Il mondo ai miei piedi
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Il mondo ai miei piedi

  1. 616 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mondo ai miei piedi

Informazioni su questo libro

Settembre 1981. Rianne de Zoete, bellissima ereditiera sudafricana, viene mandata a studiare contro la sua volontà in un esclusivo college inglese. Cresciuta secondo le regole della società bianca, privilegiata e razzista, Rianne è molto diversa dalle tre compagne con cui è costretta a condividere la stanza. Ma se con i suoi atteggiamenti arroganti risulta inizialmente insopportabile, ben presto le quattro trovano un'intesa e diventano inseparabili. Quando però Rianne scopre che il ragazzo più corteggiato del college è proprio Riitho Modise, figlio del più noto prigioniero politico sudafricano e soprattutto del nemico numero uno della sua famiglia, ecco che cominciano i guai seri.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804546122
eBook ISBN
9788852017018
PARTE PRIMA

1

Malvern, Inghilterra, settembre 1981
Durante il viaggio, a un certo punto si svegliò per un sobbalzo. Per una frazione di secondo era di nuovo a casa, sul retro, intenta a guardare Poppie stendere il bucato quotidiano nell’abbacinante luce estiva di Johannesburg. Per un attimo udì gli scoppi di risa dei cugini Hennie e Marika che sfuggivano al caldo tuffandosi nella piscina in fondo al giardino. La piscina. Le lacrime le salirono agli occhi quasi subito. Voltò bruscamente la testa, sforzandosi di abbandonare il passato. Quello era il Sudafrica. Quello era ieri, adesso era in Inghilterra. Guardò dal finestrino mentre la Mercedes divorava i chilometri tra l’aeroporto di Heathrow e Malvern, nella parte occidentale del paese. Cieli grigi, campi grigi... dense nuvole basse, minaccia costante di pioggia. Era tutto così diverso dalla luce e dagli spazi che aveva lasciato, un mondo intero di distanza rispetto ai cieli chiari dell’alto veld e i vasti, morbidi paesaggi del Capo Occidentale. La pioggia scorreva sui finestrini della macchina, una triste e lenta bava che ingoiava la luce e cancellava il confine tra nuvole e cielo. L’Inghilterra. Rabbrividì. Non si era mai sentita così sola. Sprofondò nei morbidi sedili di pelle, asciugandosi velocemente le lacrime col dorso della mano e chiuse di nuovo gli occhi.
Rivedeva ancora le loro facce nella sala d’aspetto delle partenze, Marika in lacrime, Hennie silenzioso e meditabondo, zia Lisette agitata e in colpa. Rianne l’aveva ignorata mentre il cuore le martellava nel petto. La stavano mandando via. Lisette la stava allontanando dall’unica famiglia che avesse mai conosciuto dalla morte della madre, prima, e poi del padre. Era scossa da un misto di rabbia e paura ma era ben determinata a non darlo a vedere. Aveva abbracciato ancora una volta Marika, poi aveva preso il suo bagaglio a mano ed era sparita dietro la porta della cabina di prima classe senza voltarsi indietro nemmeno una volta. Che le venisse un accidente se lasciava che Lisette la vedesse piangere. Era andata velocemente al suo posto ignorando le occhiate di comprensione delle hostess.
Dire addio a Marika e Hennie le era dispiaciuto ma il peggio era stato separarsi da Poppie, la governante, la cameriera, il surrogato di madre, la depositaria dei segreti e la sua migliore amica, il tutto riunito in un’unica morbida, scura e confortante figura. In passato le era già capitato di salutarla centinaia di volte quando partiva per trascorrere l’inverno sudafricano nell’estate europea con i parenti della madre o un mese a New York con zia Lisette e i suoi soci d’affari. Ma era sempre tornata a casa da Poppie e da quel caldo odore familiare che ricordava da quando era nata. Era stata lei ad abbracciarla e a farle distogliere lo sguardo quando sua madre era annegata ed erano venuti a recuperarne il corpo in piscina. Era da lei che era corsa dopo che suo padre era sparito e Lisette le aveva detto che era morto. Ed era stata ancora Poppie a intervenire quando Lisette aveva spiegato alla nipote che sarebbe stato meglio se avesse lasciato Vergelegen e i terribili ricordi che circondavano la casa e fosse andata a vivere con lei a Johannesburg. Rianne, in preda a una crisi isterica, non voleva partire e si aggrappava disperatamente a Poppie urlando che sarebbe morta piuttosto che abbandonarla. E così era partita anche Poppie, portando con sé i suoi due bambini, per trasferirsi nell’elegante, grande casa di Lisette nei sobborghi a nord della città. Non c’era stato verso di far muovere Rianne senza di lei. E adesso l’aveva lasciata. Il solo pensiero le faceva male e dovette ingoiare le lacrime.
