Philip ed Eliot avevano un bell’essere amanti, ma non arrivarono mai a scambiarsi le mutande. Anche se ci avessero provato, sarebbe stato impossibile. Eliot prediligeva dei boxer corti comodi e con sopra disegnate cose come corone o galli, mentre Philip era quasi feticisticamente attaccato a dei semplici slip bianchi. Uno dei segnali che avrebbe dovuto riconoscere, fosse stato meno cieco, meno egoista, meno innamorato, era che Eliot non lasciava mai nessuno dei suoi vestiti da Philip quando non stava lì. Nessuna delle sue mutande rimaneva nel cassetto di Philip dopo il suo passaggio né nessuna delle sue camicie o dei suoi indumenti sportivi. Solo molto tempo dopo Philip scoprì un unico calzino violetto, con il bordo fantasiosamente decorato da un disegno di elefanti ballerini. A quel punto, Eliot era ormai partito per Parigi.
Successe bruscamente. Un giorno, poco tempo dopo la cena da Derek Moulthorp, la segreteria telefonica di Eliot entrò in funzione e non venne più staccata.
Per tre giorni Philip lasciò messaggi ed Eliot non lo richiamò. Il quarto giorno il silenzio all’altro capo del telefono, quando parlava, incominciò a terrorizzarlo. Smise di lasciare messaggi, e si limitò ad ascoltare rabbiosamente la calma voce di Eliot sul nastro: «Se lasciate il vostro nome e numero di telefono, Eliot o Jerene vi richiameranno al più presto».
Quando per una settimana non sentì neanche una parola, lasciò un messaggio a Jerene nella sua casella della posta, pregandola di incontrarlo in un caffè il pomeriggio seguente. Lei venne in ritardo, ma venne. A un tavolino sul fondo, su brutte panche di plastica rossa rattoppate con nastro adesivo, bevvero un caffè che Philip insistette per pagare. Jerene era magra e nervosa come al solito e indossava l’eterna giacca di pelle e i jeans. «Sono contento che tu abbia ricevuto il mio messaggio» disse Philip.
«Sì, l’ho ricevuto.»
«È passato un bel po’ di tempo. Che cosa hai combinato nel frattempo?»
Jerene accese una sigaretta. «Be’,» disse «la cosa più importante che ho combinato è stata di lasciare l’università.»
«Davvero? Perché?»
«Ho deciso che non faceva per me. Mi sono resa conto che non finivo la tesi perché in realtà non avevo nessuna voglia di scrivere una tesi. Così ho lasciato perdere. Adesso sto facendo altre cose, cose migliori.» Sorrise con sicurezza. «Ho un lavoro come buttafuori in un bar di lesbiche» disse. «Tengo fuori gli uomini. Non è uno schianto?»
Philip sorrise. «Dev’essere stato duro mollare dopo sette anni» disse.
Lei scrollò la testa in un vigoroso no. «È stata la cosa più facile che abbia mai fatto in vita mia» disse. «È bastato che dicessi: “Che si fotta”, e all’improvviso tutte le pressioni erano scomparse, completamente scomparse. È la cosa migliore che avrei potuto fare. Comunque, adesso sono molto più felice. Ho una nuova ragazza, molto simpatica… che tu lo creda o no, è quella che lavora da Laura Ashley. E lavoro anche come volontaria, rispondo alle telefonate sulla Linea Calda gay. Non hai idea di cosa sia non dover dipendere da una biblioteca per la tua salute mentale. Per la prima volta in sette anni sono rilassata. Posso pensare alla mia vita e non soltanto a quella maledetta tesi.»
Philip sorrise. «Splendido» disse. «Temevo che non saresti venuta.»
Lei rise. «Perché non avrei dovuto venire, Philip?»
«Non lo so. Ora come ora sembra che il mondo sia in combutta per isolarmi. O quantomeno Eliot.» Rise di nuovo, poi le sue labbra si congelarono in una bieca parodia di un sorriso, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Philip» disse Jerene. «Philip.» Posò la tazza di caffè, si sfregò le mani come un insetto. Sembrava del tutto incapace di toccarlo. «Senti» disse. «Lo so cosa provi. Sono stata piantata anch’io. Comunque, penso che Eliot si comporti proprio come un bambino. Glielo dico tutti i giorni che razza di bambino è.»
Philip si soffiò il naso. «Lo fai davvero?» disse.
Jerene annuì.
«E lui cosa dice?»
Lei distolse gli occhi. «Dice che non vuole vederti. Dice che non può affrontarti» disse.
Philip spalancò gli occhi e si sporse in avanti sulla panca. «Non può affrontarmi!» disse. «Non può affrontarmi!» e pianse ancora più forte.
