Adélaïde de Clermont-Tonnerre
IL VISONE BIANCO
Traduzione di Nathalie Priore
Fu passando davanti a un’edicola di boulevard Pierre Semard, a Nizza, che Ondine apprese la notizia della morte di sua madre. Sono rari gli scrittori che quando lasciano questo mondo fanno rumore: Zita Chalitzine ne fece molto. Trovò il modo di morire così com’era vissuta: attirando l’attenzione. Prima di tutto perché lo scandalo nel quale era coinvolta era su tutti i giornali da una settimana, poi per via del suo matrimonio con un uomo di vent’anni più giovane di lei, celebrato due giorni prima della rivelazione della frode letteraria, e infine a causa della sua morte prematura. Il 6 dicembre 2006, in rue de Paris, nel quartiere di Lilas, il suo corpo venne ritrovato sul sedile posteriore della sua Mercedes. Indossava una pelliccia di visone bianco, un tailleur-pantalone chiaro Yves Saint Laurent e una camicetta di seta, ed era avvolta in una coperta di cachemire beige: la scrittrice aveva probabilmente avuto bisogno di dolcezza, in quegli ultimi istanti. Si dovette buttare via tutto, per via dell’odore, tranne la pelliccia. Il medico legale datò il decesso a quattro giorni prima, per un miscuglio di medicine e alcol. Due bottiglie di vodka vuote erano scivolate sotto il sedile del passeggero insieme a dei blister, vuoti anche quelli, di Cordrux. Fu un pensionato del quartiere a trovarla. O per meglio dire, il cane del pensionato. Che poi era una cagna, un pastore di Beauce, che, ferma davanti all’auto, si mise a mugolare, ad annusare rumorosamente e a grattare. In un primo momento, temendo che potesse rigare la vernice della carrozzeria, il vecchio la strattonò: «Vieni qui, Séraphine! Vieni qui!», ma mentre la tirava per il collare vide il fagotto avvolto nella coperta. Avvicinandosi notò un tacco a spillo bianco e, girando intorno alla macchina, scorse una ciocca di capelli castani. Bussò al finestrino, ma la donna non si mosse. Gridò e bussò di nuovo, senza ottenere risposta. Allora, veloce quanto le sue gambe incerte e l’agitazione gli permisero, si diresse al commissariato. Gli agenti, dopo avere rotto un finestrino, estrassero Zita Chalitzine e non la riconobbero. Gli scrittori non vengono riconosciuti, fuori dai confini della repubblica del quartiere parigino di Saint-Germain-des-Prés. Pensarono semplicemente: «Una donna di cinquant’anni che deve essere stata bella». Lo era ancora una settimana prima di morire, ma probabilmente in quelle circostanze Zita non era nelle sue migliori condizioni. Per l’identificazione ci volle un po’ di tempo, perché non aveva né borsetta né documenti. «Tipico di mia madre, uscire senza niente in tasca» pensò Ondine quando venne informata delle circostanze del decesso. Nel visone della defunta, gli agenti trovarono il suo cellulare. La batteria era scarica. Dopo aver battuto tutti i piani del commissariato alla ricerca di un caricatore compatibile, finirono per estrarre la scheda e metterla in un altro apparecchio. Nell’elenco “Preferiti” trovarono cinque nomi: “Stronza 1”, “Stronza 2”, “Usuraio”, “Sfruttatore” e “Pierre”. L’ultima opzione sembrò loro la più prudente. Per delicatezza, gli inquirenti affidarono l’oggetto alla centralinista, pensando che una voce femminile avrebbe addolcito il dolore della funesta notizia. Quella donna di mezz’età, con un cuore grande come il suo petto, lanciò loro uno sguardo serio e risoluto prima di premere il tasto che corrispondeva al numero del suddetto Pierre. Si imbatté nel gallerista con il quale Zita viveva e, prima di riuscire a emettere un suono diverso da “Pierre?”, fu aggredita. L’uomo era tremendamente preoccupato. Cosa voleva