L’autista le lanciò una rapida occhiata sul sedile posteriore mentre lei si rannicchiava fuori del suo campo visivo. Si chiese chi fosse. Le istruzioni erano state semplicemente di prelevare una certa signorina de Zoete all’Hotel Penhaligon di Heathrow e portarla al collegio. Nato e cresciuto nel quartiere est di Londra, quel nome non gli diceva nulla. Chi era mai?
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Era Rianne Marie Françoise de Zoete, figlia dello scomparso magnate Marius Tertius de Zoete, nipote della più potente donna d’affari del Sudafrica, Lisette de Zoete-Koestler, ed erede delle grandi fortune minerarie dei de Zoete. Aveva sedici anni, era ricca, bella e terribilmente viziata. Alta, magra, con una folta capigliatura bionda che le arrivava alla vita, aveva zigomi pronunciati e insoliti occhi scuri a mandorla. Gli occhi della madre, il carattere del padre.
Sua madre, la rampolla francese Céline de Ribain, aveva diciannove anni quando, a un ballo organizzato a Londra da amici comuni, conobbe quel giovane, timido sudafricano. Anche se il francese del ragazzo era atroce e l’inglese di lei limitato, ne rimase colpita. I suoi genitori erano preoccupati perché, nonostante la sua ricchezza, lo trovavano goffo, inelegante e piuttosto nouveau. Quando lo sposò, tre mesi più tardi, erano scandalizzati e ben più che leggermente spaventati. Non avevano tutti i torti. Prima che si rendessero conto di quanto fosse successo, lei se ne era andata verso una nuova vita che loro potevano appena immaginare, “in capo al mondo”, come la definivano. Così, da un giorno all’altro, Céline de Ribain era diventata Céline de Zoete e, come Marie-Hélène de Ribain fece notare in tono acido al marito, quel de Zoete non solo era un africain ma lei sospettava addirittura che provenisse da una famiglia ebrea. Affreux.
Le indagini accurate ma discrete di Claude de Ribain diedero pochi frutti. Nei circoli europei non si sapeva molto sulle famiglie dei nouveaux riches del Sud. Scoprì che il padre dell’uomo, un ebreo spiantato, era effettivamente arrivato in Sudafrica da qualche paesino dell’Europa orientale, cercando fortuna nelle miniere di oro e diamanti come molti altri prima di lui. Si era sposato con una ragazza di buona e rispettabile famiglia, anche qui niente di nuovo, ma a parte questo erano sorprendentemente poche le informazioni sulle quali Claude poté mettere le mani. Marius comprò un appartamento grande e luminoso in Avenue Foch, appena qualche portone dopo i genitori di lei, ma era chiaro che per loro era come se l’avessero perduta: all’inizio parlava inglese, in seguito con il marito e la graziosa figlia Rianne l’afrikaans, quella lingua strana e difficile. Adoravano la loro unica nipote, e ogni volta che Céline tornava a Parigi con la piccola la pregavano di lasciarla da loro, solo per qualche tempo, perché migliorasse il francese e cominciasse a conoscere la cultura della madre. Ma Céline si era sempre rifiutata dicendo, divertita, che non poteva staccarsi nemmeno per una notte dal suo tesoro.
