Molte vite, molti maestri
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Molte vite, molti maestri

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Molte vite, molti maestri

Informazioni su questo libro

Quando si parla del 'senso della vita', ci si chiede innanzitutto cosa succeda dopo la morte. Secondo Weiss e le testimonianze dei suoi pazienti, lo spirito o l'anima o la coscienza continuerebbe a vivere, non morirebbe mai; fluttuerebbe sopra il corpo, ripercorrerebbe la vita appena vissuta, si ricaricherebbe di energia attraverso la luce, incontrerebbe la propria figura spirituale, i propri familiari e comincerebbe il suo percorso di apprendimento nell'Aldilà. Un altro modo, senza dubbio rasserenante, di vedere la nostra esistenza terrena." Molte vite, molti Maestr i è uno di quei libri che fanno epoca. Uscito oltre venti anni fa negli Stati Uniti, ha aperto nuovi scenari sulla nostra visione della vita dopo la morte. Nonostante gli scetticismi e le critiche, la storia di Catherine, paziente del dottor Weiss che durante una seduta di ipnosi rievoca ricordi di vite precedenti, ha imposto a tutti un dubbio difficile da liquidare, una speranza a cui si può credere. Questo enorme successo mondiale viene riproposto adesso in edizione speciale con una introduzione di Roberto Giacobbo, esperto di questioni ai confini della conoscenza e da anni amico e compagno di discussioni di Brian Weiss.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804618843
eBook ISBN
9788852021640

