Scuola per infermiere
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Scuola per infermiere

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Scuola per infermiere

Informazioni su questo libro

Adam Dalgliesh si trova a indagare sul misterioso assassinio di due giovani allieve della scuola per infermiere Nightingale House. E ben presto si scopre immerso in un labirinto di indizi, inganni e bugie, dove le apparenze nascondono inconfessabili verità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2010
Print ISBN
9788804491002
eBook ISBN
9788852015601

1

Prova pratica di morte

I
La mattina del primo omicidio Miss Muriel Beale, ispettrice delle scuole professionali per infermiere presso il comitato centrale infermiere, si svegliò di colpo poco dopo le sei e in quell’ora mattutina prese lentamente coscienza del fatto che era lunedì 12 gennaio, giorno dell’ispezione all’ospedale John Carpender. Aveva già cominciato a registrare i primi suoni familiari del nuovo giorno: la sveglia di Angela, zittita ancor prima che lei si rendesse conto di averla udita, Angela che ciabattava sbuffando per casa, come un animale goffo e mansueto, il gradevole e promettente tintinnio della preparazione del primo tè della giornata. Aprì gli occhi a fatica, resistendo all’insidioso impulso di rientrare nel guscio caldo e accogliente del letto e lasciare che la mente si abbandonasse di nuovo a una beata incoscienza. Cosa mai l’aveva spinta a dire alla direttrice Taylor che sarebbe arrivata poco dopo le nove, in tempo per assistere alla prima ora di lezione delle studentesse di terza? Era assurdo e inutile arrivare tanto presto. L’ospedale si trovava a Heatheringfield, al confine tra il Sussex e lo Hampshire, quasi cinquanta miglia di viaggio da compiere in buona parte prima dell’alba. Per di più pioveva, come pioveva con tetra insistenza ormai da una settimana. Udiva il fioco sibilare degli pneumatici in Cromwell Road e gli schizzi di pioggia che di quando in quando battevano contro i vetri delle finestre. Grazie a Dio, si era data la pena di studiare la cartina di Heatheringfield per sapere esattamente l’ubicazione dell’ospedale. Una cittadina commerciale in espansione, per di più poco nota, poteva diventare un labirinto e costituire una notevole perdita di tempo per l’automobilista imprigionato nell’ingorgo del traffico pendolare di un piovoso lunedì mattina. Sentì istintivamente che sarebbe stata una giornata difficile e si distese sotto le coperte, come a prender forze prima di affrontarla. Stese le dita rattrappite, quasi assaporando l’acuta fitta momentanea delle giunture in tensione. Aveva un po’ d’artrite. Be’, non era poi tanto strano. Dopotutto aveva quarantanove anni. Era arrivato il momento di prendere la vita con un po’ di calma. Perché mai aveva pensato di poter arrivare a Heatheringfield prima delle nove e mezza?
La porta si aprì, lasciando filtrare un raggio di luce dal corridoio. Miss Angela Burrows tirò le tende, scrutò il cielo buio di gennaio e gli schizzi di pioggia sulla finestra, quindi le riaccostò. «Piove» disse, con la tetra soddisfazione di chi ha profetizzato la pioggia e non può essere ritenuto responsabile se il suo avvertimento è stato disatteso. Miss Beale si tirò su appoggiandosi al gomito, accese l’abat-jour sul comodino e rimase in attesa. Dopo qualche secondo l’amica tornò col vassoio della prima colazione. La tovaglietta di lino era ricamata, le tazze a motivi floreali erano disposte con i manici allineati, i quattro biscotti, due per qualità, erano sistemati con cura sul piatto assortito, la teiera emanava un delicato profumo di tè indiano appena fatto. Le due donne amavano le comodità e adoravano l’ordine e la pulizia. Le regole che avevano un tempo fatto rispettare nel reparto solventi della clinica universitaria in cui insegnavano erano adesso applicate alla loro vita privata, così che l’esistenza nell’appartamento non era diversa da quella in una casa di cura costosa e tollerante.
