La caduta
eBook - ePub

La caduta

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Dopo che a bordo di un Boeing 777 atterrato all'aeroporto di New York sono stati ritrovati dei cadaveri infettati da un misterioso virus letale, si scatena nella metropoli una terribile pandemia che si estende velocemente negli Stati Uniti mettendo in pericolo il mondo intero.
A distanza di qualche settimana a New York regna il caos: le persone spariscono, i negozi vengono saccheggiati e l'esodo di massa dalla città sembra inarrestabile, mentre il sottosuolo brulica di creature assetate di sangue. È scoppiata la guerra tra vampiri del vecchio e del nuovo mondo per il controllo totale degli esseri umani, rendendo questi ultimi ancora più deboli e vulnerabili. Abraham Setrakian, l'anziano professore sopravvissuto allo scontro con il capo dei vampiri, il Padrone, nonostante le precarie condizioni di salute continua a guidare il piccolo gruppo di resistenza composto dagli scienziati Ephraim Goodweather - capo dell'Ente controllo e prevenzione malattie infettive, la cui ex moglie Kelly è entrata a far parte dello schieramento avversario e cerca di reclutare il figlio Zack - e Nora Martinez, oltre al disinfestatore Vasiliy Fet. Ma potrebbe essere troppo tardi. L'unica speranza di salvare l'umanità, ancora ignara del destino a cui sta andando incontro, consiste nell'uccidere il Padrone e il suo complice Eldritch Palmer, uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo, disposto a tutto pur di ottenere l'immortalità. Nessun mezzo sembra però essere efficace, e il professore e i suoi compagni scopriranno ben presto di non essere gli unici a combattere il Padrone.
Secondo episodio della trilogia "Nocturna" dopo La progenie, La caduta è un thriller avvincente e cinematografico, ricco di azione e suspense, che conferma le notevoli doti dei due autori di intrattenitori del grande pubblico.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804611332
eBook ISBN
9788852019319
art

La fogna

Quando riprese conoscenza, Vasiliy Fet si trovò sommerso per metà dall’acqua lurida. Tutt’intorno tubature rotte vomitavano litri su litri di liquidi di scolo nella pozza che ingrandiva sotto di lui. Fet cercò di alzarsi, ma si appoggiò al braccio contuso e gemette. Ricordò cos’era avvenuto: l’esplosione, lo strigoi. L’aria era pregna del puzzo stomachevole di carne bruciata misto a fumi tossici. Da qualche parte in lontananza – sopra di lui? Sotto di lui? – udì rumori di sirene e di radio della polizia. Più avanti, un debole bagliore d’incendio contornava la lontana imboccatura di un tunnel.
La gamba ferita era immersa nell’acqua e sanguinando la rendeva più scura. Gli fischiavano ancora le orecchie, o meglio una sola. Fet la toccò e sentì staccarsi croste di sangue. Forse aveva il timpano rotto.
Non sapeva dove fosse finito né come avrebbe fatto a uscire, ma di sicuro era stato spinto per un buon tratto dall’esplosione e ora intorno a sé aveva un po’ più spazio.
Si girò e vide vicino al suo fianco una grata allentata: acciaio rugginoso, viti marce, vibrazione al tocco. La scalzò un poco e avvertì una folata d’aria pura. Era vicino alla libertà, ma con le sole dita non sarebbe riuscito a staccare del tutto la grata.
Si tastò intorno alla ricerca di qualcosa da usare come leva. Trovò un pezzo di ferro contorto e poi, steso bocconi, il corpo carbonizzato dello strigoi.
Guardando i resti bruciati, Fet ebbe un attimo di panico. I vermi di sangue. Erano colati dal corpo ospite e ne avevano cercato alla cieca un altro in quell’umido buco? In quel caso, erano già dentro di lui? La ferita alla gamba? Se ne sarebbe accorto se fosse stato infettato?
Poi il corpo si mosse.
Si contorse.
Anche se piano.
Funzionava. Era ancora vivo... vivo come può esserlo un vampiro.