1

Catherine

La prima volta che vidi Catherine, indossava un vivace abito cremisi e stava sfogliando nervosamente una rivista nella mia sala d’aspetto. Era visibilmente ansiosa. Per i precedenti venti minuti aveva passeggiato su e giù per il corridoio degli uffici del Dipartimento di Psichiatria, cercando di convincersi di mantenere l’appuntamento preso con me e non fuggire.
Entrai nella stanza per salutarla e ci stringemmo la mano. Le erano occorsi due mesi per raccogliere il coraggio di fissare un appuntamento sebbene fosse stata caldamente consigliata di cercare il mio aiuto da due medici in cui aveva fiducia. Finalmente era lì.
Catherine è una donna straordinariamente attraente, con capelli biondi di media lunghezza e occhi color nocciola. In quel tempo lavorava come tecnico di laboratorio nell’ospedale in cui ero direttore di Psichiatria, e si procurava un guadagno extra come indossatrice di costumi da bagno e abiti da spiaggia.
La condussi nel mio ufficio, a una grande poltrona di cuoio. Ci sedemmo di fronte, separati dal mio tavolo semicircolare. Catherine si addossò alla poltrona in silenzio, non sapendo da dove cominciare. Io attesi, preferendo che scegliesse lei l’inizio ma, dopo qualche minuto, cominciai a farle domande sul suo passato. In quella prima visita chiarimmo chi era e perché era venuta da me.
Rispondendo alle mie domande, Catherine mi espose la storia della sua vita. Era la tipica americana media, allevata in una famiglia cattolica conservatrice in una cittadina del Massachusetts. Suo fratello, nato tre anni prima di lei, era molto atletico e godeva di una libertà che a lei non era mai stata concessa. La sorella, più giovane, era la favorita di entrambi i genitori.
Quando cominciammo a parlare dei suoi sintomi, divenne notevolmente più tesa e nervosa. Parlava rapidamente e si chinava in avanti appoggiando i gomiti al tavolo. La sua vita era sempre stata oppressa da paure. Temeva l’acqua, aveva paura di soffocare al punto di non potere inghiottire pillole, aveva paura degli aeroplani, aveva paura del buio ed era atterrita dall’idea della morte. Negli ultimi tempi le sue paure erano peggiorate. Per sentirsi sicura, spesso dormiva in uno stanzino senza porte, nel suo appartamento. Impiegava due o tre ore prima di potersi addormentare. Aveva il sonno leggero e irregolare, e si svegliava spesso. Erano tornati gli incubi e gli episodi di sonnambulismo che avevano turbato la sua fanciullezza. Via via che queste paure e questi sintomi si facevano più paralizzanti, lei diveniva sempre più depressa.
Mentre Catherine continuava a parlare, sentivo che soffriva profondamente. Per anni avevo aiutato pazienti come Catherine nelle loro angosce e nelle loro paure, ed ero certo di poter aiutare anche lei. Decisi che avremmo cominciato a scavare nella sua infanzia cercando l’origine dei problemi. Di solito questo tipo di ricerca serve ad alleviare l’ansietà. Se necessario, e se lei fosse riuscita a inghiottire delle pillole, le avrei dato qualche blando sedativo. Era questo il trattamento consueto per i sintomi di Catherine e io non avevo mai esitato a usare tranquillanti o anche farmaci antidepressivi per trattare paure e ansietà croniche e gravi. Adesso uso queste medicine molto più raramente e solo temporaneamente. Nessuna medicina può raggiungere le vere radici di questi sintomi. Le mie esperienze con Catherine e altri simili casi me lo hanno dimostrato. Adesso so che possono esservi cure e non solo soppressioni o dissimulazioni dei sintomi.
Durante la prima seduta cercai di sospingerla delicatamente verso la sua infanzia. Poiché Catherine ricordava stranamente pochi eventi dei suoi primi anni, mi proposi di ricorrere all’ipnoterapia come una possibile scorciatoia per superare queste dimenticanze. Lei non riusciva a ricordare ogni momento particolarmente traumatico della sua infanzia che potesse spiegare l’epidemia di paure nella sua vita.
Mentre si sforzava di ricordare, emergevano frammenti isolati di ricordi. Aveva circa cinque anni quando era rimasta terrorizzata per essere stata spinta giù da un trampolino in una piscina. Mi disse tuttavia che già da prima di questo incidente, non si era mai sentita a suo agio nell’acqua. Quando Catherine aveva undici anni, sua madre aveva avuto una grave depressione. Questo strano ritrarsi di sua madre dalla vita familiare rese necessario il ricorso a uno psichiatra e conseguenti trattamenti con elettroshock. Tali trattamenti avevano reso difficile a sua madre ricordare le cose. L’esperienza materna aveva atterrito Catherine, ma via via che sua madre migliorava e tornava se stessa, Catherine mi disse che le sue paure si dissipavano. Suo padre ebbe una lunga storia di alcolismo, e talora il fratello di Catherine aveva dovuto condurlo via dal suo bar abituale. Il crescente uso di alcool da parte del padre, lo aveva portato ad avere frequenti contrasti con sua madre, che allora diveniva di cattivo umore e chiusa in se stessa. Tuttavia Catherine considerava tutto questo come un’accettata consuetudine familiare.