Miss Beale viveva con l’amica da venticinque anni, da quando si erano diplomate presso la stessa scuola professionale. Miss Angela Burrows era preside della scuola per infermiere di una clinica universitaria londinese. Per Miss Beale, era un esempio vivente per chiunque volesse plasmare delle buone infermiere e, in tutte le sue ispezioni, era portata inconsciamente a giudicare secondo le frequenti enunciazioni dell’amica dei principi di una buona formazione infermieristica. Miss Burrows, da parte sua, si chiedeva come se la sarebbe cavata il comitato centrale infermiere una volta che Miss Beale fosse andata in pensione. I matrimoni più felici si reggono su simili consolanti illusioni, e il rapporto tra Miss Beale e Miss Burrows, fondamentalmente innocente, anche se all’opposto, era fondato su basi analoghe. Eccettuata questa inespressa capacità di ammirazione reciproca, le due donne erano molto diverse. Miss Burrows aveva un aspetto massiccio, tarchiato e minaccioso, e nascondeva una sensibilità vulnerabile dietro un atteggiamento di brusco buon senso. Miss Beale era minuta come un uccellino, precisa nei gesti e nelle parole, incline a un’anacronistica affettazione che a volte la faceva apparire quasi ridicola. Persino le loro abitudini fisiologiche erano differenti. La corpulenta Miss Burrows era immediatamente presente a se stessa al primo squillo della sveglia, restava energica e attiva fino all’ora del tè pomeridiano, poi sprofondava in un letargo sonnolento all’avvicinarsi della sera. Miss Beale, invece, apriva ogni giorno con riluttanza le palpebre incollate dal sonno, doveva costringersi alle azioni del primo mattino e diventava sempre più allegra e attiva a mano a mano che la giornata trascorreva. Erano riuscite ad armonizzare persino queste incompatibilità. Miss Burrows era felice di preparare il tè della prima colazione, mentre Miss Beale rigovernava dopo cena e preparava la cioccolata serale. Miss Burrows riempì le due tazze, lasciò cadere due zollette di zucchero nella tazza dell’amica e si accomodò con la sua nella sedia vicino alla finestra. Antiche regole vietavano a Miss Burrows di sedersi sul letto. Disse: «Devi andare via presto. Sarà meglio che ti prepari il bagno. A che ora comincia?».
Miss Beale mormorò con voce debole che aveva promesso alla direttrice di arrivare subito dopo le nove. Il tè era dolcissimo e stimolante. Aveva sbagliato ad annunciare il suo arrivo tanto presto, ma forse, dopotutto, poteva farcela per le nove e un quarto.
«È Mary Taylor, vero? È molto stimata, se si pensa che è solo una direttrice di provincia. Strano che non sia mai venuta a lavorare a Londra. Non ha neanche fatto domanda per il posto lasciato libero da Miss Montrose.» Miss Beale mormorò qualcosa di incomprensibile; l’amica, data la frequenza di questo argomento nelle loro conversazioni, interpretò correttamente quel borbottio come un’energica affermazione che non a tutti piaceva Londra e che la gente era troppo propensa a credere che in provincia abitasse solo gente di seconda classe.
«Certo» ammise l’amica. «E il John Carpender è in una bella zona. Mi piace la campagna al confine con lo Hampshire. Peccato che tu non possa vederla d’estate. Tuttavia, sarebbe tutta un’altra cosa se fosse la direttrice di un’importante clinica universitaria. Date le sue capacità potrebbe benissimo esserlo. Adesso potrebbe far parte di quel ristretto numero di grandi direttrici.» Durante il loro apprendistato sia lei che Miss Beale erano passate sotto il torchio di una delle grandi direttrici, ma non avevano mai smesso di lamentare l’estinzione di quella razza terribile.
«A proposito, è meglio che tu parta per tempo. Prendi la strada subito dopo la circonvallazione di Guildford.»
Miss Beale non chiese come mai conoscesse la strada. Era una di quelle cose che Miss Burrows sapeva sempre. La voce arzilla seguitò:
«Ho visto Hilda Rolfe, la preside della loro scuola professionale, alla biblioteca di Westminster questa settimana. Una donna strana. Intelligente, naturalmente, e a detta di tutti un’insegnante di prim’ordine, ma credo che terrorizzi le allieve infermiere.»
