Le nevi del Kilimangiaro
  1. 182 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Il continuo intreccio tra avvenimenti vissuti e letteratura caratterizza l'intera opera di Ernest Hemingway, un incessante viaggiare, un fuggire da qualcosa, o verso qualcosa, di inafferrabile. Come i romanzi anche i racconti sono legati alle vicende personali dell'autore, ma rivelano spesso un Hemingway più autentico, che non accetta la maschera autoimposta dell'uomo d'azione, che non si accontenta di regole e valori rituali che possano dare senso all'esistenza, ma vuole andare oltre i confini per scrutare con straordinaria penetrazione nell'essenza stessa delle cose. Questo volume presenta tre fra i più intensi racconti del grande scrittore americano, espressione del suo stile narrativo secco ed essenziale: La breve vita felice di Francis Macomber, Le nevi del Kilimangiaro e Vecchio al ponte.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804485827

La breve vita felice di Francis Macomber

Era ora di pranzo e tutti sedevano sotto il doppio telo verde della tenda della mensa fingendo che non fosse successo nulla.
«Cosa preferisce? Succo di limetta o spremuta di limone?» chiese Macomber.
«Succo di limetta con una spruzzata di seltz e un po’ di gin» gli disse Robert Wilson.
«Anche per me. Ho bisogno di qualcosa» disse la moglie di Macomber.
«Mi sembra giusto» convenne Macomber. «Gli dica di farne tre.»
Il boy che si occupava della mensa si era già messo a prepararli, togliendo le bottiglie dalle sacche frigorifere di tela che trasudavano l’umidità nel vento che soffiava tra gli alberi che ombreggiavano le tende.
«Cos’avrei dovuto dare agli uomini?» chiese Macomber.
«Una sterlina sarebbe più che sufficiente» gli disse Wilson. «Non vorrà viziarli.»
«Penserà il capo a dividerla?»
«Assolutamente.»
Francis Macomber, mezz’ora prima, era stato portato in trionfo dai bordi del campo fino alla sua tenda sulle braccia e sulle spalle del cuoco, dei boys personali, del conciapelli e dei portatori. I portatori di fucile non avevano partecipato alla manifestazione. Quando gli indigeni lo avevano deposto davanti alla porta della tenda, lui aveva stretto la mano a tutti, ricevuto le loro congratulazioni, e poi era entrato nella tenda e si era seduto sul letto fino a quando era entrata sua moglie. Lei non gli aveva rivolto la parola, quando era entrata, e lui aveva lasciato subito la tenda per lavarsi la faccia e le mani nel lavabo portatile esterno e proseguire fino alla mensa dove si era seduto, all’ombra e nella brezza, in una poltroncina di tela.
«Ha preso il suo leone» gli disse Robert Wilson «e una gran bella bestia, per giunta.»
La signora Macomber gli scoccò un’occhiata fulminea. Era una donna molto bella e ben conservata cui l’avvenenza e la posizione sociale avevano permesso, cinque anni prima, di guadagnare cinquemila dollari solo per sponsorizzare, con le sue fotografie, un prodotto di bellezza che non aveva mai usato. Da undici anni era la moglie di Francis Macomber.
«È un bel leone, no?» disse Macomber. Adesso sua moglie guardò lui. Guardava quegli uomini, entrambi, come se non li avesse mai visti.
Uno, Wilson, il cacciatore bianco, sapeva di non averlo mai visto per davvero. Era un uomo di statura media con i capelli biondicci, un paio di baffi corti e ispidi, una faccia molto rossa e due freddissimi occhi celesti con agli angoli delle sottili rughe bianche che quando sorrideva s’incidevano allegramente nella pelle del suo viso. Ora Wilson le sorrise e lei spostò lo sguardo dal viso di lui al modo in cui le sue spalle spiovevano sotto la giubba ampia che indossava, con le quattro grosse cartucce infilate negli occhielli dove avrebbe dovuto esserci il taschino sinistro, alle sue manacce brune, ai calzoni vecchi, agli stivali sporchissimi e di nuovo alla faccia rossa. Notò il punto in cui il rosso acceso del viso si fermava contro una riga bianca che segnava il cerchio lasciato dal suo Stetson, ora appeso a uno dei pioli del palo della tenda.