E poi avvenne l’indicibile: Céline annegò. Nella piscina di casa, davanti alla figlia, in una di quelle limpide giornate estive del Capo di cui aveva sempre parlato. Rianne aveva allora dieci anni ma era abbastanza grande per capire cosa significasse quanto era successo. Sua madre non c’era più. Anche quando scomparve il padre, solo qualche settimana più tardi, capì cosa volesse dire. La sua vita era cambiata per sempre e in peggio. I nonni francesi Claude e Marie-Hélène de Ribain, sconvolti dal dolore, avevano chiesto a Lisette se poteva occuparsi di Rianne. Claude era volato fino a Città del Capo, nella bella casa di famiglia di Vergelegen. Aveva discusso con Lisette per riuscire a riportare a Parigi quanto era rimasto loro della propria figliola, ma Lisette aveva rivelato un freddo cuore di pietra: Rianne era la figlia di Marius, una de Zoete, e come tale era una responsabilità sua, non loro. Claude era tornato a Parigi a mani vuote con un dolore greve e profondo che non lo avrebbe mai lasciato del tutto, anche se Rianne andava a trovare i nonni ogni anno. La ragazza non seppe mai dei tentativi che avevano fatto per tenerla con loro, la zia pensò fosse meglio non raccontarle nulla. L’avrebbe cresciuta come uno dei suoi figli. Purtroppo, per la giovane le cose non stavano proprio così.
Il loro rapporto non era cominciato bene. Rianne rifuggiva da Lisette e dai suoi nauseanti tentativi di farle da madre. La ragazza era fredda, irraggiungibile e poi ostile, soggetta a sbalzi di umore e a periodiche crisi di pianto. Era imprevedibile, volubile, ostinata. Lei e Hennie, così vicini di età, erano nemici giurati, si odiavano. Lisette temeva sempre, rientrando nella bella casa, di trovarla ridotta a un campo di battaglia. Guardava con orrore le braccia del figlio piene di graffi e contusioni, risultato di giorni e settimane di lotta tra i due cugini. A volte, quando li sorprendeva ad azzuffarsi sul pavimento del corridoio o a darsi pizzicotti seduti sul divano davanti alla TV, chiamava Poppie disperata.
«Perché non la smettete voi due?» gridava esausta separandoli, attenta a non rovinarsi le unghie. «Basta, ho detto basta, Rianne!»
Rianne scoppiava immancabilmente in lacrime e scappava di corsa in camera sua. Poppie sembrava l’unica capace di confortarla e Lisette gliela cedeva, stremata. Lei doveva consolare Hennie. Furono mesi terribili, un inferno. Non c’era altra definizione.
Marika osservava con simpatia, incapace di intervenire o non disposta a farlo. Aveva due anni più di Rianne ed era già abbastanza intimorita dai suoi look e dal suo atteggiamento temerario di sfida verso tutto e tutti. Lei, la brava ragazza di casa, in segreto sognava di assomigliare alla cugina più giovane. Prendeva spesso le difese di Rianne mandando su tutte le furie Hennie. Lisette era ormai al limite. Le aveva provate tutte, ogni approccio possibile: materno, amichevole, severo, da sorella, ma niente sembrava funzionare. La ragazzina restava più indifferente e distante che mai.
Quando Rianne compì dodici anni, si stabilì una difficile tregua. Si sopportavano. La nipote non era come la maggior parte delle altre ragazze, Lisette confidava preoccupata agli amici, e di sicuro non assomigliava alla cugina più grande. A scuola era popolare, tutti la cercavano, tutti desideravano averla come amica del cuore e il telefono suonava in continuazione. Stranamente, lei sembrava non accorgersene o non farci caso. Era contenta sia da sola sia quando si trovava al centro dell’attenzione. Lisette, che doveva il bell’aspetto e la figura snella più ad anni di rigorosa autodisciplina che a un dono di natura, ricordava con amarezza le ragazzine della sua scuola, carine come Rianne, che non avevano mai dovuto fare fatica per imporsi. Bastava essere belle. Erano gli altri ad andare verso Rianne, non il contrario. Era abituata a ottenere le cose a modo suo, prendeva semplicemente quello che le veniva dato o quello che voleva, quando voleva.