dire, sparire così? All’indomani del loro matrimonio, poi! E il primo giorno della loro vita insieme! Nessuna notizia per una settimana: niente! Non avevano superato lo stadio di quei ridicoli capricci? Quando avrebbe smesso di guastare la loro felicità? Cinque anni che gli rovinava la vita. Cinque anni! Ah, se avesse ascoltato la voce della ragione, avrebbe chiesto seduta stante il divorzio... Silenzio! Non voleva neanche sentire le sue scuse assurde. Doveva stare zitta! Quante ne aveva ingoiate delle sue scuse patetiche, dei suoi tormenti creativi del cavolo, delle sue angosce morbose e dei suoi periodi sull’orlo del suicidio. Stop! Basta! Finito! Era una volta di troppo. La goccia che fa traboccare il vaso. Ne aveva proprio fin sopra i capelli del suo egoismo forsennato. Che si trovasse un altro allocco, con lui aveva chiuso. E riattaccò. La centralinista, alla quale nessuno aveva parlato con quel tono da quando, nel 1994, aveva avuto un violento alterco con una sua vicina per via di un pero i cui rami danneggiavano il muro comune dei loro giardini, rimase per qualche secondo a bocca aperta, con il cellulare a mezz’aria. Lo posò con un gesto rabbioso, senza dare spiegazioni agli agenti che la guardavano perplessi. Utilizzò il telefono del commissariato per richiamare Pierre e, ancor prima che lui avesse il tempo di dire “pronto?”, gli urlò: «Mi lasci parlare, sua moglie è morta! Zita è morta!» il che, per una persona alla quale era stato richiesto di usare un po’ di tatto con l’interlocutore, non era proprio il massimo.
Il vice commissario prese la cornetta con fare autoritario, declinò generalità e funzioni, confermò l’informazione, presentò le sue condoglianze, diede l’indirizzo del commissariato e riagganciò.
«Poveruomo» mormorò. «Sembrava fuori di sé.»
Ondine, che non parlava più a sua madre da circa dieci anni, non lo venne a sapere in modo molto più piacevole. Pierre, avendo visto il suo nome in un articolo pubblicato su internet dal titolo Manta: cure e apporti nutrizionali in cattività, aveva cercato di contattarla al Museo Oceanografico del Principato di Monaco, ma non le avevano rinnovato il contratto di lavoro e lei era disoccupata già da sei mesi. Tornata a Nizza da sua nonna, che nel quartiere Saint-Roch era conosciuta con il nome di signora Lourdes, Ondine nutriva poche speranze di ritrovare lavoro e occupava le sue giornate a vagare per le strade o a fare sport nella palestra comunale. Non comprava i giornali, ma da qualche giorno un occhio alle edicole lo buttava. Seguiva i botta e risposta della questione Kiev/Chalitzine. Si trattava pur sempre di sua madre... Le sembrava normale, nonostante i loro contrasti, interessarsi a quello che le stava succedendo. Quando lesse, sulla prima pagina di “France-Soir”, Misteriosa morte della scrittrice Zita Chalitzine, Ondine ebbe un colpo al cuore, e ciò la sorprese. Comprò il giornale e andò a sedersi su una panchina di piazza Saint-Roch per leggere l’articolo. Esitò a tornare a casa per avvisare sua nonna, ma decise che, dato che Zita era morta, non c’era nulla di urgente da fare. La ragazza non voleva mancare al suo appuntamento in piscina, e, conoscendo l’emotività dell’anziana signora, era meglio risparmiarle, nelle due ore successive, la tristezza che comunque quella notizia le avrebbe procurato.
Ondine si era sempre detta che, il giorno che sua madre fosse morta, avrebbe portato sua nonna nel miglior ristorante di Nizza, La Petite Maison, e che avrebbero festeggiato l’evento con compostezza. Ma ora non ne aveva più voglia. Non che la notizia di quella morte la rattristasse, non scherziamo, ma non le faceva neanche piacere.
