Avete un futuro Corot, un moderno Millet, un Paul Potter potenziale o un Tiziano di Toronto che aggiungano temporaneamente ciò che l’arte nuova può aggiungere alla vostra casa? In caso contrario, si può ottenere per un periodo limitato le opere migliori dei moderni a un prezzo che è soltanto una frazione del loro valore.
Il movimento dei quadri circolanti ha avuto origine a Toronto, nella persona di Mrs. W. Gordon Mills, 63 Farnham Avenue, la quale la primavera scorsa propose a uno dei principali artisti canadesi di prestarle un quadro o due per l’estate. L’artista, uno di quelli che hanno introdotto la rabbia nell’arte, acconsentì e discusse con lei la possibilità di creare una galleria circolante. Parecchie giovani signore di Toronto apprezzarono l’idea e ora la galleria dei quadri circolanti è in piena attività o, meglio, in circolazione.
Secondo Mrs. Kenneth T. Young, 152 Bloor Street West, questa galleria circolante è per ora un’organizzazione molto chiusa. Quando un redattore di «The Star Weekly» le chiese informazioni su questa nuova applicazione del principio di circolazione di Harvey, essa ne parlò con le altre circolanti e tutte insieme decisero che la pubblicazione dei loro nomi o di quelli degli artisti avrebbe dato all’intera iniziativa un marchio di commercialismo che l’avrebbe praticamente rovinata. Non sarebbe più tanto piacevole avere in casa uno o due quadri allegri e coloriti, se si sapesse che potrebbe averli anche qualsiasi altro cittadino responsabile. Immaginate quale élan potrebbe avere una biblioteca pubblica se fossero autorizzate a servirsene soltanto una dozzina di persone!
Il reporter ha comunque appreso che il principio in base al quale funziona la galleria circolante è questo: le giovani matrone scelgono i quadri che preferiscono di artisti ricchi, semiaffamati o indigenti, sulla base della modernità dell’artista e del suo genio nel farsi pubblicità, e li pagano il dieci per cento della cifra alla quale sono valutati. Dopo di che ne restano padrone per sei mesi. Secondo il sistema attuale, ognuna di queste signore riceve due quadri e, quando il suo entusiasmo si è esaurito, o è cresciuto al punto da rendere consigliabile uno scambio, tratta con qualche altra consocia della galleria.
Per esempio, un quadro di uno degli artisti che, per citare Mrs. Mills, hanno “introdotto la rabbia nell’arte”, una volta appeso in soggiorno, può risultare così vigoroso da essere barattato nel giro di pochi giorni, magari a richiesta del marito.
Un altro quadro può essere così energicamente pastorale nel suo motif da soggiogare con facilità il marito, come il flauto del fachiro soggioga il cobra. Un quadro del genere può rimanere in casa per un tempo indefinito e risultare utile in caso di incidenti domestici come il bambino che mette i denti, l’acquistò dei cappellini per la primavera o l’individuazione di un conto scoperto.
Poi c’è il punto di vista del pittore. Con questo sistema, se non altro, qualcosa incassa. I suoi quadri vengono visti da molta più gente e, scaduti i sei mesi, li riceve di ritorno, pronti per essere venduti. Ma in tutto questo il commercialismo non deve entrare.
La terra dei liberi1 e la patria dei coraggiosi è la modesta definizione che certi cittadini della repubblica a sud del nostro paese danno alla nazione nella quale vivono. Ora coraggiosi forse lo sono, ma da loro non c’è nulla di gratuito. La tradizione del pranzo gratuito è finita qualche tempo fa e se chiedete di aderire ai Framassoni verrete a scoprire che vi costerà settantacinque dollari.
La vera patria dei liberi e dei coraggiosi è la scuola dei barbieri.
Lf tutto è gratis. Ed essere coraggiosi è indispensabile. Se volete risparmiare cinque dollari e sessanta al mese in rasature e taglio di capelli, andate alla scuola dei barbieri, ma portatevi dietro tutto il vostro coraggio.
Una visita alla scuola dei barbieri richiede infatti il valore freddo e1 schietto dell’uomo che s’avvia alla morte a occhi aperti. Se non ci credete, andate alla sezione principianti della scuola dei barbieri e offritevi per una rasatura gratuita. Io l’ho fatto.
Entrando nell’edificio, arrivate al pianterreno in una ben arredata bottega di barbiere. Qui lavorano gli studenti che stanno per diplomarsi. La barba costa cinque cents, i capelli quindici.
«Avanti il primo» chiamò uno degli studenti. Gli altri guardarono speranzosi.
«Mi spiace» dissi. «Io vado di sopra.»
