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La morte si muoveva sinuosa nell’acqua.
Una feroce determinazione induriva il suo viso come pietra. Nuotò più in basso, procedendo con forti spinte delle ampie mani palmate. I capelli d’ebano fluttuavano liberi, una nube d’inchiostro di seppia che si gonfiava dietro di lei. Sottili scie di bollicine gorgogliavano dalle branchie palpitanti.
Si guardò indietro. Il suo sciame di nyadd incursori, in file ammassate che nuotavano in formazione, era avvolto nel lugubre alone verdastro delle fiaccole fosforescenti utilizzate per illuminare la via. Impugnavano anche picche con punte di corallo seghettate. I ricurvi coltelli adamantini attendevano inguainati nei foderi di giunchi che si incrociavano sui loro petti squamosi.
L’oscurità iniziò a diradarsi, consentendo occhiate al fondo sabbioso dell’oceano, punteggiato di rocce sporgenti e fogliame ondeggiante. Ben presto divennero visibili le pendici della scogliera, bianche e scoscese, chiazzate da funghi porporini. Le superò a nuoto, seguita dai suoi guerrieri. Proseguirono lungo la dorsale della scogliera, muovendosi rapidi appena sopra la sua superficie, e a distanza così ravvicinata la contaminazione saltò agli occhi. Vegetazione malata e scarsità di pesci, testimonianze del male che avanzava. Brandelli di cose morte fluttuavano loro accanto, e il freddo, così fuori stagione, che quasi congelava l’acqua, era maggiore a quella profondità .
Sollevò una mano quando avvistarono l’obiettivo. Le truppe abbandonarono le fiaccole, che tempestarono il fondo marino con una cascata di smeraldi. Poi si avvicinarono per radunarsi intorno a lei.
Davanti a loro, dove la dorsale della scogliera si divideva, c’era uno sperone roccioso costellato di cavità e autentiche caverne, naturali e artificiali. A quella distanza non si notavano segni di occupanti. Impartì i suoi ordini. Una dozzina di guerrieri si staccarono dal gruppo e avanzarono verso il nemico, tenendosi bassi e fuori vista. Il resto, con lei in testa, si avvicinò lentamente come retroguardia.
Accostandosi alla fortezza individuarono i primi tritoni, un pugno sparso di sentinelle all’oscuro del primo gruppo di incursori che li stava accostando dal basso. Lei li guardò con disprezzo. La loro somiglianza con gli umani era solo parziale, ma bastava a disgustarla. Già questo, al pari di ogni disputa per il territorio o per le risorse di cibo, nella sua mente giustificava un atto di guerra. Arrestando la colonna, rimase a guardare mentre la sua avanguardia si avvicinava.
Ogni sentinella fu presa di mira da due o tre guerrieri. Quella più vicina era un maschio. Aveva un atteggiamento noncurante, quasi fosse più concentrato sulla minaccia di un predatore solitario che di un attacco a sorpresa. Fece un mezzo giro, restando sospeso nell’acqua, e confermò l’iniziale ripugnanza.
La testa e la parte superiore del torso del tritone erano molto simili a quelle di un umano, tranne per le branchie sottili come lame di rasoio su entrambi i lati del torace. Rispetto a un umano, il suo naso era più largo e schiacciato, e gli occhi coperti da una sottile membrana. La creatura non aveva peli sul petto o sulle braccia. Esibiva tuttavia una chioma di riccioli color ruggine e una corta barba ricciuta.
Dalla vita in giù differiva in modo radicale dalle forme umane e somigliava maggiormente alle nyadd. In lui, la carne lattea era sostituita da lucenti squame sovrapposte a coprire una coda lunga e più sottile, che culminava in una grande pinna a ventaglio.
Il tritone era armato con l’arma tradizionale della sua razza, un tridente lungo quanto una lancia e con i rebbi a punta di freccia.