«Be’, al leone» disse Robert Wilson. Tornò a sorridere e, senza sorridere, lei guardò incuriosita suo marito.
Francis Macomber era un uomo molto alto, e anche molto ben fatto se ti piacevano quelle ossa troppo lunghe, era bruno, con i capelli corti come quelli di un canottiere e due labbra piuttosto sottili, ed era considerato un bell’uomo. Portava indumenti da safari dello stesso tipo di quelli indossati da Wilson, solo che i suoi erano nuovi, lui aveva trentacinque anni, si teneva in forma, era un buon giocatore di tennis, aveva vinto un mucchio di gare di pesca d’altura, e aveva appena dimostrato, davanti a tutti, di essere un codardo.
«Al leone» disse. «Non potrò mai ringraziarla per quello che ha fatto.»
Margaret, sua moglie, distolse lo sguardo dal marito per riportarlo su Wilson.
«Non parliamo del leone» disse.
Wilson la guardò senza sorridere, e allora a sorridergli fu lei.
«È stata una giornata molto strana» disse. «Non avrebbe dovuto mettersi il cappello anche sotto la tenda, a mezzogiorno? Me l’ha detto lei, sa.»
«Me lo potrei mettere» disse Wilson.
«Sa che è molto rosso in faccia, signor Wilson?» gli disse lei, e sorrise di nuovo.
«Il bere» disse Wilson.
«Non credo» disse lei. «Francis beve come una spugna, eppure non è mai rosso in faccia.»
«Oggi sì» tentò di scherzare Macomber.
«No» disse Margaret. «Oggi rossa in faccia sono io. Ma il signor Wilson è sempre rosso in faccia.»
«Sarà un fatto di costituzione» disse Wilson. «Senta, le dispiacerebbe lasciar perdere l’argomento della mia bellezza, eh?»
«Ho appena cominciato»
«Be’, finiamola» disse Wilson.
«Sarà difficile fare conversazione» disse Margaret.
«Non essere sciocca, Margot» disse suo marito.
«Perché difficile?» disse Wilson. «Abbiamo un bellissimo leone.»
Margot li guardò entrambi ed entrambi si accorsero che stava per piangere. Wilson se lo aspettava da un pezzo e lo temeva. Macomber non era più in grado di temerlo.
«Vorrei che non fosse accaduto. Oh, vorrei che non fosse accaduto» disse lei, e si avviò verso la sua tenda. Piangendo non faceva il minimo rumore, ma si vedevano le sue spalle sussultare sotto la stoffa della camicia che indossava, che era rosa e resistente ai raggi del sole.
«I crucci delle donne» disse Wilson all’uomo alto. «Non è niente. Tensione nervosa e una cosa e l’altra.»
«No» disse Macomber. «Credo che ormai porterò questo marchio per tutto il resto della mia vita.»
«Sciocchezze. Beviamo un goccio dell’ammazzagiganti» disse Wilson. «Dimentichi tutto. Non conta proprio nulla.»
«Potremmo provarci» disse Macomber. «Ma non dimenticherò quello che ha fatto per me.»
«Niente» disse Wilson. «Tutte sciocchezze.»
Così rimasero là seduti all’ombra dov’erano piantate le tende sotto le ampie chiome di un gruppo di acacie con un dirupo costellato di massi dietro di loro, e davanti uno spiazzo erboso che scendeva fino alla riva di un corso d’acqua pieno di massi con la foresta al di là, e bevvero i loro succhi di limetta, freschi al punto giusto, ed evitarono di guardarsi mentre i boys apparecchiavano la tavola per il pranzo. Wilson era sicuro che a quest’ora i boys sapevano tutto, e quando vide il boy personale di Macomber guardare incuriosito il suo padrone mentre metteva i piatti sulla tavola gli fece una sfuriata in swahili. Il boy voltò le spalle con una faccia priva di espressione.
«Cosa gli stava dicendo?» domandò Macomber.
«Niente. Gli ho detto di svegliarsi se non vuole che gliene faccia dare una quindicina di quelle sode.»
«Di cosa? Scudisciate?»
«È assolutamente illegale» disse Wilson. «Si dovrebbero multare.»
«Lei li fa ancora frustare?»