«Eppure avrei dovuto rallegrarmene» confidò la ragazza alla sua compagna di nuoto sincronizzato, accanto alla quale stava facendo il morto dopo trenta minuti di coreografie. «So che una ragazza che parla tanto male di chi l’ha messa al mondo ti fa effetto. Starai pensando che non ho cuore. Bisogna anche considerare il contesto, però... Era lei a non avere cuore. Preferirei poter dire il contrario, credimi... Ma mia madre era una stronza, una stronza bella e buona che ha rovinato la vita di tutti quelli che le si sono avvicinati. Quella degli uomini, prima di tutto. Ti assicuro... Ti fai condizionare dal fatto che era famosa, ma con gente come lei non ci si poteva permettere di essere indulgenti.»
Quando la signora Lourdes si rese conto che sua figlia era morta, pianse molto. L’anziana signora piangeva per qualsiasi cosa, ma questa volta era evidente che fosse davvero addolorata. Si ricordò di sua figlia piccola piccola, e anche di suo marito. Un signore molto gentile. Ondine non lo aveva conosciuto. Sapeva di lui quel poco che sua nonna le aveva raccontato tra un singhiozzo e l’altro, perché non poteva pronunciare il suo nome, Andreij, senza singhiozzare. Ondine si stupiva di quante lacrime il corpo dell’anziana donna potesse contenere. Erano come un fiume sempre pronto a straripare e quel pomeriggio, pensò con ammirazione, avrebbero potuto riempire una bacinella. Si chiese se Zita piangesse spesso, e da dove le venisse la sua durezza. Era strano, dopotutto, avere gli occhi asciutti dopo aver appreso della morte della propria madre. Ondine si disse per l’ennesima volta che non era normale, ma aveva rinunciato a capire le proprie reazioni. Per provare a tranquillizzare la signora Lourdes che continuava a singhiozzare, la ragazza dovette cucinarle delle frittelle. Era l’unico modo per calmarla. Grosse e gustose frittelle alle banane, alle mele o al cioccolato. Alla vista di tutto quel grasso in ebollizione Ondine si sentiva male, ma si trattava di un’emergenza. Prima di ritrovarsi costretta all’immobilità, l’anziana signora ne preparava tutti i giorni, stando china sulle sue pentole come una fata su una culla. Adesso, però, non riusciva più ad alzarsi. Sotto lo sguardo avido della nonna che ripeteva: «Sei gentile, piccola mia» la ragazza mischiò la farina, le uova, il latte e il lievito. Preparò delle rondelle di mela e dei pezzetti di banana, allineò qualche quadratino di cioccolato e poi si mise all’opera. La signora Lourdes non aveva ancora finito di mangiare il primo anello di pastella dorata e passata nello zucchero, che il telefono già squillava. Ondine, che si era riseduta, per rispondere liberò le dita dallo spago con il quale era intenta a comporre delle figure geometriche. Era una giornalista di “Nice-Matin”. All’inizio, Ondine si rifiutò di parlarle: era taciturna per natura; alla quinta telefonata di quel tenore, tuttavia, la signora Lourdes riuscì a convincerla. Ondine doveva difendere sua madre... Il fatto che Zita si fosse comportata così male non era una ragione valida per sottrarsi al proprio dovere. Sarebbe stato soprattutto un modo per cominciare le ricerche che tanto le stavano a cuore... Forse leggendo quell’articolo qualcuno avrebbe potuto avere un’idea, un indizio. Davvero, Ondine sarebbe stata una sciocca a non cogliere quell’opportunità. La signora Lourdes si offrì addirittura di rispondere al posto della nipote, ma Ondine, conoscendo la sua sensibilità, si oppose. Non bisognava stancarla. Né smuovere tutto quel dolore che le opprimeva il cuore. Avrebbe pianto di nuovo, e lei non sopportava di vederla infelice. Quando prese il telefono per chiamare la giornalista di “Nice-Matin”, l’anziana signora le lanciò uno sguardo offeso e pieno di rancore, che però Ondine non colse.