«Ti prego, non chiedermi di giustificarlo» disse Jerene. «Fa cose del genere alla gente. Lo ha fatto anche con altri ragazzi. A volte può essere un vero bastardo.»
Ma Philip parve non sentirla. Adesso stava proprio singhiozzando. Di fronte a loro, una donna dai capelli lunghi che portava un paio di occhiali scuri rotondi, come ispirata da lui, cominciò a piangere a sua volta.
Poi, nel bel mezzo di singhiozzi e lacrime asciugate: «Me lo deve».
«Cos’è che ti deve?» chiese Jerene.
Philip balbettò: «Me lo deve. Perlomeno… perlomeno di parlarmi».
Jerene gli prese la mano. «Philip,» disse «lo so. Dovresti essere schifato. Si sta comportando in modo molto immaturo, molto irresponsabile. È una persona debolissima; ben pochi se ne rendono conto, ma è debolissimo. Non sto cercando di giustificare il suo comportamento, niente del genere, sto solo sottolineando che la debolezza nel suo caso lo rende crudele.»
Philip, tra lacrime di rabbia, disse: «Non puoi semplicemente dirmi di odiarlo, Jerene; non è mai stato così schifosamente facile decidere semplicemente che odi qualcuno che invece è la persona che ami». Tolse dalla giacca un fazzoletto di carta tutto stracciato, e si soffiò di nuovo il naso. «Digli che deve parlarmi» disse. «Me lo deve.»
«Glielo dirò, Philip» disse Jerene. «Ma non posso prometterti che servirà a qualcosa. È come quando non hai pagato la bolletta del telefono. Non paghi, e continui a non pagare. Poi ricevi una lettera. Poi un’altra lettera. E ancora non paghi. Poi, all’improvviso, ti staccano il telefono. Bene, Eliot è più o meno nello stadio che precede l’arrivo della prima lettera. Non so a cosa servirà, ma glielo dirò. Gli dirò che vuoi parlargli.»
Più calmo, Philip disse: «Grazie», e di fronte a loro la donna dagli occhi di gufo si asciugò gli occhi.
«Gesù, dove siamo? Al Bellevue?» disse la cameriera al cuoco.
«Greenwich Village, terra di finocchi e di matti» rispose lui, e gettò un hamburger sulla griglia.
Pagarono il loro conto e uscirono. Nervosamente, sul marciapiede, si abbracciarono e si divisero, incamminandosi in direzioni opposte nel vento. Philip si mise un paio di occhiali scuri che aveva acquistato di recente. Si sentiva come una di quelle donne dall’aria ricca, tradite e abbattute che talvolta vedeva in giro, dalle parti dei suoi genitori, avvolte in cappotti chiari e sciarpe e con occhi nascosti dietro occhiali scurissimi, come se tutti gli abiti fossero una benda per coprire ferite indicibili. Si ficcò le mani in tasca. Non voleva pensare. Dall’altra parte della strada un giovane dai capelli neri con degli occhialetti e con indosso un vecchio maglione nero sedeva sulla panchina della fermata dell’autobus a leggere un giornale, e il cuore di Philip cominciò a battere a una velocità doppia rispetto al solito. Ma poi vide che l’uomo non era Eliot. Non gli assomigliava nemmeno.
In seguito Philip andò a molte feste. Telefonava a tutti quelli che conosceva, informandosi sulle feste. Eliot non c’era mai a nessuna. Philip si ricordò che sua madre gli aveva raccontato di una coppia di divorziati che conosceva, i quali, trovandosi alla stessa festa, erano riusciti a coordinare i propri movimenti in modo da non trovarsi mai nella stessa stanza nello stesso momento. C’era un elemento di graziosa cooperazione nel loro mutuo evitarsi che aveva colpito Rose. Ma Philip sapeva che, se avesse per caso incontrato Eliot a una festa (il che era improbabile, perché Eliot aveva un vero e proprio talento per prevedere dove sarebbe andato Philip e starne alla larga), non sarebbe stato affatto grazioso; gli sarebbe corso incontro, lo avrebbe afferrato alla vita, senza lasciarlo andare.
Una sera durante la settimana, verso le undici, era seduto con Brad Robinson, un suo vecchio compagno del college, a bere un caffè al Kiev, un ristorante aperto ventiquattro ore che si rianimava dopo mezzanotte, come una persona al secondo giro dei locali notturni della Seconda Avenue. Era indicativo dello stato di depressione di Philip che non gli importasse niente di attraversare mezza città nel cuore della notte solo per bere un caffè. Adesso, circondato dai profughi della vita notturna dell’East Village, infagottato in una giacca a vento imbottita di piuma che lo faceva somigliare alla larva di una farfalla rara e ridicola, si circondava con le braccia per proteggersi contro il vento gelido che gli soffiava addosso ogni volta che la porta si spalancava, mangiava fette calde di babka affogate in burro e cannella, e parlava di Eliot. Il fiato della cameriera indiana usciva in nuvolette visibili mentre riempiva nuovamente le loro tazze di caffè caldo. Bustine di tè strizzate sudavano sui piattini. La cameriera, che indossava i guanti, portò altra babka, e aggiunse delle cifre al foglietto verde e bisunto del conto.
