Della bellezza
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Della bellezza

  1. 518 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Howard Belsey, docente di storia dell'arte, vive la sradicata esistenza di un britannico costretto ad abitare per ragioni professionali negli Stati Uniti. Da trent'anni è sposato senza trasporto con Kiki, da cui ha avuto tre figli ma, in contrasto con lo scomposto e generazionale entusiasmo dei propri ragazzi, Howard si trova di fronte a una difficile valutazione della propria esistenza. Quando le vicende della vita porteranno lo studioso rivale Monty Kipps e la sua famiglia a trasferirsi anch'essi dall'Inghilterra agli Stati Uniti, deflagrerà un conflitto in cui si mescoleranno in modo irresistibile dati identitari, ideologici e squisitamente umani: amore, tradimento, malattia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804569077
art
Della bellezza e dell’errore
Quando dico che odio il tempo, Paul dice come potremmo altrimenti trovare profondità di carattere, o lasciarci crescere l’anima?
MARK DOTY

1

Un immenso parco di Londra nord, composto di querce, salici e noci, tassi e sicomori, faggi e betulle; che racchiude i punti più elevati della città e si estende ben oltre; che è così ben progettato da dare l’impressione di un’assoluta spontaneità; che non è campagna, ma non è più giardino dello Yellowstone; che ha una sfumatura di verde per ogni possibile sollecitazione della luce; che d’autunno si tinge di ruggine e ambra, di giallo canarino nella piovosa primavera; con radure d’erba alta adatta a nascondere amanti adolescenti e fumatori di marijuana, grandi querce contro cui uomini audaci possano baciare le loro prede frementi, prati rasati per partite estive di pallone, collinette per aquiloni, laghetti per hippy, una piscina gelida per anziani signori dalla costituzione robusta, lama dispettosi per bambini dispettosi e, per il turista, una villa di campagna dalla facciata dipinta di un bianco capace di sfidare qualsiasi primo piano di Hollywood, completa di sala da tè, anche se qualsiasi cibo o bevanda andrebbe consumato all’aperto, con l’erba che ti solletica le piante dei piedi, seduti sotto la grande magnolia, mentre le bianche campane capovolte dei fiori dalla punta rosa acceso cadono ondeggiando intorno a te. Hampstead Heath! Gloria di Londra! Dove Keats andava a passeggiare e Jarman a scopare, dove Orwell esercitava i suoi polmoni malconci e Constable non mancava mai di trovare qualcosa di nobile e santo!
Siamo ormai alla fine di dicembre; il parco ha indossato il suo austero manto invernale. Il cielo ha perso ogni traccia di colore. Gli alberi sono neri e potati senza pietà. L’erba è grigiastra e scricchiola sotto i piedi, e l’unico sollievo per la vista è l’occasionale lampo scarlatto dell’agrifoglio. In una casa alta e stretta, affacciata su questa meraviglia, i Belsey trascorrono le vacanze natalizie con Rachel e Adam Miller, amici di lunghissima data di Howard, anche loro dell’ambiente universitario, sposati addirittura da più tempo dei Belsey. I Miller non hanno figli e non festeggiano il Natale. Ai Belsey piace moltissimo farsi ospitare da loro. Non tanto per la casa, che è un caos di cani, gatti, tele incompiute, barattoli di cibo non meglio identificato, polverose maschere africane, dodicimila libri e una quantità imprecisata ma sicuramente eccessiva di ninnoli. Ma il parco! Da ogni finestra la visuale ti impone di uscire a godertelo. Gli ospiti obbediscono nonostante il freddo. Metà del loro soggiorno la trascorrono nel giardinetto invaso dai rovi dei Miller, le cui minuscole dimensioni sono compensate dal fatto di terminare dove cominciano i laghetti di Hampstead. Howard, i giovani Belsey, Rachel e Adam si trovavano tutti in giardino – i ragazzi occupati a lanciare ciottoli nell’acqua, gli adulti a guardare due gazze che si facevano il nido tra i rami di un albero –, quando Kiki spalancò la portafinestra e si affrettò verso di loro, con la mano sulla bocca.
«È morta!»
Howard guardò la moglie avvertendo solo un vago allarme. Tutti coloro che lui amava veramente si trovavano lì, in quel giardino. Kiki gli si accostò ripetendo con voce rauca il suo messaggio.
«Chi… Chi è morta, Kiki?»
«Carlene! Carlene Kipps! Michael… è stato lui a telefonarmi, il figlio.»
