L'estate francese
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L'estate francese

  1. 552 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'estate francese

Informazioni su questo libro

Ai tre fratelli Keeler non manca davvero nulla: affascinanti e viziati, conducono un'esistenza privilegiata che si fonda sulla ricchezza e l'ottima posizione sociale dei genitori. La madre Diana, vero fulcro della famiglia, è un avvocato all'apice della carriera, il padre Harvey un affermato neurochirurgo, e Rafe, Aaron e Josh sembrano avere il futuro spianato. Ma è proprio nelle famiglie all'apparenza perfette che una linea sottile divide l'amore dall'odio, soprattutto quando si nascondono segreti scottanti.
È per questo che la vita dei Keeler rischia di essere sconvolta dall'arrivo di tre giovani donne che Diana non ritiene all'altezza dei suoi figli. Il primogenito Rafe, medico di successo, incontra Maddy, un'aspirante attrice americana, che nasconde un animo fragile e travagliato. Aaron, bello e sfrontato, riesce a vincere la diffidenza e il risentimento di Julia, ambiziosa studentessa di umili origini conosciuta alla facoltà di legge. Josh, il più misterioso e problematico dei tre, architetto dalla vita nomade, si lascia conquistare dall'amore di Niela, una rifugiata somala dal passato oscuro. Con L'estate francese Lesley Lokko conferma il suo talento narrativo capace di emozionare e far sognare, conquistandoci con una storia ambientata in mondi diversi in cui si incontrano culture lontane fra loro. Da Londra, dove la lussuosa villa dei Keeler fa da sfondo a dinamiche e conflitti familiari, a New York, città simbolo di speranze e sogni delusi in cui si conoscono Maddy e Rafe, dai quartieri degli immigrati di Vienna, dove una famiglia di rifugiati somali cerca invano di ricostruirsi una vita, all'Africa delle guerre civili e degli aiuti umanitari che riunisce i destini di Josh e Niela, fino alla Costa Azzurra, dove una lontana vacanza estiva cambia per sempre le sorti dell'intera famiglia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804607038
eBook ISBN
9788852018664

Settima parte

68

MADDY
Londra, aprile 2000
«Dobbiamo proprio andare?» Maddy si voltò per guardarsi la schiena allo specchio. «Sta bene?» chiese ansiosa.
Rafe non sapeva a quale domanda rispondere prima. «Sì, e sì» disse, poi sistemò il nastro nei capelli di Darcy. «Ecco, a posto, tesoro.»
«Perché invece non ci andate solo tu e Darcy?» mormorò Maddy. «Sono sicura che a Diana non importerà se io non vengo.»
«Maddy, smettila di fare la difficile. Dài, sono secoli che non usciamo.»
Maddy stava per ribattere che andare da Diana a pranzo non poteva proprio definirsi un’uscita, ma si trattenne, non senza sforzo. «Okay, okay. Sei sicuro che sto bene? Me lo sento un po’ stretto.»
«Stai bene, tesoro» disse Rafe senza nemmeno guardarla. Darcy si era sfilata il nastro dai capelli per la quinta o sesta volta e adesso gli stava chiedendo di rimetterglielo.
«Darcy, vuoi finirla?» esclamò esasperata Maddy. «Lascia stare quel dannato nastro oppure toglilo una volta per tutte. Decidi tu.»
Darcy la guardò con aria di sfida. Rimasero a fissarsi per un secondo, uno scontro di volontà. Ridicolo, pensò Maddy. Darcy aveva due anni. Come ci si poteva scontrare con una bambina di due anni? Il labbro inferiore di Darcy cominciò a tremare. Maddy alzò gli occhi al cielo e si voltò. Non poteva sopportare di vedere quel che stava per succedere. Lacrime. Mamma cattiva. Povera Darcy. Riusciva quasi a sentire i pensieri di Rafe. Lei era soltanto una sciocca. Sapeva perfettamente perché Darcy desiderava sempre stare al centro dell’attenzione. Come c’era da aspettarsi, la bambina scoppiò a piangere. Rafe scosse la testa esasperato e si chinò per consolarla. Maddy uscì dalla stanza.