Per questo i vermi non erano ancora colati fuori.
Il corpo si alzò a sedere nell’acqua. La schiena era carbonizzata, ma la parte anteriore no. C’era qualcosa di sbagliato negli occhi e Fet capì subito che lo strigoi era rimasto accecato. Il vampiro si mosse con sgraziata determinazione: molte ossa erano completamente slogate, ma la muscolatura pareva intatta. Non aveva più la mandibola, strappata via dall’esplosione, tanto che il pungiglione ondeggiava liberamente all’esterno come un tentacolo.
Aveva movenze aggressive, un predatore cieco pronto a caricare. Ma Fet restò affascinato dallo spettacolo del pungiglione esposto. Era la prima volta che lo vedeva per intero. Era attaccato in due punti, alla base della gola e nella parte più interna del palato. La radice era congestionata e aveva una struttura muscolare increspata. In fondo alla gola, un foro simile a uno sfintere era spalancato a richiedere cibo. Vasiliy pensò di avere già visto una struttura simile, ma dove?
Nella luce fioca, tastò intorno a sé alla ricerca della sparachiodi. La creatura girò la testa verso il rumore dell’acqua, nel tentativo di orientarsi. Fet stava per rinunciare quando trovò l’arma, completamente sott’acqua. “Maledizione” pensò cercando di controllare la rabbia.
Ma la creatura chissà come l’aveva localizzato e si lanciò alla carica. Fet si mosse con la massima rapidità possibile, però la creatura che, benché cieca, a quel punto era in grado di orientarsi nel condotto e si era adattata alle membra danneggiate, trovò d’istinto l’appoggio e scattò con straordinaria coordinazione.
Fet alzò la sparachiodi e sperò nella fortuna. Tirò il grilletto, due volte, e scoprì di essere senza munizioni. Aveva svuotato il caricatore prima dell’esplosione e adesso aveva in mano solo un inutile attrezzo industriale.
La creatura gli fu addosso nel giro di pochi secondi, lo abbrancò e lo spinse giù.
Fet ebbe addosso tutto il peso del vampiro. Quel che restava della bocca della creatura tremò e il pungiglione arretrò, pronto a scattare.
D’impulso Fet lo afferrò come avrebbe fatto con un topo rabbioso. Lo tirò, piegandolo e staccandolo dalla struttura nella gola aperta del vampiro. Lo strigoi si contorse e gridò, non riuscendo a contrastare con le braccia slogate la presa di Fet. Il pungiglione era come un muscoloso serpente, viscido e sfuggente, che si contorceva e si dimenava per liberarsi. Ma adesso Fet era infuriato. Più la creatura tirava indietro più lui tirava avanti. Non avrebbe allentato la stretta ferrea e utilizzava il braccio buono con tutta la sua forza.
E la forza di Fet era notevole.
Con un ultimo strattone, Fet soverchiò lo strigoi e strappò dal collo il pungiglione e parte della struttura ghiandolare e della trachea.
L’entità si dimenò nella sua mano e si mosse come un animale indipendente, mentre il corpo ospite si dimenava, spasmodico, e cadeva all’indietro.
Uno spesso verme di sangue emerse dall’organo che si contorceva e strisciò veloce sul pugno di Fet. Scivolò al di là del polso e in un attimo cominciò a scavarsi un buco nel braccio. Trapanava direttamente verso le vene. Fet gettò il pungiglione e guardò il parassita penetrargli la carne. Era dentro a metà. Allora afferrò l’estremità ancora visibile e diede uno strattone. Lo estrasse tutto, ululando di dolore e disgusto. Di nuovo per istinto spezzò in due il rivoltante parassita.
Nella sua mano, sotto i suoi occhi, le due metà si trasformarono come per magia in due parassiti completi.
Fet li scagliò lontano. Vide uscire dal corpo del vampiro decine di vermi che strisciavano verso di lui nell’acqua fetida.
Non trovò più il pezzo di ferro piegato, imprecò, afferrò a mani nude la grata e, sotto l’effetto dell’adrenalina, la strappò completamente. Poi prese la sparachiodi vuota, saltò fuori dal condotto e corse verso la libertà.