Era stata mandata a Glendales, l’esclusiva scuola appena fuori Pretoria. Marika era un’allieva modello dello stesso istituto, ma era chiaro che Rianne non avrebbe avuto ambizioni di questo tipo. Marika era responsabile e giudiziosa; Rianne incostante e indisciplinata. Una era capoclasse e risultava sempre prima agli esami, l’altra marinava spesso le lezioni ed era stata sorpresa due volte a fumare con un paio di ragazzi più grandi dietro al laboratorio di chimica, la gonna impigliata negli slip a mostrare le lunghe gambe abbronzate. A Glendales era stato quasi uno scandalo. Le cose peggiorarono velocemente. Alla fine Rianne fu vista salire sulla macchina di un ragazzo dell’ultimo anno, lasciare la scuola e rientrare quando era già buio da un pezzo. Dove fossero spariti nessuno l’aveva mai saputo, lei si era sempre rifiutata di rivelarlo. Lisette, convocata per ritirare la nipote per una sospensione temporanea, non sapeva che pesci pigliare, così aveva detto a Poppie andando in cucina a prendere un bicchiere. Aveva un disperato bisogno di un drink. Poppie si era limitata ad alzare le spalle e a dare un pizzicotto a Rianne quando era entrata con un’espressione annoiata sul viso grazioso.
Lisette si era quasi rassegnata a vivere in un perpetuo stato di guerra quando, poco prima del sedicesimo compleanno di Rianne, avvenne il miracolo. Lei e Hennie smisero di colpo di litigare e sembrarono fare la pace. La calma scese su tutta la casa. Marika stava preparando gli esami di ammissione all’università e lasciava raramente la sua stanza. Lisette era così felice del “cessate il fuoco” che non prestava ai ragazzi alcuna attenzione. In quei giorni era molto preoccupata per gli affari di famiglia: lei e Hendryk, il fratello più giovane di Lisette e Marius, stavano guidando l’azienda verso una serie di rapide espansioni, da oro e diamanti verso platino, titanio e altri rari metalli preziosi. Viaggiava spesso a Londra, Amsterdam e addirittura a New York e Buenos Aires. I tre bambini, anche se era difficile continuare a chiamarli così, erano abituati alle sue lunghe assenze e alla vista del suo bagaglio, valigie di pelle con monogramma stampato, allineato ordinatamente in corridoio. Di loro si occupavano Poppie, il più giovane dei suoi figli, Seni, due autisti e tre guardie del corpo.
Erano al sicuro come lo potevano essere dei teenager sudafricani bianchi. Ricchi, protetti, sereni. Nel loro mondo tutto era come doveva essere, nulla sarebbe mai cambiato. Le rare volte in cui Rianne rientrava presto, prendevano i piatti dall’elegante sala da pranzo e li portavano nelle loro stanze, dove guardavano insieme la TV distesi a pancia in giù. Rianne amava queste serate, sdraiata sul pavimento tra i suoi cugini. Era un piacevole diversivo rispetto al girovagare nei centri commerciali o, più di recente, nei bar, dove lei e i suoi amici sembravano abbastanza grandi da passare per diciottenni. Con Lisette spesso assente, poteva fare quel che voleva, libera dal controllo della zia e dal peso di dover pensare a come comportarsi, che cosa fare, come essere. Non aveva mai capito che ruolo aveva lei in quella casa. Sorella, cugina, figlia, amica? Aveva sedici anni: sapeva di essere sul punto di dover prendere delle decisioni sulla sua vita, dove vivere, cosa fare. Marika se ne sarebbe andata presto, voleva studiare medicina a Stellenbosch. Hennie nel giro di un anno sarebbe partito per il servizio militare. Rianne non voleva frequentare l’università e non riusciva a immaginare di lavorare. Andare all’estero? Ma dove? Non pareva avere reali ambizioni ma la cosa non la impensieriva. Sembrava piuttosto contenta di lasciarsi trascinare dagli eventi.
Quell’ultimo anno lei e Hennie passarono ore a chiacchierare davanti alla televisione o a galleggiare nella piscina a forma di rene. Le cose tra loro avevano cominciato a cambiare, piccoli mutamenti che avevano allo stesso tempo allarmato e turbato Rianne. Notava il modo con cui Hennie la guardava, come le sue mani tremavano impercettibilmente quando gli chiedeva di allacciarle il bikini o spalmarle la crema solare sulle spalle abbronzate. A diciassette anni, quasi un anno più di lei, Hennie stava diventando la versione più giovane e bionda di suo zio, il padre di Rianne. Era forte, fisicamente dotato, aggressivo e insicuro a seconda delle situazioni. Era anche bello. Non gli mancavano certo le ammiratrici, la casa era spesso piena di ragazze di Glendales e di altre scuole prestigiose, tra cui alcune amiche di Rianne, che la consideravano l’essere più fortunato della terra per il fatto di vivere tutto il giorno con Hennie. Lei ne rideva.
