Il sorriso segreto dell'essere
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Il sorriso segreto dell'essere

Oltre l'illusione dell'io e della ricerca spirituale

  1. 238 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il sorriso segreto dell'essere

Oltre l'illusione dell'io e della ricerca spirituale

Informazioni su questo libro

Chi sono io? Che cos'è la realtà? Qual è il significato del vivere e del morire? Quando cominciano ad affacciarsi le domande fondamentali dell'esistenza, prima o poi ci si imbatte nell'enigma della coscienza, così evidente eppure così elusiva. Che cos'è? Come sorge l'esperienza di un «io» individuale? Questo libro è un'occasione per esplorare secondo una prospettiva radicalmente non dualista e non confessionale, nella concretezza della nostra esperienza immediata, il misterioso «sguardo» con cui la coscienza apre l'orizzonte di ciò che chiamiamo «realtà», il problema dell'identità personale e quell'"Oltre" che resta inaccessibile al pensiero, alla meditazione e alla ricerca spirituale. È questo lo spirito del sat-sang o «condivisione dell'essere»: un'occasione d'incontro da cui possa emergere una «risonanza» di quello sfondo costante e misterioso che noi veramente siamo, di quella Presenza non duale in cui appaiono e scompaiono tutte le esperienze che chiamiamo «la nostra vita».

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804608615
eBook ISBN
9788852019913