L’Angelo d’argento

Viveva da solo in un condominio a Jersey City, a due isolati da Journal Square. Uno dei pochi quartieri che non erano stati trasformati in residenziali. Un rilevante numero di yuppie si era impossessato del resto. Da dove venivano? Com’è che non finivano mai?
Salì le scale fino al suo appartamento al terzo piano, con il ginocchio destro che scricchiolava a ogni passo, una fitta di dolore che continuava a farlo sobbalzare.
Si chiamava Ángel Guzmán Hurtado e un tempo era grande. Ancora adesso era grande, fisicamente, ma a sessantacinque anni il ginocchio ricostruito gli doleva di continuo e il grasso, quello che il suo medico americano chiamava “indice di massa corporea” e che ogni messicano avrebbe definito “panza”, aveva preso il sopravvento sulla sua figura per il resto imponente. Era afflosciato dove soleva essere tirato ed era tirato dove un tempo era flessibile... ma grande? Ángel era sempre grande. Grande come uomo e come star... o almeno quello che somigliava a una star nella vita passata.
Ángel era stato un wrestler, il wrestler a Città del Messico. El Ángel de Plata. L’Angelo d’argento.
Aveva iniziato la carriera negli anni Sessanta come wrestler rudo (uno dei “cattivi”), ma presto, con la sua caratteristica maschera d’argento, era entrato nelle grazie del pubblico adorante e così aveva modificato lo stile e cambiato il personaggio in wrestler tecnico, uno dei “buoni”. Negli anni era diventato un’industria: fumetti, fotonovelas (piccanti riviste illustrate con foto che raccontavano i suoi strani e spesso ridicoli exploit), film e spot per la TV. Aveva aperto due palestre e comprato cinque o sei immobili in varie parti di Città del Messico, divenendo a buon diritto una sorta di supereroe. I suoi film spaziavano in tutti i generi: western, horror, fantascienza, spionaggio... molte volte con le stesse caratteristiche. Catturava con lo stesso aplomb creature anfibie e spie sovietiche, in scene dalla scadente coreografia piene di effetti sonori registrati, terminando sempre con il suo caratteristico colpo da KO noto come il “Bacio d’angelo”.
Ma era stato con i vampiri che aveva scoperto la sua vera nicchia. Il prodigio mascherato d’argento combatteva ogni genere di vampiro: maschio, femmina, snello, grasso... e a volte perfino nudo, per versioni alternative distribuite solo oltremare.
A un certo punto, però, la caduta eguagliò l’altezza della scalata. Più espandeva il suo impero, meno di frequente si allenava e il wrestling divenne una seccatura, un rospo da ingoiare. Quando i suoi film erano successi di cassetta e la sua popolarità ancora alle stelle, si esibiva in incontri di wrestling solo un paio di volte all’anno. Il suo film L’Angelo contro Il ritorno del vampiro (un titolo sintatticamente scorretto e che tuttavia racchiudeva alla perfezione la sua oeuvre cinematografica) era tornato in auge grazie a numerose repliche televisive e Ángel si era sentito spinto dalla fama in declino a produrre un nuovo scontro con le zannute creature intabarrate che gli avevano dato tanto.
Così un mattino si era trovato a faccia a faccia con un gruppo di giovani wrestler truccati da vampiri con cerone dozzinale e canini di gomma. Ángel stesso li aveva costretti a un cambiamento di coreografia nella lotta, che gli avrebbe permesso di terminare tre ore prima: era meno concentrato sul film in corso che sul Martini pomeridiano che intendeva godersi all’Hotel Intercontinental.
Nella scena un vampiro rischiava di togliergli la maschera e Ángel si liberava miracolosamente con un colpo a palma aperta, il suo caratteristico Bacio d’angelo.