Purtroppo Rianne non era stata l’unica ad accorgersi dei cambiamenti. Una sera Lisette rientrò tardi da una riunione e trovò Hennie e la nipote sdraiati per terra nella sala della TV poco illuminata, le gambe intrecciate, la testa della ragazza sul suo petto mentre lui le sussurrava qualcosa. Accese la luce, sconvolta più da quello che aveva temuto che da quanto avesse realmente visto. Con voce tremante ordinò loro di andare a dormire. «Domani c’è scuola, cosa diavolo credete? È mezzanotte passata!» Hennie ebbe almeno il buongusto di sembrare imbarazzato, le guance arrossate. Balzò in piedi e batté in ritirata per il corridoio. Rianne invece si limitò ad alzarsi, con indosso solo un paio di ridottissimi shorts e un top in cui il suo seno di adolescente fluttuava libero, e passò con calma davanti alla zia per andare in camera.
Lisette rimase in piedi al centro della stanza respirando profondamente. Bisognava fare qualcosa. Con Marika in partenza nel giro di pochi mesi, non poteva lasciare i due bambini da soli. Anche se, ripeté a se stessa, non erano più bambini. Doveva fare qualcosa. Ma cosa?
Qualche settimana più tardi, mentre era in veranda ad aspettare che Hennie e Rianne finissero la lezione di tennis in fondo al giardino, pensò di aver trovato la soluzione. Avrebbe mandato Rianne in Inghilterra come c’era andato suo padre prima di lei. Cambiare ambiente le avrebbe fatto bene.
Magari dopo uno o due anni in Inghilterra avrebbe continuato gli studi in Svizzera, in una di quelle costosissime scuole di perfezionamento dove avrebbe appreso i rudimenti del fascino. Aveva parlato con un paio di amici in Gran Bretagna chiedendo un consiglio per individuare una scuola adatta a quella nipote irrequieta. Ma prima doveva dirlo a lei.
Osservava nervosamente i due ragazzi che risalivano lentamente la collinetta verso casa, sottobraccio, le racchette in spalla. Erano così simili. Non fece alcuna foto ma conservò quell’immagine dei due cugini, suo figlio e la figlia del suo adorato Marius, come se li vedesse insieme per l’ultima volta. Hennie era di una spanna più alto della cugina, ma Rianne era forte quanto lui. Aveva ereditato da Marius l’amore per l’aria aperta, la passione per le sfide sportive e fisiche ma anche la bellezza delicata dalla madre. A sedici anni era uno schianto. Lisette era preoccupata non solo per suo figlio ma anche per tutti gli altri giovanotti che bazzicavano per casa, esattamente come le amiche di Rianne aspettavano Hennie speranzose. Eppure, nonostante la sua bellezza, nella ragazza c’era qualcosa che non andava... qualcosa di debole, di fragile e doloroso.
Naturalmente era legato alla perdita dei genitori, Lisette lo sapeva. A Rianne non era mai mancato nulla... amore, sicurezza, calore. Lisette si era preoccupata che la ragazzina entrasse subito nel cuore della sua famiglia... ma ciò, in un certo senso, non era sufficiente. La nipote sembrava affamata di qualcosa che Lisette non riusciva però a definire. C’erano in lei un certo coraggio, una temerarietà che la preoccupavano. Rianne si comportava come se non dovesse rendere conto a nessuno, nemmeno a ciò che era rimasto della sua famiglia. E questo impensieriva Lisette.
Quando arrivarono in veranda li accolse con un sorriso. Erano stanchi e sudati dopo una partita di un’ora sotto il sole dell’autunno avanzato. «Tesoro» disse a Rianne porgendole un bicchiere...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Parte Prima
  5. Parte Seconda
  6. Parte Terza
  7. Parte Quarta
  8. Parte Quinta
  9. Parte Sesta
  10. Parte Settima
  11. Parte Ottava
  12. In amore e in guerra – Prologo
  13. I romanzi di Lesley Lokko nelle edizioni Mondadori