Quella C puntata è il vezzo irrinunciabile, non avrai altra C all’infuori di me. E ora la necessità del realismo: il messaggio non deve essere letto da Ettore. Cosima è convinta che lui, geloso fradicio, di Michele poi non ne parliamo nemmeno, le controlli il cellulare. Ma lei ne sa una più del diavolo. Invia il messaggio al suo telefono numero due, quello che tiene chiuso nel cassetto della scrivania nel suo studio pediatrico, e poi lo cancella. Sorride e ha un ultimo pensiero. Certo che il 15 settembre alle 20 porterò con me chi voglio. E può darsi che non voglia proprio nessuno.
Nello stesso momento in cui, minuto più minuto meno, il messaggio fluttuava nell’aria per giungere sul cellulare di Cosima svegliando il sospettoso e irascibile Ettore, un messaggio quasi identico tranne che per un Cara Thea iniziale si involava verso sud-est, presumibile destinazione Urbino. Ma per qualche misteriosa ragione attinente alle rotte del traffico telefonico raggiungeva una sorta di parcheggio incustodito, un non luogo imprevisto dalla geografia, l’astratta casella affollata di tutti i messaggi non recapitati. È ciò che accade quando un numero viene bollato come inesistente, definizione scorretta perché le cifre che lo compongono sono ancora vive e vegete, però si dice così. E se qualcuno in possesso di poteri paranormali riuscisse a penetrare in quel territorio immaginario vi troverebbe migliaia di parole sprecate per richieste inevase, appuntamenti mancati e inutili complimenti. Dunque è ragionevole pensare che ora l’affettuoso invito di Michele a Thea se ne stia a fianco del più intimo precedente messaggio “Thea! Come va la vita la carriera e il resto? Il 15 festa per il mio compleanno tu non puoi mancare! Right me back please! Michele” e che entrambi, consapevoli che non verranno mai letti, provino un indicibile senso di frustrazione.
I prodigi della comunicazione telematica permettono non solo di bruciare in un attimo spropositate distanze, ma persino di tornare indietro nel tempo, ossia al primo pomeriggio di quello stesso giorno, quando il sole è ancora alto, ma la temperatura esterna sembra obiettivamente più fresca di quanto percepito da Michele e dai milanesi. Nessun errore da parte del servizio meteo, è che a San Francisco si godono i benefici di una primavera perenne. La mano curata di una donna, unghie ben ricostruite e smalto di un lilla brillante, sfiora appena il display di un iPhone sul quale è apparso il segnale di un messaggio in arrivo proveniente da un numero sconosciuto. Pazienza, era nel conto, comunque sempre meglio sconosciuto che inesistente. “Cara Melissa...” è in italiano! Il pollice fa scorrere le parole verso l’alto per raggiungere la riga finale: “Michele”... Michele? Michele! La donna ora legge con calma ogni parola, ha solo qualche incertezza su “compio quarant’anni” e su “immensa gioia”, ma è questione di un attimo, è come con la bicicletta, caracolli alle prime pedalate e poi ti riprendi. Che fantastica idea! È terrificante! Oh, mio Dio! Una festa per i quaranta! È uno sballo totale! Reazione un po’ sopra le righe in effetti, anche se suonerebbe senz’altro meno enfatica ascoltata da un’americana nella sua lingua piuttosto che tradotta così pari pari. La stessa Melissa è sorpresa dal proprio entusiasmo e temendo che qualcuno abbia sentito i suoi strepiti solitari si alza dalla sua scrivania e va ad aprire la porta per controllare. Il corridoio della facoltà è deserto, per fortuna i corsi a quell’ora si tengono altrove. Che sensazione proverebbe Michele nel ritrovarla in un ambiente così tanto simile a quello in cui si consumò il loro primo incontro. Ora Melissa è una docente, stimata e temuta, durante le sue lezioni di diritto societario non vola una mosca, del resto negli Stati Uniti su queste cose si fa veramente sul serio. Eppure, se lui potesse vederla com’è adesso, appena ...