Di sopra è dove lavorano, gratis, i principianti.
Sulla bottega piombò il silenzio. I giovani barbieri si guardarono in modo allusivo. Uno di loro fece un gesto espressivo passandosi l’indice sulla gola.
«Va di sopra» disse un barbiere con voce sommessa.
«Va di sopra» gli fece eco l’altro, e di nuovo si guardarono.
Andai di sopra.
Di sopra c’era una folla di giovanotti in giacca bianca e una fila di sedie lungo la parete. Al mio ingresso, due o tre attraversarono la stanza e andarono a piazzarsi accanto alle loro sedie. Gli altri restarono dov’erano.
«Venite, ragazzi, ce n’è un altro» gridò una delle giacche bianche accanto alle sedie.
«Lavori pure chi ne ha voglia» replicò uno del gruppo.
«Non parleresti così se pagassi le tue lezioni» ribatté il diligente.
«Zitto tu. Mi ha mandato qui il Governo» replicò lo sfaticato, e il gruppo riprese la sua conversazione.
Mi sedetti su una poltrona servita da un giovanotto coi capelli rossi.
«È qui da molto?» domandai, per non pensare alla dura prova che mi attendeva.
«Non tanto» sogghignò.
«Tra quanto tempo potrà andare da basso?» domandai.
«Oh, ci sono già stato da basso» disse insaponandomi il viso.
«E perché è tornato su?» dissi.
«Ho avuto un incidente» disse lui continuando a insaponarmi.
Proprio in quel momento uno degli sfaticati s’avvicinò e mi guardò dall’alto in basso.
«Dica, lei vuol farsi tagliar la gola, vero?» domandò amabilmente.
«No» dissi.
«Ah, ah!» disse lo sfaticato.
Proprio in quel momento mi accorsi che il mio barbiere aveva la mano sinistra fasciata.
«Come le è successo?» domandai.
«Stamattina ho rischiato di tagliarmi una fetta di pollice con il rasoio» replicò lui con cortesia.
La rasatura non fu poi tanto male. Dicono gli scienziati che in realtà l’impiccagione è una morte assai piacevole. La pressione della corda sui nervi e sulle arterie del collo produce una specie di anestesia. È l’attesa di essere impiccati che disturba.
Secondo il barbiere con i capelli rossi, certi giorni vengono a farsi radere gratis anche cento uomini.
«E non sono tutti barboni. Tanti corrono il rischio solo per aver qualcosa senza pagare.»
La rasatura non è il solo servizio gratuito che si possa avere a Toronto. Il Collegio Reale dei Dentisti cura i denti a tutti coloro che si presentano nella sua sede all’angolo tra Huron e College Street. Fanno pagare soltanto i materiali impiegati.
Secondo il dottor F.S. Jarman, capo del reparto accettazione della clinica, sono in cura circa un migliaio di pazienti. Il lavoro viene svolto interamente da studenti degli ultimi anni sotto la guida di specialisti.
L’estrazione è gratuita se ci si accontenta di un’anestesia locale, mentre il gas determina una spesa di due dollari. Secondo il dottor Jarman, normalmente gli studi dentistici fanno pagare tre dollari per l’estrazione di un solo dente. Al Collegio dei Dentisti per due dollari potete farvene estrarre venticinque! È una prospettiva che dovrebbe allettare chi va a caccia di buoni affari.
La profilassi, o pulizia approfondita dei denti, viene fatta al Collegio per una somma che varia da cinquanta cents a un dollaro. In uno studio privato costerebbe da uno a dieci dollari.
È possibile farsi coprire i denti, a patto che il paziente rimborsi il costo dell’oro. Di solito un dollaro o due. E con lo stesso sistema si fanno anche i ponti.
Il Collegio dei Dentisti non rifiuta pazienti. Quelli che non sono in grado di rimborsare il costo dei materiali di solito vengono curati lo stesso. Insomma una persona che sia disposta a correre rischi può certamente risparmiare soldi anche con l’odontoiatria.
Al Grace Hospital, che è in Huron Street di fronte al Collegio dei Dentisti, c’è un dispensario gratuito per poveri bisognosi che cura in media 1241 pazienti al mese.
È un servizio riservato esclusivamente ai poveri “bisognosi”. Quelli di noi che sono poveri ma non vengono giudicati bisognosi dall’assistente sociale incaricata della scelta, devono pagare per il servizio medico. Secondo le statistiche del Grace Hospital, oltre la metà dei malati curati lo scorso mese erano ebrei. Gli altri erano un agglomerato di inglesi, scozzesi, italiani, macedoni e individui di origine ignota.