Si sedette sul bordo del letto, con le mani che le tremavano. Perché doveva sempre andare a finire in quel modo? Dov’è che aveva sbagliato con Darcy? Sentiva attraverso la porta la voce suadente di Rafe... nel giro di qualche secondo sua figlia aveva smesso di piangere. Con Maddy era tutta un’altra storia. Dall’istante in cui Darcy apriva gli occhi la mattina e si rendeva conto che papà non c’era, era una caduta libera. Lacrime, capricci, strilli... quelle dodici, lunghe ore ogni giorno fra la partenza di Rafe e il suo ritorno a casa erano una specie di tortura. Per entrambe. Fin dalla nascita di Darcy, Maddy aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Nei momenti di maggiore disperazione, si domandava se per caso non fosse una specie di punizione per tutte le storie che lei aveva fatto a proposito del nome della bambina. Diana voleva chiamarla Elizabeth.
Maddy aveva guardato Rafe dalla posizione protetta del suo letto d’ospedale. “Stai scherzando, vero?” gli aveva detto, stringendo forte la bambina.
“No, è il nome di mia nonna. È bello.” Rafe si era passato una mano fra i capelli. Maddy aveva riconosciuto il gesto: era nervoso. Aveva provato un brivido di paura. “Potremmo abbreviarlo in Liz” le aveva suggerito speranzoso.
“Non se ne parla neanche, cazzo.”
“Maddy!” Rafe l’aveva guardata storto. “È il nome di mia nonna.”
“E lei è mia figlia.”
Erano rimasti a fissarsi, entrambi sorpresi dall’improvvisa piega ostile che aveva preso la conversazione. In quel momento, la neonata aveva cominciato a piangere. Da allora non aveva più smesso.
«Maddy?» Rafe bussò alla porta. «Pronta?»
«Arrivo» rispose lei voltando di scatto la testa. Non voleva che lui notasse i segni delle lacrime. «Vado solo un attimo in bagno. Esco fra un secondo.»
Si guardò allo specchio. La faccia era presentabile. Gli occhi erano dilatati e luminosi, ed era riuscita a evitare di sbavare il mascara. Si girò di lato, valutando il suo profilo, poi si legò velocemente i capelli sulla nuca. Un’ultima spruzzatina di profumo, un tocco di rossetto ed era pronta. Drizzò le spalle. Quel giorno Darcy avrebbe avuto tutte le attenzioni delle tre persone che lei preferiva al mondo. Con un po’ di fortuna si sarebbe addormentata presto, dopo avere mangiato prima degli altri, e Maddy almeno sarebbe riuscita a godersi la conversazione a tavola... o forse no.
«Siamo solo noi oggi, vero?» chiese Maddy a Rafe mentre si avviavano. Non era sicura che avrebbe sopportato una riunione allargata dei Keeler.
«Credo di sì. Aaron e Julia sono via.»
Maddy non commentò. Erano passati tre anni da quando il destino aveva fatto incontrare lei e Julia attraverso il matrimonio con i fratelli Keeler. Sembrava un’eternità... eppure la cognata non si era ancora affezionata a lei. Maddy avrebbe voluto a ogni costo piacerle, ma non pareva esserci un desiderio simile da parte di Julia. Era sempre così terribilmente occupata. Quel fatto innervosiva Maddy. Si incontravano da Diana la domenica; si incontravano a Mougins; erano molto educate l’una con l’altra, ma era evidente che Julia considerava Maddy una vera stupida e lei... Be’, dentro di sé era terrorizzata dalla cognata. All’ultimo pranzo avevano bevuto tutti un po’ troppo – era d’obbligo, non c’era altro modo per superare il pomeriggio – e Maddy aveva fatto un commento sul fatto che a Londra si annoiava: non è che si stesse lamentando, era una semplice constatazione.
Julia aveva immediatamente preso la parola per attaccarla. “Perché non ti cerchi un lavoro?” le aveva chiesto.
“Un lavoro?” Maddy si era sentita arrossire. Aveva notato che Rafe la guardava con un’espressione strana.
“Sì, hai presente... fare qualcosa. Come tutti noi.”
“Sono un’attrice” aveva ribattuto Maddy in tono esitante. “È davvero difficile. Non ci sono molte parti a disposizione.”
