Madeleine Wickham
VACANZE IN VILLA
Traduzione di Nicoletta Lamberti
Ai miei genitori, con affetto
Il sole, un’abbagliante sfera bianca, risplendeva attraverso la finestra, surriscaldando come un forno il minuscolo salotto di Chloe. Mentre si avvicinava un po’ di più a Bethany Bridges, sentì una goccia di sudore scenderle sotto l’abito di cotone, seguendo con noncuranza la linea della spina dorsale come un piccolo insetto. Infilò uno spillo in una piega della pesante seta bianca, tirò con forza il tessuto sulla pelle di Bethany e la sentì trattenere il fiato, quasi in preda al panico.
“Fa troppo caldo per lavorare” pensò Chloe, indietreggiando e scostandosi dalla fronte qualche ricciolo di capelli chiari e fini. Di certo faceva troppo caldo per starsene in quella stanzetta priva d’aria, cercando di strizzare un’ansiosa ragazza sovrappeso dentro un abito da sposa quasi sicuramente di due taglie troppo piccolo. Diede per la centesima volta un’occhiata all’orologio e avvertì un leggero brivido di eccitazione. Era quasi ora. Tra qualche minuto sarebbe arrivato il taxi, quella tortura sarebbe finita e la vacanza avrebbe avuto ufficialmente inizio. Si sentiva quasi mancare dalla voglia di partire, dal disperato bisogno di fuga. Si sarebbe trattato solo di una settimana, ma sarebbe stata sufficiente. Doveva esserlo, giusto?
“Lontano” pensò Chloe, chiudendo gli occhi per un attimo. “Lontano da tutto.” Lo desiderava talmente da averne quasi paura.
page_no="7" «Bene» disse, aprendo gli occhi e sbattendo le palpebre. Per un istante non riuscì quasi a ricordare cosa stesse facendo: sentiva solo il caldo e la stanchezza. La notte prima era rimasta alzata fino alle due per cucire tre abitini per le piccole damigelle d’onore, un ordine urgente dell’ultimo minuto. Aveva l’impressione che l’orrenda seta rosa stampata scelta dalla sposa le ballasse ancora davanti agli occhi. Le dita le dolevano per essersi punta più volte maldestramente con l’ago.
«Bene» ripeté, cercando di dimostrare un minimo di professionalità. Si concentrò gradualmente sulla carne sudata di Bethany, che traboccava dal corsetto come l’impasto di un dolce troppo lievitato. Si trattenne dal fare una smorfia e si voltò verso la madre della ragazza che, seduta sul piccolo divano, osservava la scena stringendo le labbra. «Questo è il massimo che riesco a ottenere. Ma è ancora molto aderente... Tu come te lo senti, Bethany?»
Le due donne si girarono verso Bethany. La ragazza stava lentamente diventando cianotica.
«Non riesco a respirare» boccheggiò. «Le costole...»
«Starà benissimo» dichiarò Mrs Bridges, socchiudendo gli occhi. «Devi solo metterti un po’ a dieta, Bethany.»
«Mi sento male» sussurrò lei. «Sul serio, non riesco a respirare.»
Lanciò un’occhiata di muta disperazione a Chloe, che sorrise diplomaticamente a Mrs Bridges.
«So che questo abito ha un significato molto speciale per lei e per la sua famiglia, ma se è troppo piccolo per Bethany...»
«Il vestito non è troppo piccolo!» scattò la donna. «È lei che è troppo grassa. Quando l’ho indossato io, avevo cinque anni più di mia figlia. E mi ballava sui fianchi, glielo assicuro.»
Senza volere, Chloe si sorprese a spostare lo sguardo sui fianchi di Bethany, che premevano disperatamente contro le cuciture del vestito come una massa di biancomangiare.
«Be’, intorno ai miei non balla di sicuro» disse la ragazza in tono piatto. «Mi sta orrendamente, vero?»
«No!» disse subito Chloe. «Certo che no. È un abito delizioso. È solo che...» Si schiarì la voce. «È solo che sembra un tantino stretto intorno alle braccia... e forse in vita...»
Venne interrotta da un rumore alla porta.
«Mamma!» La faccia di Sam spuntò dalla soglia. «Mamma, è arrivato il taxi. E io sto cuocendo.» Il ragazzo si asciugò teatralmente il sudore dalla fronte con la maglietta, mettendo in mostra il ventre piatto e abbronzato.
«Di già?» domandò Chloe, guardando l’orologio. «Vuoi avvertire papà, per favore?»
«Okay» rispose Sam, poi guardò la silhouette triste e strizzata di Bethany, e sul suo viso di sedicenne cominciò a diffondersi una sinistra, pericolosa ilarità.