Due guerrieri gli si avvicinarono. Avanzarono da dietro e da un lato, sfruttando gli angoli ciechi della sentinella, e nuotando veloci. Al tritone non restavano molte possibilità . Puntando la sua picca uncinata, la nyadd di destra colpì con forza, ferendo il tritone appena sopra la vita. Il colpo non fu fatale, ma servì come dolorosa distrazione. Mentre il tritone sbalordito si girava per fronteggiare l’aggressore, la seconda nyadd gli arrivò alle spalle. Impugnava una daga a lama seghettata. Stringendo rapido la mano intorno al collo del nemico, gli tagliò la gola.
La sentinella si agitò convulsamente per qualche istante, avvolta dalla nube scarlatta che sgorgava dalla ferita mortale. Poi il suo corpo cominciò a scendere verso il fondo, lasciandosi dietro scie rosse simili a nastri purpurei.
Restando alla retroguardia con il grosso delle forze, lei rimase a guardare mentre i suoi scout si occupavano delle altre guardie.
Colto alla sprovvista come il primo, un tritone venne trattenuto da una nyadd mentre un’altra gli conficcava nel petto il suo coltello. Una femmina, una sirena, calò a spirale verso il fondo con una lancia piantata in mezzo ai seni nudi. Affondò boccheggiando in silenzio il suo dolore. Con uno scatto dettato dal panico, un tritone sferrò un colpo di taglio a una nyadd con il suo coltello, scordando che sott’acqua un affondo è molto più efficace. Scontò la sua dimenticanza con una picca affondata nelle viscere.
Rapidamente, brutalmente, le sentinelle vennero eliminate con la massima efficienza. Quando anche l’ultima fu sopraffatta, gli scout le segnalarono il successo attraverso l’acqua tinta di rosa.
Era il momento di schierare l’intero sciame. Al suo comando avanzarono, impugnando le armi e aprendosi a ventaglio. Il silenzio era totale. Le uniche cose che si muovevano all’infuori dei guerrieri nyadd erano i cadaveri galleggianti delle sentinelle.
Il gruppo aveva quasi raggiunto il suo obiettivo quando nella fortezza alveare si notò un’improvvisa animazione. Di colpo la costruzione eruttò un’orda di tritoni pesantemente armati. Riversandosi fuori emisero uno strano suono, un gemito stridulo e oscillante che serviva loro da linguaggio, un rumore reso ancora più bizzarro dalla sua distorsione attraverso l’acqua.
Questa era un’altra cosa che odiava in loro. Adesso il suo disgusto trovava uno scopo.
In testa allo schieramento, guidò le sue truppe incontro ai difensori disorganizzati. Nel giro di pochi secondi, invasori e difensori si trovarono a fluttuare gli uni addosso agli altri, e i due schieramenti si frammentarono all’istante in una miriade di letali scaramucce.
La magia dei tritoni e delle sirene, come quella delle nyadd, apparteneva al genere della divinazione ed era usata soprattutto per procacciarsi il cibo oppure orientarsi negli abissi. Aveva una scarsa importanza marziale. Quella era una battaglia da combattere con coraggio e abilità , con lama e lancia.
Abbandonando il suo canto acuto, un tritone calò dall’alto impugnando un tridente. Le tre punte si conficcarono profondamente nel petto del guerriero accanto a lei. Ferita a morte, la nyadd si dibatté a tal punto da strappare l’arma dalle mani del tritone. Poi sprofondò, sparendo alla vista con le mani artigliate intorno al tridente e lasciando una scia rossa.
Privato della sua arma principale, il tritone sguainò un coltello, una versione in miniatura del tridente, e concentrò la sua attenzione su di lei. Menò un fendente. Lei evitò il colpo. La forza dell’azione del tritone ebbe la dovuta reazione, spingendolo da un lato e facendogli compiere un mezzo giro su se stesso. Ma lui si riprese in fretta e tornò a fronteggiarla.