“Be’, allora trovati qualcos’altro. Fai del volontariato, per esempio.” I suoi occhi grigioazzurri si erano posati per un attimo su Maddy; non era possibile equivocare il disprezzo che vi leggeva dentro. Maddy aveva rimpianto amaramente di avere sollevato l’argomento.
“Qualcuno vuole il dolce? Ancora un po’ di vino?” La voce pacata di Diana aveva rapidamente messo fine alla questione. Maddy si era alzata da tavola con una scusa qualunque ed era andata in bagno a vomitare. Un altro pranzo ben riuscito chez Diana.
Oh, be’... a volte si vince, a volte si perde. La gente accusava sempre gli americani di essere troppo amichevoli, troppo invadenti. Cosa c’era di sbagliato a essere amichevoli? aveva sempre pensato Maddy. Che male c’era a esprimere un po’ di affetto?
Si voltò a guardare Darcy che, non appena sistemata in macchina, si era addormentata. Provò un improvviso e inaspettato moto d’affetto per lei. Sembrava proprio un angelo. Aveva preso tutto da Rafe, su quello non si discuteva, ma c’era una sfumatura rossiccia nei suoi capelli biondi che ricordava quelli di Maddy. Aveva preso da lei anche il carattere, benché pochi l’avrebbero sospettato. Dopo che suo padre se n’era andato, Maddy non aveva più avuto motivo di scatenare capricci e scenate come aveva fatto in passato. Lo sguardo angosciato di sua madre bastava a spegnere anche il minimo focolare di rabbia. Aveva imparato a tenere sotto controllo le sue emozioni: uscivano fuori solo quando recitava, e durante quell’altra cosa che faceva di tanto in tanto. A quel pensiero, arrossì nella penombra della macchina. Aveva ricominciato. Non tutti i giorni, naturalmente, ma almeno una volta alla settimana. Era restare sola con Darcy che la spingeva a farlo. E poi c’era stata quella volta che sua figlia era entrata in bagno e l’aveva vista. Aveva proprio avuto la sensazione di essere colta in flagrante. Ridicolo. Come poteva una bambina di appena due anni capire queste cose? Darcy era rimasta immobile sulla soglia per qualche minuto, in silenzio. Maddy non se n’era accorta. Aveva alzato la testa, lo stomaco che ancora si contraeva, si era voltata a prendere un fazzoletto... e in quel momento l’aveva vista. Darcy aveva il dito in bocca e i suoi occhi verdeazzurri la fissavano accusatori. “La mamma non sta bene” aveva detto Maddy imbarazzata. “Va’ nella tua stanza, tesoro, arrivo fra un minuto. Ti leggerò una storia, va bene?” Darcy si era limitata a voltarsi e ad andarsene. Maddy era rimasta con il sapore acido del vomito in bocca, solo che ora era mescolato al senso di colpa.
Fortunatamente sembrava che il pranzo sarebbe trascorso liscio. Aaron e Julia erano in vacanza da qualche parte per festeggiare la promozione di Julia a socio junior nello studio legale in cui lavorava. Dai commenti misurati ma pungenti di Diana, Maddy fu indotta a capire che la carriera di Julia stava decollando... mentre quella di Aaron no. Lui aveva qualche anno più di Julia e aveva più esperienza; aveva lavorato come procuratore legale prima di diventare avvocato patrocinante e avrebbe dovuto essere più avanti di lei nel percorso professionale. Invece non era così, e chiaramente quella non era una cosa che Diana potesse risolvere per lui. Questo fatto sorprese Maddy: era abituata a sentire meraviglie sull’intelligenza dei suoi figli... a quanto pareva, le cose non stavano andando secondo i suoi piani. Si capiva benissimo quanto Diana fosse seccata di dover parlare dei successi di Julia e non di quelli di Aaron. Per quanto riguardava l’altra cognata... era da più di un anno che non vedeva Josh o Niela. Erano entrambi via per lavoro: Josh da qualche parte nell’Estremo Oriente, Niela un po’ più vicino, in Giordania o in Siria... un posto strambo del genere. Maddy non riusciva a immaginarsi le loro vite. Ora Niela era diventata interprete a tempo pieno ed era sempre in viaggio. A Maddy lei piaceva, per quanto potesse giudicare una persona che aveva incontrato solo due volte.