Spesso Miss Burrows terrorizzava le sue allieve infermiere, per non parlare di quasi tutte le colleghe del corpo insegnante, ma si sarebbe meravigliata molto nel saperlo. Miss Beale chiese:
«Ti ha detto niente dell’ispezione?»
«Solo un accenno. Stava restituendo un libro e aveva fretta, così non abbiamo parlato molto. Sembra che alla scuola ci sia una brutta epidemia di influenza e che metà del personale sia ammalato.»
Miss Beale trovò strano che la preside trovasse il tempo di recarsi a Londra per restituire un libro alla biblioteca se aveva problemi di personale tanto gravi, ma non disse nulla. Prima di colazione Miss Beale riservava le energie al pensiero più che alle parole. Miss Burrows si avvicinò al letto per riempirle di nuovo la tazza. Disse:
«Mi sembra che, tra il tempo e le assenze del personale, si stia preparando per te una giornata piuttosto noiosa.»
Negli anni a venire le due amiche non avrebbero mancato di ripetere, con quel confortevole senso di soddisfazione nel ribadire ciò che – è evidente – costituisce uno dei piaceri fondamentali di una lunga intimità, quanto questa osservazione si fosse rivelata errata. Miss Beale, che da quella giornata si aspettava solo un noioso viaggio in auto, un’ispezione difficoltosa e un probabile scontro con quei membri del comitato ospedaliero per la formazione infermieristica che si sarebbero dati la pena di intervenire, si tirò la vestaglia sulle spalle, infilò i piedi nelle pantofole e andò ciabattando in bagno. Aveva fatto i primi passi che l’avrebbero condotta ad assistere a un delitto.
II
Nonostante la pioggia il tragitto fu meno difficile di quanto Miss Beale avesse temuto. Fece presto e arrivò a Heatheringfield appena prima delle nove, in tempo per trovarsi intrappolata nell’ultima ondata dell’ora di punta. L’ampia High Street in stile georgiano era intasata di veicoli. Le mogli dei pendolari accompagnavano in auto i mariti alla stazione o i figli a scuola, i furgoni consegnavano le merci, gli autobus scaricavano e caricavano passeggeri. Ai tre semafori i pedoni si disperdevano attraverso la strada, inclinando gli ombrelli per proteggersi dalla pioggia che cadeva sottile. I ragazzi avevano l’aria linda ed azzimata di studenti di scuola pubblica, gli uomini erano perlopiù in divisa da ufficio, con tanto di bombetta, mentre le donne indossavano abiti sportivi, secondo quel gradevole e tipico compromesso tra l’eleganza cittadina e la semplicità campagnola. Dovendo badare al semaforo, all’attraversamento pedonale e al cartello indicante l’ospedale, Miss Beale poté vedere solo di sfuggita il municipio del diciottesimo secolo, la fila di case ben conservate con la facciata in legno e il campanile dagli splendidi ornamenti floreali di Holy Trinity Church, ma ne ricavò l’impressione di una comunità florida, interessata alla conservazione del proprio patrimonio architettonico, anche se la catena dei moderni negozi che si stagliava in fondo alla strada suggeriva che quest’opera di conservazione non avesse più di trent’anni.
Ed ecco infine il cartello. Un ampio viale alberato saliva al John Carpender Hospital dalla High Street. A sinistra un alto muro di pietra delimitava i confini dell’area ospedaliera.