Lei gli afferrò prontamente il polso della mano armata. Solo allora lui vide che le sue nocche erano ricoperte di strisce di pelle costellate di affilate punte metalliche. Fece un disperato tentativo di bloccarle il polso libero, ma troppo tardi. Sempre tenendolo bloccato con una mano, lei strinse l’altra a pugno e cominciò a martellargli il diaframma. Nel preciso istante in cui gli assestò il terzo pugno, gli lasciò libero il polso. L’impatto del colpo lo spinse lontano da lei. Il tritone abbassò gli occhi verso le sue sanguinose lacerazioni, il viso deformato da una smorfia di dolore, e venne ingoiato dal caos.
Sulle borchie aguzze che adornavano le sue nocche rimasero brandelli di tessuto ittico.
Un movimento intravisto con la coda dell’occhio la fece girare. Una sirena nuotava nella sua direzione, caricando con un tridente. Con un poderoso guizzo della coda muscolosa la nyadd schizzò verso l’alto, schivando di poco l’attacco. Incapace di fermarsi, la sirena finì in mezzo a un nugolo di guerrieri nyadd, che a colpi di lancia le strapparono la vita.
Tutt’intorno infuriavano gli scontri; singoli, o gruppo contro gruppo. Dovunque, coppie di antagonisti erano allacciati nella bizzarra danza a spirale, mani allacciate intorno ai polsi, braccia che si tendevano per affondare una lama. I feriti gravi tingevano l’acqua; i morti venivano spinti di lato a colpi di gomito.
L’avanguardia nyadd stava combattendo nella stessa fortezza. Alcuni guerrieri si stavano aprendo un varco nelle entrate. Lei fece per raggiungerli.
Un tritone con occhi lampeggianti schizzò a bloccarla. Reggeva una lama seghettata lunga quanto uno spadone, con un’elsa a due mani. Per contrastare la portata di quell’arma lei sguainò la sua; più corta, ma aguzza come un punteruolo. Girarono in tondo, indifferenti agli scontri su ogni lato.
Lui fece un affondo, deciso a passarla da parte a parte. Lei schivò, colpendogli con forza la lama nella speranza di strappargliela di mano. Lui conservò la propria arma, arretrò veloce e tentò un altro affondo. Un movimento a piroetta la tolse dalla traiettoria del colpo. Ora il braccio teso del tritone era scoperto. Lei lo colpì con una nocca borchiata, mettendo a segno solo un colpo di striscio ma tagliando ugualmente a fondo la carne. Il suo avversario ne rimase preoccupato al punto da consentirle di tentare un altro colpo con la spada. Che trovò il suo cuore. Ci fu un’eruzione scarlatta. Estraendo la lama, lei liberò un fiotto di globuli color rubino. Il tritone morì, a bocca spalancata.
Allontanò con un calcio il cadavere e riportò l’attenzione sulla conquista della fortezza.
Ormai il suo sciame la ricopriva. Molti erano entrati a completare il massacro. In ottemperanza ai suoi ordini, i superstiti rimasti venivano brutalmente eliminati e il nido nemico ripulito. Superò nuotando uno dei suoi guerrieri che stava strangolando con una catena un tritone che si dibatteva, mentre un’altra nyadd trapassava una vittima con la sua lancia.
Ben pochi fra tritoni e sirene restarono in vita. Uno o due superstiti erano fuggiti e ora nuotavano lontani, ma questo non le dispiaceva affatto. Avrebbero sparso la voce che colonizzare nei dintorni del suo dominio era una pessima idea. Sotto i suoi occhi, i giovani della razza sconfitta venivano trascinati fuori dalla fortezza e messi a morte, secondo le sue istruzioni. Non aveva alcuna intenzione di lasciare accesi fuochi pericolosi per il futuro.
Quando l’operazione fu conclusa, e lei giudicò che la missione era stata completata in modo soddisfacente, diede ordine allo sciame di ripiegare.
Mentre si allontanava accompagnata dalle sue truppe, un guerriero accanto a lei le indicò la fortezza alle loro spalle. Un branco di shony si stava avvicinando a banchettare. Erano animali lunghi e snelli, con la pelle che luccicava di un azzurro argenteo. Le loro bocche erano fessure incredibilmente lunghe che di lato sembravano la parodia di un sorriso. Una volta aperte, esibivano file sterminate di candidi denti affilati. I loro occhi erano vitrei.