I vini erano eccellenti, come al solito. Maddy aveva in mano un bicchiere di bianco e osservava Diana che si affaccendava intorno a Darcy per farla mangiare prima degli altri. Harvey la stava intrattenendo con brillanti aneddoti sulle sue giornate. Maddy cercava di calibrare le sue risposte in sintonia con l’occasione: non troppo chiassose, non troppo divertenti, non troppo sfacciate. Erano le uniche possibilità che aveva, in quei tempi, di recitare. Darcy fu al centro dell’attenzione per mezz’ora, poi, stringendo la mano di Rafe da una parte e quella di Diana dall’altra, fu accompagnata di sopra nella stanza che la nonna aveva arredato apposta per lei. Maddy la detestava: pareti color pastello coperte di stencil tratti da libri per bambini di cui lei non aveva mai sentito parlare e finestre avviluppate in metri e metri di seta rosa. Seta rosa? Per una bambina di due anni? Darcy la adorava, ovviamente. “La mia stanza da favola.” O qualcosa del genere.
«Allora, cosa stai facendo di bello ultimamente?» le chiese Harvey estraendo una grossa casseruola dal forno. La appoggiò con cura e sollevò il coperchio. La cucina si riempì del profumo delizioso di pesce ed erbe aromatiche. «Sembra buono, eh?» le disse tanto per fare conversazione, rimettendo il coperchio.
«Oh, niente di speciale» rispose Maddy appollaiata su uno sgabello al bancone della colazione, osservandolo mentre apparecchiava la tavola. I suoi movimenti erano precisi, proprio come quelli di suo figlio. Doveva essere una caratteristica dei chirurghi, immaginava. Ripensò alla prima volta che aveva parlato con Rafe, a New York. Allora era rimasta colpita dalle sue mani, quasi più espressive delle sue parole. Harvey era uguale. Maddy bevve un altro sorso di vino. «Le settimane sembrano volare via, vero?» gli disse, cercando di infondere la giusta quantità di leggerezza nella voce.
Harvey interruppe quello che stava facendo. «Non hai più avuto risposta da quell’agente? Quello che dovevi incontrare l’ultima volta che ci siamo visti?»
Maddy scosse piano la testa. «Niente, nemmeno una telefonata. Non lo so... è così difficile...»
«Non devi gettare la spugna.»
Maddy alzò di scatto lo sguardo su di lui. Come succedeva spesso con Harvey, le sue parole avevano lasciato intendere qualcosa di più. A lei piaceva tantissimo. Era gentile, con quelle maniere cortesi che lei aveva sempre associato agli attori inglesi di vecchia generazione. Aveva un modo di guardarti direttamente negli occhi, la testa inclinata da un lato mentre ascoltava, come se tu fossi la persona più importante nella stanza. «Io... ci proverò» rispose titubante.
«Proverò cosa?» La voce di Rafe le giunse da dietro l’orecchio. Maddy sobbalzò sentendosi in colpa, come se fosse stata... colta sul fatto.
«A non arrendersi.» Harvey porse un bicchiere al figlio. «Non vediamo l’ora di vederti sul palcoscenico, mia cara. Ma dov’è tua madre? Siamo quasi pronti a pranzare.»
«Scende fra un attimo. Darcy si è quasi addormentata.» La mano di Rafe si posò sulla nuca di Maddy. Lei provò un brivido di apprensione, che passò subito. Dall’altra parte del tavolo Harvey la stava guardando con un’espressione che lei preferiva non incrociare. Per un momento, quando erano rimasti da soli, aveva sentito un calore da parte sua che l’aveva disarmata. Non voleva rovinarlo. Sorseggiò il vino e sentì che la loro attenzione pian piano scivolava via da lei. Era sollevata, in tutti i sensi.