Ma mentre la scena procedeva, ripresa da tecnici sudati in un soffocante teatro di posa negli studi Churubusco, il giovane attore vampiro, forse esaltato dalla gloria del debutto cinematografico, aveva messo nella scaramuccia un po’ più forza del necessario e aveva sbattuto a terra l’anziano wrestler. Nel cadere, il vampiro era atterrato, goffamente e tragicamente, sulla gamba del venerabile maestro.
Il ginocchio di Ángel si era rotto con un forte schiocco piegandosi a formare una L pressoché perfetta. Il grido di dolore del wrestler era stato soffocato dalla maschera d’argento quasi strappata via.
Ángel si era svegliato ore dopo, in una stanza privata di uno dei migliori ospedali della città, circondato da mazzi di fiori, con la serenata delle grida d’auguri dei fan giù nella via.
Ma la sua gamba era fracassata. Irrimediabilmente.
Glielo aveva spiegato con cordiale franchezza il suo buon medico, un uomo con il quale Ángel aveva condiviso alcuni pomeriggi di stronzate nel country club di fronte allo studio cinematografico.
Nei mesi e negli anni seguenti Ángel aveva speso buona parte della sua fortuna nel tentativo di riparare l’arto rotto, con la speranza di ricucire la carriera interrotta e recuperare la tecnica; ma la pelle, indurita dalle numerose cicatrici che gli segnavano il ginocchio, e le ossa si erano rifiutate di guarire nel modo giusto.
Come umiliazione finale, un quotidiano aveva rivelato al pubblico la sua identità e, senza l’ambiguità e il mistero della maschera d’argento, l’Ángel uomo comune era diventato troppo pietoso per essere adorato.
Il resto era accaduto velocemente. Quando i suoi investimenti avevano cominciato a vacillare, Ángel si era trovato un lavoro come istruttore, poi come guardia del corpo, infine come buttafuori, ma aveva conservato l’orgoglio; in breve si era ritrovato a essere un corpulento vecchio che non faceva paura a nessuno. Quindici anni prima aveva seguito una donna a New York e si era trattenuto per un periodo più lungo di quanto indicato dal visto sul passaporto. Ora, come molta gente che abita in case d’affitto, non aveva una chiara idea di come ci era finito; solo che era davvero lì, inquilino di un palazzo del tutto simile a uno dei sei che un tempo possedeva.
Ma pensare al passato era pericoloso e doloroso.
Di sera faceva il lavapiatti nel Tandoori Palace al piano di sotto, proprio la porta accanto. Era capace di stare in piedi per ore, nelle notti piene di lavoro, avvolgendosi pezzi di nastro adesivo intorno a due larghe stecche ai lati del ginocchio, sotto i calzoni. E c’erano molte notti piene di lavoro. Di tanto in tanto puliva i gabinetti e spazzava i marciapiedi, così dava ai Gupta un motivo sufficiente per tenerlo. Era finito in fondo alla gerarchia sociale, così in basso che adesso il suo bene più prezioso era l’anonimato. Nessuno doveva sapere chi era stato un tempo. In un certo senso portava di nuovo una maschera.
Nelle due sere precedenti il Tandoori Palace era rimasto chiuso, come la drogheria della porta accanto, l’altra metà dell’emporio neobengalese di proprietà dei Gupta. Nessuna parola e nessun segno della loro presenza, nessuna risposta al telefono. Ángel aveva iniziato a preoccuparsi. Non per loro, in realtà, ma per le sue entrate. La radio parlava di quarantena, buona per la salute, ma cattiva per gli affari. I Gupta avevano lasciato la città? Forse erano incappati in uno degli episodi di violenza sorti inaspettatamente. In tutto quel caos, come avrebbe potuto sapere se erano rimasti uccisi?
Tre mesi prima l’avevano mandato a fare duplicati delle chiavi dei due negozi e Ángel ne aveva fatto una copia in più. Non sapeva cosa gli fosse saltato in testa, di certo non aveva oscuri secondi fini; era solo una lez...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La Caduta
  3. Cieli Grigi
  4. Soffia Un Vento Gelido
  5. Foglie Morte
  6. Pioggia
  7. Epilogo
  8. Copyright