«Oh, sì. Potrebbero fare il diavolo a quattro se decidessero di reclamare. Ma non lo fanno. Preferiscono questo alle multe.»
«Che strano!» disse Macomber.
«Non è strano, veramente» disse Wilson. «Lei cosa preferirebbe fare? Cavarsela con una buona fustigazione o rimetterci la paga?»
Poi si sentì in imbarazzo per aver fatto quella domanda e prima che Macomber potesse rispondere soggiunse: «Pigliamo tutti la nostra batosta quotidiana, sa, in un modo o nell’altro».
Non che questo fosse meglio. “Buon Dio” pensò. “Sono un vero diplomatico, no?”
«Sì, pigliamo la nostra batosta quotidiana» disse Macomber, sempre senza guardarlo. «Non immagina quanto mi rincresce per la storia del leone. Ma la cosa finisce qui, no? Volevo dire, non lo saprà nessuno. Eh?»
«Vuol sapere se andrò a raccontarlo al Mathaiga Club?» Ora Wilson lo guardava freddamente. Questo non se lo aspettava. Allora è anche un uomo maledettamente stupido oltre che un maledettissimo vigliacco, pensò. E dire che fino a oggi mi era piuttosto simpatico. Ma con un americano come si fa a capire?
«No» disse Wilson. «Io sono un cacciatore di professione. Noi non parliamo mai dei nostri clienti. Su questo può stare tranquillo. Ma raccomandarci di non parlarne è considerato cattiva educazione.»
Aveva ormai deciso che rompere sarebbe stato assai più facile. Così avrebbe mangiato da solo e durante i pasti avrebbe potuto leggere un libro. Loro avrebbero mangiato per conto proprio. Li avrebbe aiutati nel safari mantenendo rapporti molto formali – come dicevano i francesi? con la più distinta considerazione – e sarebbe stato maledettamente più facile che doversi sorbire tutte queste insulsaggini emotive. Wilson avrebbe offeso Macomber e ci sarebbe stata una bella rottura, netta. Così avrebbe potuto leggere durante i pasti e avrebbe ancora bevuto il loro whisky. Era la frase che si diceva quando il safari prendeva una brutta piega. Incontravi un altro cacciatore bianco e gli chiedevi: «Come va la vita?» e lui rispondeva: «Oh, sto ancora bevendo il loro whisky», e sapevi che era andato tutto a rotoli.
«Mi spiace» disse Macomber, e lo guardò con la sua faccia americana che sarebbe rimasta quella di un adolescente finché lui non avesse raggiunto la mezza età, e Wilson notò i suoi capelli a spazzola, i suoi begli occhi solo un tantino sfuggenti, il naso diritto, le labbra sottili e la mascella ben disegnata. «Mi spiace, non me n’ero reso conto. Ci sono tante cose che non so.»
Che poteva fare, dunque?, pensò Wilson. Era prontissimo a rompere, alla svelta e nettamente, ed ecco che il disgraziato si scusava dopo essere stato appena insultato. Fece un altro tentativo. «Non dirò una parola, stia tranquillo» disse. «Devo guadagnarmi la vita. Saprà pure che in Africa non c’è donna che manchi il suo leone e non c’è bianco che tagli la corda.»
«Sono scappato come un coniglio» disse Macomber.
Ecco. Cosa diavolo potevi fare con un uomo che parlava così? si domandava Wilson.
Wilson guardò Macomber con i suoi occhi smorti e azzurri da mitragliere e l’altro reagì con un sorriso. Aveva un sorriso simpatico, se non badavi a quello che gli passava negli occhi quando era stato mortificato.
«Forse potrò rifarmi con i bufali» disse. «La prossima volta tocca a loro, no?»
«Domattina, se vuole» disse Wilson. Forse si era sbagliato. Ma certo, era così che bisognava prenderla. Valli a capire, questi americani. Così Wilson si schierava di nuovo a fianco di Macomber. Se potevi dimenticare la mattina. Ma ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione di Anna Luisa Zazo
  4. LE NEVI DEL KILIMANGIARO
  5. La breve vita felice di Francis Macomber
  6. Le nevi del Kilimangiaro
  7. Vecchio al ponte
  8. Copyright