«Grazie, Sam» intervenne rapidamente Chloe, prima che il figlio potesse aggiungere qualcosa. «Avverti papà che il taxi è arrivato, va bene? E vai anche a vedere cosa sta facendo Nat.»
La porta si chiuse dietro il ragazzo e Chloe tirò un sospiro di sollievo.
«Be’, adesso devo proprio andare» annunciò in tono leggero. «Perciò per oggi possiamo fermarci qui. Sempre che vogliate andare avanti proprio con questo abito...»
«Bethany entrerà in quel vestito» dichiarò Mrs Bridges in tono calmo ma minaccioso. «Dovrà solo fare uno sforzo. Non si possono avere tutte e due le cose, sai?» Si voltò d’improvviso verso la figlia. «Non puoi mangiare dolci al cioccolato tutti i giorni e avere la taglia quarantaquattro!»
«Qualcuno può» obiettò in tono infelice Bethany. «Kirsten Davis mangia tutto quello che vuole e ha la quaranta.»
«Allora vuol dire che è fortunata» ribatté Mrs Bridges. «La maggior parte di noi non lo è. Dobbiamo fare delle scelte. Dobbiamo esercitare l’autocontrollo. Dobbiamo fare dei sacrifici nella vita. Ho ragione, Chloe?»
«Be’, immagino di sì. Comunque, come dicevo, oggi parto per una vacanza. Ed è appena arrivato il taxi che ci deve portare a Gatwick. Per cui se potessimo fissare il prossimo...»
«Non vorrai sembrare un ippopotamo proprio il giorno del tuo matrimonio!» esclamò Mrs Bridges, poi, con orrore di Chloe, si alzò in piedi e cominciò a dare pizzicotti alla carne tremolante della figlia. «Guarda qui! Da dove viene tutta questa roba?»
«Ahi! Mamma!»
«Mrs Bridges...»
«Devi sembrare una principessa! Tutte le ragazze sono disposte a fare sacrifici per essere al meglio il giorno del matrimonio. Sono sicura che per lei è stato così, no?» Lo sguardo penetrante di Mrs Bridges si fissò su Chloe. «Sono sicura che ha fatto di tutto per essere il più bella possibile quando si è sposata, vero?»
«Ecco, in realtà...»
«Chloe?» Nel vano della porta comparve la massa di capelli scuri e ricci di Philip. «Mi dispiace disturbare, ma dobbiamo andare. Il taxi è già qui e...»
«Lo so» disse Chloe, cercando di non sembrare tesa come invece era. «Lo so che è già qui. Arrivo.»
“Non appena riuscirò a sbarazzarmi di queste due, che si presentano con mezz’ora di ritardo e non sanno capire quand’è il momento di andarsene” aggiunse silenziosamente con lo sguardo. Philip rispose con un impercettibile cenno del capo.
«Com’era il suo abito da sposa?» domandò Bethany con aria sognante non appena Philip si allontanò. «Scommetto che era stupendo.»
«Io non mi sono mai sposata» disse Chloe, prendendo la scatola degli spilli. Se solo fosse riuscita a estrarre la ragazza da quel vestito...
«Cosa?» Mrs Bridges scoccò un’occhiata a Bethany e poi osservò la stanza, piena di campioni di sete e veli nuziali, come sospettando che ci fosse un trucco. «In che senso non si è mai sposata? E quello chi era allora?»
«Philip è il mio compagno da moltissimo tempo.» Chloe si impose di mantenere un tono educato. «Stiamo insieme da tredici anni.» Sorrise a Mrs Bridges. «Più di un mucchio di gente sposata.»
“E perché mai mi sto giustificando con te?” pensò furiosa.
“Perché tre prove per Bethany e sei abiti per le damigelle valgono più di mille sterline” le rispose subito il suo cervello. “E devo essere educata solo per altri dieci minuti. Posso resistere. Poi se ne andranno, e ce ne andremo anche noi. Per un’intera settimana. Niente telefono, niente giornali, niente preoccupazioni. Nessuno saprà neppure dove siamo.”
L’aeroporto di Gatwick era affollato, rumoroso e caldo come non mai. Gruppi di passeggeri in attesa dei voli charter se ne stavano sconsolatamente in coda aggrappati ai rispettivi trolley, i bambini piagnucolavano e i neonati strillavano. Le voci dagli altoparlanti annunciavano in tono quasi trionfante un ritardo dopo l’altro.
Tutto questo non toccava minimamente Hugh Stratton, in piedi davanti al check-in riservato alla Club Class della Regent Airways. Dalla tasca interna del blazer di lino estrasse quattro passaporti e li porse all’impiegata della compagnia aerea dietro il banco.
«Lei viaggia con...»