«Come diavolo hanno avuto questo numero?» chiese ottusamente Howard.
«Proprio non lo so… immagino gliel’abbia dato il mio ufficio… non posso credere che sia vero. L’ho vista due settimane fa! La seppelliscono qui, a Londra. Nel cimitero di Kensal Green. Il funerale è venerdì.»
La fronte di Howard si contrasse.
«Funerale? Ma… non avremo certo intenzione di andarci.»
«MA CERTO che ci andiamo!» strillò Kiki, e scoppiò in lacrime, allarmando i figli che a quel punto si avvicinarono. Howard strinse la moglie tra le braccia.
«Va bene, va bene, va bene, andiamo, andiamo. Oh, cara, scusami. Non sapevo che tu…» Howard smise di parlare e la baciò sulla tempia. Fisicamente, era un’eternità che non le stava così vicino.
art
A non più di un miglio di distanza, nel frondoso Queen’s Park, si sbrigavano in una sorta di torpore le questioni pratiche che seguono alla morte di qualcuno. Un’ora prima che Michael telefonasse a Kiki, tutti i giovani Kipps erano stati convocati nello studio di Monty: Victoria, Michael e Amelia, la fidanzata di Michael. Il tono della richiesta li aveva indotti ad aspettarsi qualche notizia ancora più sconvolgente. Solo una settimana prima, ad Amherst, avevano scoperto la causa della morte di Carlene: un cancro particolarmente aggressivo del quale lei non aveva parlato con nessuno. In valigia le avevano trovato analgesici del genere che può essere prescritto solo in ospedale. Nessuno sapeva ancora chi glieli avesse prescritti. Michael trascorreva gran parte del suo tempo al telefono a urlare improperi ai medici. Era senz’altro più facile comportarsi così che chiedersi perché sua madre, che sicuramente era ben consapevole di essere sul punto di morire, avesse sentito il bisogno di nasconderlo a coloro che più l’amavano. Trepidanti, i ragazzi entrarono nella stanza e si accomodarono sulle sformate poltrone edoardiane di Monty. Gli scuri erano chiusi. L’unica luce della stanza proveniva da un caminetto rivestito di mattonelle a disegno floreale, nel quale ardeva un piccolo fuoco di legna. Monty sembrava stanco. Gli occhi sporgenti erano arrossati, e il panciotto sporco e sbottonato gli pendeva ai lati del ventre.
«Michael» disse Monty, porgendo al figlio una piccola busta. Michael la prese fra le mani.
«Tutto ciò che possiamo pensare» disse Monty, mentre Michael estraeva dalla busta un foglietto piegato in due, «è che la malattia di vostra madre in qualche modo avesse già iniziato a intaccare le sue facoltà mentali. Questo è stato trovato nel cassetto del suo comodino. Che cosa ne pensate?»
Amelia, che per leggere aveva allungato il collo sulla spalla del fidanzato, si lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata.
«Be’, in primo luogo è impossibile che una cosa del genere sia legalmente vincolante» affermò subito Michael.
«È scritto a matita» esclamò Amelia.
«Nessuno pensa che sia legalmente vincolante» disse Monty, pizzicandosi la radice del naso. «Il problema non è questo, direi. Il problema è: che cosa significa?»
«Mamma non avrebbe mai scritto una cosa del genere» affermò recisamente Michael. «Chi ci dice che sia la sua scrittura? Io non credo.»
«Ma che cosa dice?» chiese Victoria scoppiando di nuovo a piangere, come faceva praticamente ogni ora da quattro giorni.
«A tutti gli interessati» lesse Amelia, sgranando gli occhi e sussurrando le parole in modo infantile. «Alla mia morte, lascio il mio Jean Hypp… Hypp… non riesco mai a pronunciare questo nome… raffigurante Maîtresse Er… Erzu…»
«Sappiamo di che cavolo di quadro si tratta!» sbottò Michael. «Scusa, papà» aggiunse.
«… alla signora Kiki Belsey!» annunciò Amelia, come se fossero state le parole più straordinarie che le fosse mai stato chiesto di pronunciare a voce alta. «Ed è firmato dalla signora Kipps!»
«Non l’ha scritto lei» insisté Michael. «Impossibile. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Spiacente. Quella donna evidentemente esercitava sulla mamma un qualche ascendente di cui noi non ci rendevamo conto… di sicuro aveva messo gli occhi sul quadro già da qualche tempo… sappiamo che è stata in questa casa. No, scusatemi, è del tutto fuori questione» concluse Michael, anche se la sua argomentazione si era elegantemente avvitata su se stessa.