69

JULIA
Londra, maggio 2000
Julia scivolò giù dal letto, facendo attenzione a non svegliare Aaron, e corse in bagno. Chiuse la porta più silenziosamente che poté, girò la chiave e aprì l’armadietto delle medicine. Frugò finché trovò la scatoletta lunga e bianca che stava cercando. La prese e la guardò, il cuore che le batteva forte. Clearblue. Risultati in meno di un minuto.
Si appollaiò sulla punta del water, in una posizione scomoda, tirò via la carta protettiva e posizionò lo stick per catturare il flusso di urina. Aspettò un minuto intero come da istruzioni, trattenne il fiato, poi guardò giù. Niente. La finestrella era vuota. Nessuna linea azzurra. Una calda ondata di delusione la travolse. Si piegò in due, stringendosi con le braccia, cercando di non scoppiare a piangere. Attese qualche istante, poi si alzò, fece scorrere l’acqua e gettò lo stick nel cestino della spazzatura. Era la terza volta che faceva il test e il risultato era sempre negativo. Non ne aveva parlato con nessuno: non con le sue amiche né con Dom, e di certo non con Aaron. Non era sicura di come avrebbe reagito lui. Dopo il ritorno da Mougins, quel Natale, una strana paura aveva cominciato a impossessarsi di lei. Fino a quel momento era stata contenta. Per la prima volta da anni, i primi istanti appena sveglia erano sereni, a volte persino felici. Si trattava di piccole cose. Sentire la pianta del piede di Aaron contro la sua o il modo in cui la abbracciava mentre dormiva, una mano sempre addosso a lei come se avesse paura di perderla. Il modo in cui la chiamava non appena entrava dalla porta: “Jules?” Era il soprannome che le aveva dato suo padre. Come avrebbe mai potuto saperlo Aaron? La prima volta che lui l’aveva usato Julia aveva provato un brivido di emozione. “Così mi chiamava mio padre” gli aveva detto piano, voltandosi.
“Ti sta bene.” Le aveva sorriso, inconsapevole dell’effetto che aveva scatenato. “Vieni qui, Jules.” Aveva allungato le braccia. Un piccolo gesto, di quelli che faceva ogni giorno, ma che nella sua semplicità era consolatorio. Lui aveva cominciato ad alleviare dolore.
C’era stato un breve periodo di felicità, poi le paure avevano ripreso il sopravvento... paure di un genere diverso, forse, ma ugualmente terrorizzanti. Sarebbe finito tutto. Ci sarebbe stato un incidente. Aaron avrebbe trovato qualcun’altra. Lei avrebbe perso il lavoro. Gli scenari erano infiniti e senza fondamento, ma lei non riusciva a smettere di pensarci. Si era ritrovata a riflettere sui modi sempre più intricati in cui stava legando la sua vita a quella di Aaron, solo che non era nel suo carattere dipendere da qualcuno, tanto meno da un uomo. Era sempre stata un tipo solitario, che si accontentava di una o due amiche sincere, e non aveva mai cercato di essere l’anima della festa. Odiava quella parte di lei che stava seduta di notte ad aspettarlo le poche volte in cui lui usciva con gli amici. Era già abbastanza brutto che lavorassero nello stesso ufficio: con suo grande orrore, Julia gli chiedeva di pranzare e di tornare a casa insieme. Per qualche settimana i desideri contrastanti dentro di lei si erano battuti per la supremazia, poi una mattina la soluzione le era venuta in mente all’improvviso, come dal nulla. Un figlio avrebbe sigillato le fessure, sanato il dolore che le avrebbe arrecato perdere qualsiasi parte della sua ritrovata felicità. Amava Aaron e lui amava lei. Quale modo migliore per mettere a tacere il panico?
Eppure non succedeva niente. “Sono solo tre mesi” si disse, lavandosi la faccia con l’acqua fredda. Si guardò ansiosa il naso arrossato nello specchio del bagno. “Devo avere pazienza. Succederà presto” pensò prendendo l’asciugamano. “Certo che sarà così.” Spense la luce in bagno e aprì...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L’estate francese
  3. Ringraziamenti
  4. Prima parte
  5. Prologo
  6. Seconda parte
  7. Terza parte
  8. Quarta parte
  9. Quinta parte
  10. Sesta parte
  11. Settima parte
  12. Ottava parte
  13. Epilogo
  14. Copyright