«Mia moglie. E le bambine.» Hugh indicò Amanda, distante qualche metro, con le due figlie aggrappate alle gambe e il cellulare premuto sull’orecchio. La donna avvertì lo sguardo del marito su di sé, alzò gli occhi, si avvicinò al banco e disse: «Amanda Stratton. E queste sono Octavia e Beatrice».
«Bene» replicò la ragazza, sorridendo. «È solo per un controllo.»
Amanda riprese a parlare al cellulare. «Scusami, Penny. Adesso, prima che vada, verifichiamo i colori della seconda camera da letto...»
«Ecco le carte d’imbarco» disse l’impiegata a Hugh, tendendogli una manciata di buste. «La saletta della Club Class è al piano superiore. Vi auguro un buon volo.»
«Grazie. Sono sicuro che sarà ottimo.» Hugh ricambiò il sorriso, si voltò mettendosi in tasca le carte d’imbarco e si avvicinò alla moglie. Amanda era ancora al telefono, apparentemente inconsapevole del fatto che stava bloccando la fila dei passeggeri in coda per il check-in della classe economica. Una famiglia dopo l’altra era costretta a girarle intorno, gli uomini lanciando occhiate alle sue lunghe gambe abbronzate, le donne invidiose del tubino senza maniche firmato, e le persone anziane con un sorriso per Octavia e Beatrice nei loro vestitini azzurri identici. Hugh si sorprese a pensare con distacco che la sua famiglia sembrava appena uscita da un servizio su una rivista. Nessuna imperfezione, niente fuori posto.
«Certo» stava dicendo Amanda. Si passò una mano curatissima tra i capelli corti, scuri e lucenti, poi si esaminò le unghie. «Be’, purché i tessuti arrivino in tempo...»
“Solo un secondo” mimò con le labbra a Hugh, che annuì e aprì il “Financial Times”. Se Amanda era al telefono con l’arredatrice, era probabile che ne avrebbe avuto ancora per un po’.
Era saltato fuori solo di recente che molte stanze della loro casa a Richmond dovessero essere rimesse a nuovo mentre la famiglia era in vacanza in Spagna. Hugh non aveva capito di quali camere esattamente si trattasse, né per quale ragione una qualsiasi parte della casa dovesse essere rifatta così presto: dopo tutto l’avevano sventrata e ristrutturata completamente solo tre anni prima, quando l’avevano acquistata. Di certo la carta da parati non si deteriorava così in fretta, no?
Ma nel momento in cui Amanda gli aveva parlato del progetto di rinnovare alcuni ambienti, era stato evidente che la decisione di base – farlo o non farlo? – era già stata presa, presumibilmente a un livello molto più alto del suo. Era anche emerso con chiarezza cristallina che il suo coinvolgimento si limitava esclusivamente a un ruolo consultivo, senza alcun potere di veto. Anzi, senza alcun potere esecutivo.
Hugh Stratton era direttore delle strategie aziendali di un’importante società. Disponeva del proprio parcheggio riservato davanti alla sede, di una segretaria ossequiosa, e veniva visto come un esempio da una moltitudine di giovani manager ambiziosi. Era opinione comune che Hugh Stratton fosse dotato di una delle più acute visioni di strategia commerciale nel mondo imprenditoriale d’oggi. Quando lui parlava, gli altri ascoltavano.
A casa non l’ascoltava nessuno. A casa, Hugh si sentiva più o meno come l’equivalente di un azionista di famiglia di terza generazione, al quale veniva consentito di sedere nel consiglio d’amministrazione solo per il cognome e per ragioni sentimentali, ma che, francamente, era quasi sempre tra i piedi.
«Okay, perfetto» stava dicendo Amanda. «Ti richiamo in settimana. Ciao.» Mise il cellulare nella borsa e alzò gli occhi sul marito. «Ecco fatto. Scusami.»
«Di niente» replicò Hugh educatamente. «Nessun problema.»
Ci fu una breve pausa, durante la quale lui provò il lampo di imbarazzo del padrone di casa che durante una cena non riesce a colmare il silenzio sceso tra i commensali.
Ma era ridicolo. Amanda era sua moglie. La madre delle sue bambine.
«Allora» esordì, schiarendosi la voce.
«Allora... l’appuntamento con la tata è a mezzogiorno» disse Amanda, guardando l’orologio. «Speriamo che vada bene.»
«L’ha raccomandata la ragazza che lavora da Sarah, no?» chiese Hugh, afferrando ansiosamente il filo della conversazione.
«Sì, è vero. Ma queste ragazze australiane si raccomandano tutte a vicenda, il che non significa che siano brave.»
«Sono certo che andrà benissimo» dichiarò Hugh, cercando di sembrare più sicuro di quanto in realtà fosse. Purché la nuova...