La Prigione

“Ad ogni istante potete accorgervi che siete la luce del proiettore e non solo il limitato personaggio del film che chiamate ‘la mia vita’.”
Ti sei mai sentito in prigione, nella vita?
In prigione nello spazio:
trovarti dove non vorresti stare, per esempio intrappolato in un ingorgo del traffico, con un crescente senso di claustrofobia;
o ad una riunione di condominio;
o nella sala d’attesa di un notaio;
o in ufficio, ad aspettare l’orario giusto per timbrare il cartellino d’uscita;
oppure la domenica controvoglia a pranzo dai suoceri, ad annoiarti mortalmente solo perché hanno promesso di darti una mano col pagamento del mutuo.
In prigione nel tempo:
dover dedicare ore della tua vita a qualcosa che non ti interessa minimamente, come la compilazione delle pratiche per il rinnovo della patente o un corso obbligatorio di aggiornamento professionale.
In prigione nel corpo:
per esempio a letto con la febbre proprio il giorno di festa in cui avevi progettato una gita fantastica;
o con la testa che ti ciondola dal sonno la sera in cui volevi vedere un bel film alla televisione, ma sai già che non te lo godrai, perché non riesci a tenere gli occhi aperti;
oppure prigioniero in un corpo troppo alto o troppo basso, troppo magro o troppo grasso, troppo vecchio o troppo giovane, troppo scialbo o troppo vistoso, troppo esile o troppo massiccio.
In prigione nella mente:
hai mai provato la “claustrofobia intellettuale” di quando, per esempio, prendi atto con sconsolata rassegnazione che Albert Einstein ha ideato la teoria della relatività a soli ventisei anni, mentre tu, a cinquanta, non riesci nemmeno a capire come si redige una semplice denuncia dei redditi? (Per quanto, alle prese con le irrazionali astrusità di certa modulistica, forse persino Einstein avrebbe i suoi problemi!).
In prigione nelle emozioni:
come la depressione, che azzera i meravigliosi colori del mondo in uno squallido e uniforme grigiore;
o l’ansia, che sembra accelerare vertiginosamente il tempo facendoti sfuggire di mano il controllo della situazione;
o la rabbia, che ti fa litigare per forza anche quando non lo vorresti;
o il desiderio, che ti fa sentire come un vaso bucato che non si riempie mai;
oppure la paura, che trasforma ogni ombra in una minaccia.
E hai mai sentito la vita stessa come una prigione?
Su questo gli esistenzialisti hanno detto e scritto molto.
Nascita e morte sono due eventi su cui chiaramente non abbiamo alcun controllo, quindi non dovrebbero costituire per noi un problema da “risolvere”, ma semplici fatti da accettare.
Il punto è che nasciamo e ci troviamo “gettati” nella vita senza che nessuno ci abbia consultato, per poi morire magari a vent’anni in modo del tutto insensato; oppure, arrivati a settant’anni, ci chiediamo: “Ma che ci sono venuto a fare, a questo mondo? Non ho realizzato niente di importante”.
Ci troviamo “gettati” in un’esistenza che ci costringe prima a dipendere completamente da chi ci impone quello che dobbiamo o non dobbiamo fare e poi a sfiancarci per sopravvivere, per raggiungere l’indipendenza economica, per accaparrarci un po’ di stima e di affetto da parte dei nostri simili, per salvaguardare la nostra precaria salute fisica e mentale, per arraffare tutto ciò che possiamo, per fuggire senza sosta dalle minacce in agguato, sempre nei limiti imperfetti delle nostre possibilità.
Infine, senza che nessuno ci abbia ovviamente consultato, la morte arriva quando meno ce l’aspettiamo, oppure preannunciata da lunghe sofferenze, ma comunque sempre senza il nostro consenso.
Allora la vita ci sembra proprio una prigione.
Ma dobbiamo pur fare qualcosa di questo lungo o breve arco di tempo fra la nascita, in cui veniamo gettati qui, e la morte, in cui nessuno sa che fine faremo.
E così ci lamentiamo, ci diamo da fare, ci arrabattiamo, cerchiamo di sopravvivere.
Ma quello che veramente ci spaventa di più è il sospetto che la nostra vita non abbia alcun senso.
La domanda fondamentale, la domanda terribile, la domanda “proibita” ma inevitabile è proprio questa:
E se veramente la vita fosse senza scopo?
Già siamo spaventati perché abbiamo un’esistenza a tempo determinato: siamo “precari” di vita. Qualcuno ha detto che la vita è una malattia mortale contratta sessualmente con prognosi sempre infausta e sembra che Winston Churchill, col suo humour lapidario, abbia ribadito: «La vita è una grande avventura dalla quale non usciremo vivi».
A ciò si aggiunge l’orribile sospetto che, oltre a essere precaria, la nostra esistenza non abbia alcun senso: e questo ci fa proprio impazzire.
Allora cominciamo a cercare disperatamente un obiettivo, un traguardo, un significato da conferire alla vita, qualcosa che ci permetta di dire: “Va bene, la mia esistenza finirà, ma almeno ne è valsa la pena, perché aveva uno scopo”.
Gli scopi che possiamo attribuire alla nostra esistenza sono molto vari, ma in tutti è celata (a volte irriconoscibile) la ricerca di un’unità con la quale vagamente ricordiamo di essere stati fusi da piccoli, ma che poi in qualche modo ci sembra di aver perduto, per cui ci sentiamo incompleti, manchevoli, bisognosi di “qualcosa” di indefinibile che non possiamo far a meno di inseguire in tanti modi diversi.