«Ha stregato la signora Kipps» guaì Amelia, la cui innocente immaginazione subiva l’influsso di alcuni fra i più coloriti episodi della Bibbia.
«Zitta, Ammy» mormorò Michael. Girò il biglietto come se il retro potesse fornirgli qualche indizio riguardo alla sua provenienza.
«È una questione di famiglia, Amelia» disse severamente Monty. «E tu non ne fai ancora parte. Perciò sarebbe preferibile che ti astenessi da ogni commento in merito.»
Amelia strinse la croce d’oro che portava al collo e abbassò lo sguardo. Victoria si alzò dalla poltrona e strappò il biglietto dalle mani del fratello. «Questa è la scrittura della mamma. Assolutamente.»
«Sì» disse con ragionevolezza Monty. «Di questo non si può dubitare.»
«Ascolta, quel quadro vale, quanto? Diciamo trecento testoni? In sterline?» chiese Michael, poiché i Kipps, a differenza dei Belsey, non provavano orrore alcuno a parlare di denaro in modo esplicito. «Ora, è assolutamente impensabile, impensabile, che potesse lasciarlo uscire dalla famiglia… e questo me lo conferma il fatto che abbastanza di recente le era in qualche modo capitato di accennare al fatto che…»
«Voleva darlo a noi!» squittì Amelia. «Come regalo di nozze!»
«Si dà il caso che l’abbia fatto» convenne Michael. «E adesso mi vieni a dire che ha lasciato il quadro di maggior valore che ci sia in questa casa praticamente a un’estranea? A Kiki Belsey? Non credo proprio.»
«Non c’era nessuna lettera, nient’altro?» chiese sconcertata Victoria.
«Niente» disse Monty. Si passò una mano sul cranio lucido. «Non riesco proprio a capire.»
Michael percosse violentemente il bracciolo della poltrona. «Se penso alla possibilità che quella donna si sia approfittata di una persona malata come la mamma… è rivoltante.»
«Michael… qui si tratta di capire come possiamo affrontare questa cosa.»
A questo punto i Kipps maschi scesero sul terreno pratico. Alle donne presenti nella stanza non venne chiesto di scendere da nessuna parte, per cui si appoggiarono istintivamente allo schienale della poltrona, mentre Michael e suo padre si chinarono in avanti con i gomiti sulle ginocchia.
«Pensi che Kiki Belsey sia a conoscenza di questo… biglietto?» chiese Michael, consentendo a malapena a quest’ultima parola una credenziale d’esistenza.
«Non lo sappiamo. Sicuramente non ha avanzato nessuna richiesta. Per ora, almeno.»
«Che ne sia a conoscenza o no» s’intromise Victoria «non può dimostrare nulla, giusto? Voglio dire, non ha nessuna prova scritta da portare in tribunale o simili. Ma quel quadro ci tocca di diritto, porca vacca.» Victoria si abbandonò di nuovo ai singhiozzi. Le sue lacrime avevano un che di petulante. Era la prima volta che la morte, in qualsiasi forma, si intrometteva nei piacevoli confini della sua vita. E accanto a sofferenza e cordoglio genuini, si affacciava in lei una livida incredulità. In ogni altro ambito dell’esistenza, quando i Kipps venivano feriti avevano sempre avuto la possibilità di opporsi; Monty aveva sostenuto tre cause per diffamazione; Michael e Victoria erano stati abituati fin da piccoli a difendere ferocemente le proprie convinzioni religiose e politiche. Ma a questo… a questo non ci si poteva opporre. I liberali laici erano una cosa; la morte un’altra.
«Ti prego di non usare questo genere di espressioni» disse Monty con fermezza. «Devi portare rispetto a questa casa e ai tuoi familiari.»
«A quanto pare rispetto i miei familiari più della mamma… visto che qui neanche ci nomina.» Così dicendo afferrò il biglietto, che un istante dopo le sfuggì e cadde ondeggiando sul tappeto.
«La mamma…» prese a dire Monty, ma subito s’interruppe, versando la prima lacrima che i suoi figli avessero visto dall’inizio della vicenda. Di fronte a quella lacrima, Michael non seppe contenersi: lasciò ricadere la testa all’indietro sullo schienale della poltrona, emise un acuto, straziante gracidio e cominciò a sua volta a piangere strozzate lacrime di rabbia.