LA FIGLIA DI ZITA CHALITZINE SI CONFIDA:
“MIA MADRE HA SEMPRE GIOCATO CON IL FUOCO
E HA FINITO PER BRUCIARSI”.
È in un modesto trilocale all’undicesimo piano di una torre del quartiere Saint-Roch, che Ondine, ventisei anni, ci riceve. La figlia e la madre della sulfurea scrittrice abitano lì da una quindicina d’anni. Dall’arredamento vecchiotto si può dedurre che, sebbene non siano indigenti, i loro introiti sono modesti. Alle pareti si notano alcuni acquerelli che raffigurano Montmartre e la Tour Eiffel. Sul pavimento, un tappeto della Walt Disney e, un po’ dappertutto, oggetti che riproducono la Santa Vergine. Un piccolo terrazzo su cui agonizzano delle piante in vaso si affaccia su una placida collina. Siamo lontani dallo stile di vita spumeggiante della defunta. Ondine, bella bionda dalla struttura solida, è una studiosa di acquariologia, disoccupata da sei mesi. Diffidente all’inizio della conversazione, si infiamma quando comincia a parlare della scrittrice. La violenza delle sue affermazioni fa intuire che le ferite sono ancora aperte... Da sua madre ha ereditato lo sguardo limpido. Ed è più o meno l’unica cosa.
Intervista di Nathalie Huit
Come ha saputo della morte di sua madre?
Passando davanti a un’edicola.
Cos’ha provato?
Non mi ha fatto né caldo né freddo. Non ci parlavamo più da dieci anni.
Avere come madre un’ex ragazza di Madame Claude è difficile?
Quello che mi fa soffrire è non sapere chi è mio padre.
Non glielo ha mai detto?
No. Mia madre non parlava di lui. Mi chiamo come lei: Chalitzine. Fa rima con il mio nome, Ondine. Trovo sia penoso, ma ci si abitua a tutto. Quando, da piccola, le chiedevo perché non avevo il papà, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Allora non osavo. Non mi piace far piangere la gente, capisce.
Forse non lo sapeva...
Credo che Zita sapesse con chi mi aveva fatta. Mamita [nonna di Ondine e madre della scrittrice – NdR] pensa che andasse a letto con troppi uomini per saperlo. Non sono d’accordo. Perché piangeva, allora, quando gliene parlavo? Per la vergogna? Non era da lei.
Lei crede che, come sostengono i nostri colleghi di “France-Soir”, Zita Chalitzine non fosse l’autrice dei suoi libri?
Durante tutta la mia infanzia ho visto mia madre scrivere. Non faceva altro. Sarebbe strano che i libri non fossero suoi. Quanto a questo Romain Kiev, il vecchio scrittore al quale avrebbe fatto da prestanome, non me ne ha mai parlato. Anche se, a essere onesti, non si può dire che mi abbia mai raccontato un granché.
La fa soffrire il fatto che le opere di sua madre siano tanto criticate?
Non me ne importa niente. Non mi piace leggere. Non capisco tutte queste menate degli intellettuali sulla lettura.
Cosa intende?
È roba da gente a cui non piace la gente. È per quelli che hanno paura di vivere e che preferiscono appassionarsi a personaggi di carta piuttosto che preoccuparsi della propria famiglia. Se almeno fosse scienza, geografia o storia, capirei, ma così... Solo tempo perso.
Trova che la letteratura non serva a niente?
Mi dite cosa può insegnarmi un tizio che viveva in un’epoca in cui non c’erano neanche l’elettricità o gli antibiotici e che credeva che la terra fosse piatta? Si dice che i sentimenti non cambino con il progresso, ma la cosa migliore sarà sempre viverli, no?
Gli scrittori possono guidarci, farci vedere le cose diversamente...
Certo... A dissertare su cose che non hanno mai vissuto sono bravi! E ce la raccontano. E la fanno lunga. Consumano il nostro tempo come se non valesse niente. Esigono la nostra attenzione come se gliela dovessimo.
Non sembra avere molta consid...