Miss Beale aveva preparato la lezione a casa. La valigetta gonfia posata sul sedile posteriore dell’auto conteneva un appunto riassuntivo sulla storia dell’ospedale, assieme alla copia dell’ultimo rapporto dell’ispettore del comitato centrale infermiere e alle osservazioni del comitato di amministrazione dell’ospedale sullo stato di attuazione degli ottimistici suggerimenti dell’ispettore. Come sapeva in seguito alle ricerche fatte, l’ospedale aveva una lunga storia. Era stato fondato nel 1791 da un ricco mercante che, nato in quella città, l’aveva lasciata, giovane e povero, per cercar fortuna a Londra e vi era ritornato da vecchio per godersi la soddisfazione di far del bene alla cittadinanza e far colpo sui vicini. Avrebbe potuto acquistarsi gran fama e assicurarsi salvezza eterna soccorrendo le vedove e gli orfani o ricostruendo la chiesa. Ma l’età della scienza e della ragione stava subentrando all’età della fede e la moda dettava allora di fare un lascito a un ospedale per i poveri. E così, in seguito alla riunione di prammatica in un caffè locale, era nato il John Carpender Hospital. La costruzione originaria, piuttosto interessante dal punto di vista architettonico, era stata sostituita da tempo, dapprima da un pomposo monumento vittoriano di ispirazione religiosa e quindi dalla più funzionale semplicità del ventesimo secolo.
L’ospedale aveva avuto sempre vita florida. La comunità locale era in preponderanza di ceto medio e agiata, possedeva un senso sviluppato della carità e una certa penuria di oggetti verso cui indirizzarlo. Poco prima della Seconda guerra mondiale era stato aggiunto un reparto ben attrezzato per solventi. Sia prima che dopo l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale esso aveva attirato pazienti ricchi, e di conseguenza clinici eminenti, da Londra e da altre città. Miss Beale pensò che Angela aveva un bel parlare del prestigio delle cliniche universitarie londinesi, ma il John Carpender godeva di una solida stima. E lei non aveva tutti i torti a credere che non fosse poi tanto brutto lavorare come direttrice in un ospedale di un distretto in espansione, apprezzato dalla comunità che serviva, gradevolmente ubicato e protetto dalle tradizioni locali.
Miss Beale era ora davanti al cancello d’ingresso. A sinistra c’era la portineria, leziosa casa di bambole con i mattoni disposti ad intarsio, cimelio dell’ospedale vittoriano e – a destra – il parcheggio dei medici. Un terzo dei posti era già occupato dalle Daimler e dalle Rolls Royce. Aveva smesso di piovere e l’alba aveva ceduto il posto alla grigia normalità di una giornata di gennaio. L’ospedale era completamente illuminato. Si stendeva davanti a lei come una grande nave all’ancora, sfolgorante di luci, pieno di energia e attività latenti. A sinistra si scorgevano le basse costruzioni con le facciate di vetro dell’ambulatorio nuovo. Già i pazienti sciamavano con aria avvilita verso l’ingresso.
Miss Beale fermò l’auto accanto alla guardiola della portineria, abbassò il finestrino e si presentò. Il portiere, corpulento e pieno di sé come voleva la sua divisa, si degnò di uscire allo scoperto.
«Lei dev’essere la signorina del comitato centrale infermiere» affermò con tono magniloquente. «Peccato che sia entrata di qui. La scuola professionale per infermiere è a Nightingale House, a un centinaio di metri dall’ingresso di Winchester Road. Ci serviamo sempre dell’entrata posteriore per andare a Nightingale House.»
Parlava con tono di rassegnato rimprovero, quasi biasimasse quella singolare mancanza di buon senso che l’avrebbe costretto a un duro lavoro straordinario.
«Presumibilmente, però, posso raggiungere la scuola anche di qui?»
Miss Beale non se la sentiva di tornare nel traffico della High Street e non intendeva fare il giro dell’ospedale in cerca di una misteriosa entrata sul retro.
«Be’ sì, signorina.» Il tono del portiere sottintendeva che solo una persona estremamente ostinata avrebbe tentato tanto e si appoggiò alla portiera, come a fornire confidenziali e complesse indicazioni. Esse, tuttavia, si rivelarono notevolmente semplici. Nightingale House era nel parco dell’ospedale, dietro all’ambulatorio.
«Prenda questo viale a sinistra, signorina, arriverà alla camera mortuaria e agli alloggi per i medici interni. Poi giri a destra. C’è un cartello dove il viale si biforca. Non può sbagliare.»