«Penso che quel che mi manca» disse Philip «sia il senso di euforia che mi dava. Vera euforia. Perché tutto sembrava così giusto, così facile con Eliot. Non dovevi mai dirgli niente, né subire l’imbarazzo di spiegarti. Capiva sempre, e faceva sempre esattamente quello che speravi avrebbe fatto.»
Brad non era molto impressionato. «È uno stronzo» disse a Philip. «Crede di essere più che umano. Tu parli di lui come se fosse una persona ipersensibile, io invece penso che abbia solo approfittato della tua sensibilità, del fatto che piccoli gesti, cosucce che per lui non sono niente, possono significare un sacco per te. E in cambio, lui ottiene reverenza. Ma, naturalmente, la reverenza diventa noiosa, o almeno così dice lui. Conosco il tipo. Una volta che si annoiano, fanno proprio così: tagliano tutto.»
A venticinque anni, Brad, come molti degli amici di Philip, poteva ancora contare i suoi amanti sulle dita di una mano, ma era convinto che l’intensità dell’esperienza compensasse la quantità. Ricordava ogni dettaglio delle sette notti della sua vita che aveva passato con i suoi amanti; in verità, la sua capacità di giudizio e di analisi, sia durante che dopo, era, e lui lo riconosceva, probabilmente uno dei motivi per cui la maggior parte delle sue “storie d’amore” non erano durate più di pochi giorni. Come Sally aveva detto spesso a Philip, la gente fiuta il panico da lontano.
«Vuoi dire che io sono stato troppo riverente?» chiese ora Philip a Brad. «Aveva sempre detto che, se si fosse stancato di me, me l’avrebbe fatto sapere. Immagino che si sia stancato. E certamente me l’ha fatto sapere. Così mi chiedo: avrei dovuto essere più imprendibile? Più duro? Più indipendente? Avrei dovuto farmi desiderare di più?»
Brad scosse la testa, sorrise. Era piccolo, di carnagione pallida; a venticinque anni ne dimostrava ancora quindici, gli veniva sempre chiesta la carta d’identità nei bar e nei club, persino durante i mesi in cui aveva avuto una pallida barba bionda. «Avresti potuto essere una qualsiasi di queste cose» disse ora a Philip. «Ma con Eliot è difficile. Lui ti incoraggia a dipendere totalmente da lui fin dall’inizio. Gli piace. Devi superare l’impatto iniziale con lui prima di renderti conto che è solo un essere umano, anche se a lui piacerebbe farti credere che è una specie di alieno superiore, un visitatore di un altro pianeta o non so che.»
Philip bevve un sorso di caffè e guardò il suo riflesso nella vetrina del ristorante appannata dal fiato. «Non posso negare niente di quello che dici, Brad» disse. «E non posso neanche fingere che non mi faccia stare meglio, in qualche modo, sentir parlare qualcuno che non ha soggezione di lui. Ma, allo stesso tempo, devi ammettere che ha davvero talento, un talento enorme. È un vero sensualista, come immagino diresti tu, nel senso che sa come far sentire la gente… non proprio in maniera diversa ma con maggiore intensità del normale. Questo con me l’ha fatto. Vorrei solo poter descrivere l’intensità di questa cosa, la meraviglia…»
Ma non poteva descriverla. L’influenza di Eliot era effimera; diventava salmastra nel ricordo. Ormai, quando Philip visualizzava quei giorni e quelle notti insieme, le scene avevano qualcosa di verdastro, di irreale, come un vecchio film che è rimasto troppo a lungo in una scatola. Sembrava che si svolgessero sott’acqua. E mentre pronunciava la parola “meraviglia”, be’, non provò niente. Il ricordo stava svanendo. Come per ogni samaritano, Philip lo sapeva, il piacere di Eliot esigeva che egli desse piacere agli altri; ma si trattava di samaritanismo, o di avidità di controllo? Philip aveva dunque frainteso Eliot per tutto il tempo, pensando che non desiderasse nient’altro che dare? Ogni sensualista richiede un oggetto, dopotutto, così come ogni mago richiede un volontario dal pubblico: una creatura mite e fiduciosa, piena di fervidi sentimenti e inaspettato desiderio, immensamente sensibile all’ambiente immediatamen...