Le creature non la preoccuparono più di tanto. Perché avrebbero dovuto attaccare lo sciame quando avevano a disposizione un’abbondante fornitura di carne appena macellata?
Resi frenetici dall’avidità , gli shony iniziarono a ingoiare pezzi di carne sanguinolenta a grossi bocconi. Nel dibattersi e mordersi a vicenda sollevarono nubi fangose dal fondo marino. In parecchi si misero a lottare per lo stesso boccone, i denti stretti ferocemente e tirando in direzioni opposte. Arrivarono altri predatori.
Lo sciame si lasciò alle spalle quella bolgia famelica, e a tempo debito iniziò a muoversi verso l’alto, in direzione di un lontano cerchio di luce. Mentre risalivano, lei si concesse un istante di gratificazione per il destino dei nemici massacrati. Un’azione leggermente più decisiva e qualunque minaccia posta dalla loro razza alla sua sovranità sarebbe stata stroncata sul nascere.
Se solo avesse potuto dire lo stesso di altre razze, specialmente della pestilenza umana!
Raggiunsero l’imboccatura di un’ampia caverna subacquea, il cui interno era illuminato da frammenti di roccia fosforescente. Entrò, alla testa dello sciame. Ignorando gli inchini del distaccamento di guardie che la custodiva, salì fino a un grande pozzo verticale nel soffitto della caverna, illuminato a sua volta. Il pozzo si spingeva fino a un raccordo e si divideva in due canali gemelli, simili a vaste condotte. Accompagnata da due luogotenenti, nuotò nel passaggio di destra. Il resto dello sciame prese quello di sinistra, verso gli accantonamenti.
Pochi minuti dopo il suo gruppetto emerse dall’acqua. Sbucarono in un immenso bacino, che badavano a tenere allagato fino all’altezza del petto: requisito fondamentale per soddisfare le esigenze di una razza anfibia, che necessitava di un accesso costante all’acqua. La struttura semisommersa era in parte corallo, in parte roccia prossima a sgretolarsi. Sul soffitto si erano formate stalattiti. A un occhio inesperto poteva sembrare una rovina, con una porzione di una parete assente e le altre ricoperte di fanghiglia e cosparse di licheni. L’odore di vegetazione marcia gravava nell’aria. Ma in termini nyadd era l’anticamera di un palazzo.
La parte mancante consentiva la vista delle paludi e, più avanti, del grigio oceano, costellato di isole rocciose dall’aspetto sinistro. Un cielo corrucciato si fondeva con l’orizzonte.
Le nyadd si erano perfettamente adattate al loro ambiente. Se una lumaca senza guscio fosse cresciuta fino alle dimensioni di un piccolo cavallo, avesse sviluppato un carapace simile a un’armatura e imparato a reggersi eretta su una robusta coda muscolosa, se le fossero cresciute pinne dorsali e braccia con mani dotate di crudeli artigli, se dai suoi fianchi gialloverdi fossero spuntati viticci e avesse avuto una testa da rettile, con la mascella sporgente, una bocca a mandibole, denti aguzzi come aghi e occhi piccoli e infossati, sarebbe stata qualcosa di simile a una nyadd.
Ma non sarebbe stata come lei.
Diversamente dalle nyadd che governava, lei non era di sangue puro. La sua origine di sanguemisto le aveva fornito una fisionomia unica. Era un simbionte, nel suo caso un misto di nyadd e umano, anche se il ceppo nyadd era primario. O almeno lei aveva scelto di credere che fosse così. Aborriva la sua ascendenza umana, e nessuno che attribuisse un certo valore alla propria vita avrebbe osato rammentarglielo.
In comune con i sudditi, possedeva una coda robusta e le pinne dorsali, anche se queste erano più simili a lembi di pelle che alle dure membrane delle nyadd. La parte superiore del suo corpo e le ghiandole mammarie, che teneva scoperte, combinavano pelle e squame, anche se le squame erano molto più piccole della norma nyadd e mostravano deboli sfumature arcobaleno. Apparati branchiali erano dislocati su entrambi i lati del tronco.