Pasti gratuiti venivano un tempo distribuiti alla Missione Fred Victor, tra Queen e Jarvis Street. Ma i dirigenti della missione affermano che oggi non c’è quasi più richiesta. Il proibizionismo e la guerra hanno risolto il problema dei barboni, e dove un tempo c’era una lunga coda di vagabondi in attesa di ricevere buoni per pasti gratuiti, adesso c’è soltanto – e non sempre – un isolato postulante.
Ma se volete assicurarvi vitto gratuito, alloggio e cure mediche gratuite, c’è un modo infallibile per ottenere tutto questo. Avvicinatevi al poliziotto più grosso che riuscite a trovare e dategli un pugno in faccia.
La lunghezza del periodo di vitto e alloggio gratuito dipenderà dall’umore del colonnello [George Taylor] Denison [magistrato di polizia]. E la quantità delle cure mediche gratuite dipenderà dalle dimensioni del poliziotto.
Pescare la trota iridea è diverso dal pescare la trota comune come fare incontri di pugilato è diverso dal tirar di boxe. L’iridea è stata battezzata salmo iridens da quelle misteriose persone che danno un nome ai pesci che noi prendiamo ed è stata introdotta solo di recente nelle acque canadesi. Adesso la miglior pesca al mondo delle trote iridee la si fa nelle rapide del Soo canadese.
Qui sono state prese iridee anche di sei chili e mezzo con canoe guidate attraverso le rapide e bloccate nelle pozze da barcaioli Ojibway e Chippewa. È uno sport violento e snervante e le probabilità sono tutte a favore della grossa trota che può srotolare di furia trenta o quaranta metri di lenza e restare poi imbronciata alla base di un grosso scoglio, rifiutandosi di entrare in azione nonostante gli strappi di una grossa canna aiutati da un fluente monologo di maledizioni ojibwayane. In tali circostanze, certe volte ci vogliono anche due ore per catturare un’iridea veramente grossa.
Il Soo permette una pesca formidabile. Ma è una pesca da incubo, seconda per difficoltà soltanto alla pesca del tonno al largo dell’isola Catalina. La maggior parte delle trote abbocca al cucchiaino e disdegna le mosche, e per il pescatore alla mosca puro al novantanove per cento – non esistono i puri al cento per cento – questo è un grosso inconveniente.
Però la trota iridea del Soo abbocca anche alle mosche, ma in quella spaventosa massa d’acqua è difficile manovrarle con quegli attrezzi leggeri preferiti dal pescatore alla mosca. È anche pericoloso guadare i punti che possono essere guadati, per ché basta un passo falso e il pescatore finisce con la testa in giù nelle rapide. Per pescare nella migliore delle acque è quindi indispensabile una canoa.
Tutto sommato è uno sport duro, violento, spossante, al quale mancano certamente le possibilità di meditazione della pesca alla lenza secondo la scuola di Izaak Walton. Il Walhalla di un buon pescatore, una volta morto, sarebbe un normale fiume di trote con tante trote iridee che saltellano, impazienti di abboccare alla mosca.
Uno di questi fiumi esiste: è a meno di cinquanta chilometri dal Soo e si chiama… be’, si chiama fiume. È largo pressappoco come dovrebbe essere largo un fiume, e un po’ più profondo, e per averne un’idea precisa dovete immaginare in rapida successione le seguenti dissolvenze d’apertura:
Un’alta scogliera coperta di pini che sorge ripida dalle ombre.
Un breve pendio sabbioso che digrada verso il fiume, e un’improvvisa svolta a gomito con un folto boschetto alla curva e poi una pozza.
Una pozza dove l’acqua color mosella corre verso un buio gorgo e una distesa tanto profonda da apparire blu cupo e larga una quindicina di metri.
Questo è l’ambiente.
L’azione è compiuta da due figure che entrano nel film arrancando su per il sentiero che costeggia la sponda del fiume, con la schiena oppressa da fardelli che stancherebbero un cavallo da tiro. Questi fardelli vengono lanciati sopra le teste nella macchia di felci al margine di quella pozza profonda. No, non è esatto. In realtà le figure barcollano leggermente in avanti. Le cinghie si allentano e il pacco piomba per terra. Non si lanciano fardelli dopo una marcia di sei chilometri e più.
Una delle figure alza gli occhi e s’accorge che in alto la scogliera è appiattita e che c’è un posto adatto per montarvi una tenda. L’altra si è sdraiata sulla schiena e guarda il cielo. La prima allunga una mano per raccogliere una cavalletta intirizzita dalla rugiada della sera e gettarla nella pozza.
Per un attimo la cavalletta galleggia a gambe divaricate sull’acqua della pozza, poi un vortice l’assorbe e c’è una...