«La mamma» ritentò Monty «è stata per me una moglie devota e per voi una splendida madre. Ma negli ultimi tempi era molto malata… Iddio solo sa come abbia fatto a sopportarlo. E questo» disse, recuperando il biglietto dal pavimento, «è un sintomo della sua malattia.»
«Amen!» esclamò Amelia aggrappandosi al braccio del fidanzato.
«Ammy, ti prego» ringhiò Michael, divincolandosi. Amelia nascose la testa sulla spalla di lui.
«Forse ho sbagliato a farvelo vedere» disse Monty, piegando il biglietto in due. «Non significa nulla.»
«Nessuno pensa che significhi qualcosa» ribatté aspramente Michael, asciugandosi gli occhi con il fazzoletto che Amelia aveva pensato bene di offrirgli. «Brucialo, e non pensiamoci più.»
Finalmente la parola era stata pronunciata. Un pezzo di legno scoppiettò forte, come se il fuoco fosse stato in ascolto e chiedesse affamato nuovo carburante. Victoria aprì la bocca ma non disse nulla.
«Esattamente» disse Monty. Appallottolò il biglietto nel pugno e lo gettò con disinvoltura tra le fiamme. «Anche se dovremmo invitarla al funerale, credo. La signora Belsey.»
«E perché?» esclamò Amelia. «È una persona cattiva… l’ho vista quella sera alla stazione e ha fatto finta di non vedermi, come se fossi stata trasparente! Chissà chi si crede di essere. Ed è praticamente una rastafari!»
Monty si accigliò. Stava diventando evidente che come tranquilla ragazza cristiana Amelia non era esattamente il massimo. «Ammy non ha tutti i torti. Perché dovremmo invitarla?» chiese Michael.
«Chiaramente, in qualche modo tua madre si sentiva vicina alla signora Belsey. Negli ultimi mesi era stata lasciata molto sola, da tutti noi.» Nell’udire quell’ovvia verità, ciascuno trovò un punto del pavimento sul quale dirigere lo sguardo. «Così si era fatta una nuova amica. E qualunque sia la nostra opinione, dobbiamo rispettare questa scelta. Dobbiamo invitarla. È una questione di pura e semplice correttezza. Siamo d’accordo? Fra l’altro, non credo proprio che ce la farà a venire.»
Qualche istante dopo i ragazzi sfilavano di nuovo attraverso la porta dello studio, un tantinello meno sicuri riguardo alla vera personalità della donna il cui necrologio sarebbe comparso sul “Times” del giorno dopo: Lady Kipps, sposa amorevole di Sir Montague Kipps, madre devota di Victoria e Michael, passeggera del Windrush, instancabile operaia della fede, patrona delle arti.

2

Attraverso i finestrini sporchi del taxi, i Belsey guardarono Hampstead trasformarsi in West Hampstead, West Hampstead in Willesden. Sui piloni di ogni ponte ferroviario che incontravano, i graffiti si facevano un po’ più numerosi; lungo ogni strada, gli alberi si facevano più radi e più numerosi i sacchetti di plastica che sventolavano dai rami. Seguì un infittirsi degli esercizi in cui si vendeva pollo fritto, finché, giunti a Willesden Green, non parve che un’insegna su due facesse riferimento al pollame. Sopra i binari della ferrovia, un messaggio scritto in caratteri giganteschi, quasi di sfida alla morte: TUA MADRE HA CHIAMATO. In altre circostanze, ci avrebbero riso sopra.
«Da queste parti sembra tutto più… scadente» azzardò Zora, con la nuova voce pacata che aveva assunto in occasione di quella morte. «Non sono ricchi? Pensavo che fossero ricchi.»
«È casa loro» spiegò Jerome con semplicità. «Gli piace abitare qui. Hanno sempre abitato qui. Non sono gente pretenziosa. È quello che ho sempre cercato di spiegarvi.»
Howard tamburellò con la fede nuziale sullo spesso vetro del finestrino. «Non lasciarti fuorviare. Da queste parti ci sono veri e propri palazzi. E poi agli uomini come Monty piace essere il pesce grosso in un piccolo stagno.»
«Howard» disse Kiki, in un tono tale che nessuno aprì più bocca fino a Winchester Lane, dove il loro viaggio si concluse. Il taxi si fermò davanti a una chiesetta inglese di campagna, strappata al suo contesto rurale e collocata di peso in quella periferia urbana, o almeno così parve ai giovani Belsey. In realtà era stata la cam...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Kipps e Belsey
  5. La lezione di anatomia
  6. Della bellezza e dell’errore
  7. Nota dell’autrice
  8. Ringraziamenti