Quando ci guardiamo intorno, diciamo: “Ma la vita non può essere tutta qui! Ci deve essere qualcosa di più grande!”.
Perché pensiamo questo?
Perché ci sentiamo incompleti, perché la nostra esistenza non ci sembra intera e piena, per cui ci chiediamo: “Ma è proprio tutto qui? Mangi, bevi, dormi, ottieni questo, perdi quello, certe volte sei contento, perlopiù sei insoddisfatto e poi l’intera esistenza finisce così, senza alcun criterio: ma che senso ha tutto ciò?”.
Allora, spinti dal pensiero che la vita non possa esaurirsi nell’assurdo sogno di un idiota, iniziamo a cercare un significato da conferire alla nostra esistenza: così, per darle una direzione, uno scopo, un senso, chiediamo assistenza alla mente.
Purtroppo, come diceva Nisargadatta Maharaj, la mente è un ottimo servitore ma un pessimo padrone, per cui, quando la interroghiamo per cercare il senso della vita, veniamo irretiti dalle infinite storie che il pensiero senza sosta inventa per noi.
Praticamente passiamo l’intera esistenza a raccontarci favole che pretendono di svelare il senso della vita, per poi dimenticare che siamo stati noi ad immaginarle, così da creare l’illusione che siano vere. Invece sono storie completamente inventate, a cui però prima o poi finiamo per credere fino in fondo, senza alcuna esitazione.
Mio nonno si divertiva un mondo a spacciare per vere le frottole che raccontava. Una volta, nella città di mare dove vivevamo quando ero piccolo, sparse la voce che un grosso squalo si era arenato sulla spiaggia.
Come spesso accade, passando di bocca in bocca la notizia si alterò e si amplificò considerevolmente. Così, quando poco dopo mio nonno venne a sapere da un amico che sulla riva si era arenata un’enorme balena, immaginando di aver casualmente predetto un evento reale, finì a sua volta lui stesso vittima della propria fandonia e accorse con tutti gli altri alla spiaggia per vedere il mostruoso portento!
Tanto forte è il desiderio che le nostre immaginazioni siano realtà, da farci cadere nella nostra stessa trappola.
Perché le storie inventate dal pensiero per dare un senso all’esistenza ci appaiono così convincenti?
Perché, anche se sono illusioni, esse proiettano un bel “film” in cui ciascuno di noi è l’indiscusso protagonista: non scarterai mai un film con te come eroe principale e una trama piena di significati profondi.
Ogni storia narra di un viaggio progressivo per arrivare a una meta: per dare un senso alla vita, il film della nostra esistenza deve sempre includere un percorso che conduca l’eroe verso un traguardo finale.
Così la nostra vita è intessuta di storie costruite dal pensiero che sono semplici illusioni. E ogni illusione prima o poi dà luogo a una delusione.
Naturalmente sono storie molto diverse tra loro.
Storie sull’aldilà.
C’è chi crede alla reincarnazione, chi al paradiso e all’inferno, chi alla comunicazione fra i vivi e gli spiriti dei morti, chi al mero disperdersi degli atomi in un universo fatto solo di materia in perenne movimento.
Storie sulla ricchezza come chiave della felicità.
Qui lo scopo ultimo è fare soldi. C’è a questo proposito un’arguta frase di Arnaud Desjardins:
Il denaro non dà la felicità. Ma questo lo sanno solo i ricchi.1
Finché ci si trova in ristrettezze economiche, è più facile credere alla favola della ricchezza come chiave della felicità. A volte, invece, proprio chi dispone di parecchio denaro, rendendosi conto di non aver risolto niente in questo modo, è più esposto all’inevitabile delusione celata dietro l’illusione del benessere economico.
Non esiste però alcuna garanzia che da questo smascheramento derivi una maggiore saggezza: tante altre storie alternative sono infatti pronte a farsi avanti per essere credute.
Storie sul potere come coronamento della vita.
Il potere esercita un fascino particolare sulle persone afflitte da un endemico senso di inferiorità o insicurezza, che si vivono piccole e deboli in un mondo troppo grande per loro. La sua logica, condivisa da ogni prevaricatore, è molto semplice: “Se riesco ad ottenere il potere e divento io il ‘capo’, di sicuro nessuno mi metterà più i piedi sulla testa”.
Dentro ogni gigante si nasconde un nano.
L’Arthaśāstra è un antico trattato hindu sull’arte del governo la cui spregiudicatezza è tale che, in confronto, persino Il Principe del Machiavelli sembra un’opera pia. Le indicazioni fornite da questo testo al sovrano per mantenere il potere assoluto sono estremamente dettagliate e...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il sorriso segreto dell’essere
  4. Introduzione
  5. Prologo
  6. La Prigione
  7. Il Castello
  8. Il Silenzio
  9. La danza della meditazione
  10. Il tesoro nascosto
  11. Esserci
  12. Lo spazio consapevole
  13. Attenzione e Consapevolezza
  14. I confini dell’io
  15. Il fiume della vita
  16. L’amore
  17. La morte
  18. L’acqua e le onde
  19. Chi sono io?
  20. La fine della ricerca
  21. Epilogo
  22. Ringraziamenti
  23. Note
  24. Bibliografia
  25. Copyright