Una volta tanto questa famigerata e infausta affermazione sembrò trovare conferma. Il parco dell’ospedale era esteso e verdeggiante, un insieme di giardini all’italiana, prati e disordinate macchie d’alberi che ricordò a Miss Beale il giardino di un ospedale psichiatrico d’altri tempi. Era raro trovare un policlinico dotato di tanto spazio. I diversi viali erano ben indicati e solo uno di essi conduceva a sinistra del nuovo ambulatorio. Identificò facilmente la camera mortuaria, una piccola costruzione tozza e brutta situata accortamente tra gli alberi e resa ancor più sinistra dal suo strategico isolamento. Gli alloggi per i medici erano nuovi e inconfondibili. Prima di scorgere il cancello annunciato, Miss Beale ebbe il tempo di abbandonarsi al suo solito, e di frequente più che ingiustificato, risentimento per il fatto che le amministrazioni ospedaliere erano sempre disposte a provvedere di nuovi alloggi i loro medici più che a fornire una sede adeguata alla scuola professionale per infermiere. Un cartello bianco indicava a destra e portava la scritta «Nightingale House, Scuola Professionale per Infermiere».
Cambiò marcia e svoltò con attenzione. La strada era stretta e serpeggiante, affiancata da alti mucchi di foglie fradicie che lasciavano appena spazio sufficiente per un’automobile. Dappertutto umidità e desolazione. Gli alberi crescevano sul margine del manto stradale e si intrecciavano sopra di esso, creando una galleria su cui spiccavano come centine i forti rami neri. Di quando in quando un soffio di vento spruzzava qualche goccia di pioggia sul tetto dell’auto o portava una foglia a incollarsi contro il parabrezza. Il ciglio erboso era diviso in aiuole rettangolari tutte uguali, simili a tombe, da cui spuntavano cespugli rachitici. Sotto gli alberi c’era buio e Miss Beale accese gli anabbaglianti. La strada brillò davanti a lei come un nastro d’olio. Aveva lasciato il finestrino abbassato e sentiva, nonostante l’inevitabile odore d’auto, fatto di benzina e vinile surriscaldato, un tanfo dolciastro di muffa e putrefazione. Si sentiva stranamente isolata in quel silenzio e in quella oscurità e improvvisamente fu colta da un irrazionale senso di disagio, dalla sensazione insolita di viaggiare fuori del tempo, diretta verso una nuova dimensione, sospinta verso qualcosa di inafferrabile, di ineluttabile, di orrendo. Fu solo lo smarrimento di un attimo ed ella se ne liberò rapidamente rammentando a se stessa l’allegro trambusto della High Street, a meno di un miglio di lì, e la vicinanza di vita e di attività. Ma era stata un’esperienza strana e sconcertante. In collera con se stessa per essersi lasciata andare a queste morbose fantasie, alzò il finestrino e premette l’acceleratore. La piccola auto fece un balzo in avanti.
Improvvisamente seppe di aver superato l’ultima curva: Nightingale House era davanti a lei. Frenò per la sorpresa. Era una casa singolare, un immenso edificio vittoriano di mattoni rossi, merlato e decorato fino alla bizzarria, coronato da quattro immense torrette. In quella buia mattina di gennaio era completamente illuminato e, a lei che veniva dall’oscurità, parve sfolgorare come il castello di una fiaba per bambini. Al fianco destro della casa era addossata un’immensa serra, più consona ai Kew Gardens che a quella che, un tempo, era evidentemente una dimora privata. Non era illuminata come la casa, ma attraverso le vetrate debolmente luminescenti scorse le lucide foglie verdi dell’aspidistria, il ross...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di P.D. James
  3. Scuola per infermiere
  4. 1. Prova pratica di morte
  5. 2. A mezzanotte in punto
  6. 3. Estranei in casa
  7. 4. Domande e risposte
  8. 5. Conversazione a tavola
  9. 6. Conclusione di una lunga giornata
  10. 7. Danze macabre
  11. 8. Un cerchio di terra bruciata
  12. 9. Epilogo d’estate
  13. Copyright