La testa, pur di aspetto inconfondibilmente rettiliano, era la parte in cui la sua eredità umana appariva più evidente. Diversamente dalle nyadd di sangue puro, lei aveva i capelli. Il suo viso era di una tinta leggermente azzurrognola, ma le orecchie e il naso erano più simili allo standard umano che a quello nyadd, e la sua bocca poteva sembrare quella di una donna.
Aveva occhi molto tondeggianti, e dotati di ciglia, benché le loro orbite di un verde vivace non avessero paragoni.
Solo nella sua indole era tipicamente nyadd. Di tutte le razze che abitavano il mare, la loro era la più caparbia, vendicativa e bellicosa. Semmai, in lei questi tratti erano ancora più radicati che nei sudditi, e forse anche questo era dovuto alla sua eredità umana.
Spingendosi fino all’apertura nella parete, osservò il cupo panorama. Consapevole dei luogotenenti dietro di lei, pronti ad anticipare ogni sua necessità , avvertì la loro tensione. Le piaceva, la tensione.
«Le nostre perdite sono state ridotte, regina Adpar» si arrischiò a riferire uno dei luogotenenti. Aveva una voce profonda, con un tono ruvido.
«Quale che sia il numero, è un prezzo irrisorio da pagare» ribatté, togliendosi le cinghie di pelle con le borchie. «Le nostre forze sono pronte a occupare il settore liberato?»
«Dovrebbero essere già partite, signora» disse l’altro lacchè.
«Meglio per loro» replicò Adpar, gettando con indifferenza le cinghie nella sua direzione. Lui le afferrò goffamente. In caso contrario se la sarebbe vista brutta. «Anche se non avranno molti fastidi dai tritoni» proseguì. «Ci vorrebbe ben altro che quella feccia amante della pace per prevalere contro un nemico come le nyadd.»
«Sì, Maestà » disse il primo luogotenente.
«Non vedo di buon occhio coloro che prendono ciò che è mio» aggiunse lei con tono cupo, e in modo del tutto superfluo per quanto riguardava i suoi accompagnatori.
Guardò verso una nicchia scavata in una delle pareti di corallo. Ospitava un esile piedistallo di pietra, destinato ovviamente a sorreggere qualcosa. Ma questo qualcosa era assente.
«La vostra guida ci assicura la vittoria» l’adulò il secondo luogotenente.
Diversamente da una delle sue sorelle, alla quale non importava nulla di ciò che gli altri pensavano ma si aspettava un’obbedienza assoluta, Adpar esigeva sia la sottomissione sia l’adulazione. «Naturalmente» annuì. «Supremazia spietata, appoggiata dalla violenza; scorre nel mio ramo della famiglia.»
I suoi attendenti si scambiarono un’occhiata di incomprensione.
«È una cosa femminile» aggiunse lei.
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2
Coilla soffriva.
Tutto il suo corpo era in un bagno di dolore. Inginocchiata nell’erba fangosa, era intontita e senza fiato. Scrollando la testa, che pulsava dolorosamente, si sforzò di capire cosa le fosse successo.
Un istante prima stava inseguendo quel pazzo di Haskeer, e subito dopo si era trovata scaraventata a terra dalla sua cavalcatura quando tre umani erano sbucati dal nulla.
Umani.
Batté le palpebre e mise a fuoco il terzetto in piedi di fronte a lei. Il più vicino aveva una cicatrice che andava dalla metà di una guancia all’angolo della bocca. Il suo viso butterato non traeva grandi vantaggi da un paio di baffi incolti e da una massa di capelli neri e unti. Aveva un’aria robusta, ma in modo malsano. Quello al suo fianco aveva un aspetto ancora più dissoluto. Era più basso, più snello, più delicato. Aveva capelli biondicci e un pizzetto quasi trasparente incollato al mento. Una benda di pelle nera gli copriva l’occhio destro, e il suo lascivo sogghigno rivelava denti guasti. Ma era l’ultimo d...