Le cose andavano meglio fuori di casa. Lei frequentava le scuole superiori e comunicava facilmente con i suoi amici che, per la maggior parte, conosceva da anni. Tuttavia trovava difficile aver fiducia negli altri, specialmente in coloro che non facevano parte della ristretta cerchia degli intimi.
La sua religione era semplice e indiscutibile. Era stata educata a credere nell’ideologia e nelle pratiche tradizionali cattoliche e non aveva mai dubitato della verità e della validità della sua fede. Credeva che, se si è buoni cattolici e si vive osservando la fede e i suoi riti, si è compensati andando in cielo; altrimenti bisogna sperimentare il purgatorio o l’inferno. Un Dio patriarcale e suo Figlio prendono queste decisioni conclusive. In seguito seppi che Catherine non credeva nella reincarnazione; in realtà sapeva molto poco su questo concetto, sebbene avesse letto qualche cosa sull’induismo. La reincarnazione era un’idea contraria alla sua educazione. Non aveva mai avvicinato la letteratura metafisica o occulta non avendo interesse per essa. Si sentiva sicura nelle sue credenze.
Dopo le scuole superiori, aveva seguìto un corso professionale di due anni, divenendo tecnico di laboratorio. Munita di un diploma e incoraggiata dal trasferimento di suo fratello a Tampa, Catherine trovò un lavoro a Miami, presso un grande ospedale affiliato con l’Università della Miami School of Medicine. Si trasferì a Miami nella primavera del 1974 all’età di ventun anni.
La vita di Catherine in una piccola città era stata più facile di quella di Miami, tuttavia lei era contenta di essere sfuggita ai suoi problemi familiari.
Durante il suo primo anno a Miami, Catherine incontrò Stuart. Sposato, ebreo e con due figli, era del tutto diverso da ogni altro uomo che avesse avvicinato. Era un medico di successo, forte e aggressivo. Tra loro vi fu un’irresistibile attrazione, ma la loro relazione fu difficile e tempestosa. Qualche cosa in lui distrusse la sua passione e la svegliò come da un incanto. Quando Catherine cominciò la terapia, i suoi rapporti con Stuart duravano da sei anni ed erano ancora molto vivi ma non felici. Catherine non poteva resistere a Stuart sebbene lui la trattasse freddamente e lei fosse furiosa per le sue menzogne, per le sue promesse non mantenute, per i suoi raggiri.
Parecchi mesi prima del suo appuntamento con me, Catherine aveva dovuto subire un intervento chirurgico alle corde vocali per un nodulo benigno. Era stata ansiosa prima dell’intervento, ma rimase assolutamente atterrita al suo risveglio in corsia. Gli infermieri impiegarono ore per calmarla. Dopo il suo ricovero all’ospedale, si era rivolta al dottor Edward Poole. Ed era un affabile pediatra che Catherine aveva incontrato lavorando all’ospedale. Entrambi avevano simpatizzato ed erano divenuti amici. Catherine parlava liberamente a Ed e gli aveva detto delle sue paure, della sua relazione con Stuart e della sensazione di star perdendo il controllo sulla propria vita. Lui aveva insistito perché fissasse un appuntamento con me e solo con me, e non con qualche altro psichiatra del mio gruppo. Quando Ed mi telefonò per dirmelo, mi spiegò che, per varie ragioni, pensava che solo io potevo realmente capire Catherine, anche se gli altri psichiatri avevano eccellenti credenziali ed erano abili terapeuti. Catherine, comunque, non mi telefonò.
Passarono otto settimane. Preso dal mio lavoro come responsabile del dipartimento di psichiatria, io avevo dimenticato la telefonata di Ed. Le paure e le fobie di Catherine peggiorarono. Il dottor Frank Acker, direttore di chirurgia, aveva conosciuto casualmente Catherine da anni, e spesso scherzavano bonariamente fra loro quando lui visitava il laboratorio in cui lei lavorava. Frank si era accorto del suo malessere e sentiva la sua tensione. Più volte era stato sul punto di dirle qualche cosa, ma aveva esitato. Un pomeriggio, mentre si recava in macchina a un piccolo ospedale fuori mano per tenervi una lezione, vide Catherine che tornava a casa e istintivamente la salutò sul ciglio della strada. «Voglio che vada dal dottor Weiss, subito», le gridò attraverso il finestrino. «Senza indugi.» Sebbene i chirurghi spesso agiscano impulsivamente, lo stesso Frank fu sorpreso del suo impeto.
Gli attacchi di panico e di ansietà di Catherine erano divenuti sempre più numerosi e duraturi. Aveva cominciato ad avere incubi ricorrenti. In uno di essi un ponte franava mentre lei lo attraversava in macchina. L’automobile cadeva nell’acqua e lei vi restava chiusa dentro e annegava. In un secondo sogno si trovava chiusa in una stanza buia senza poter trovare una via di uscita. Finalmente venne da me.
Al tempo della mia prima seduta con Catherine, non avevo idea che la mia vita stesse per trasformarsi, che l’atterrita e confusa donna dall’altra parte del mio tavolo sarebbe stata un catalizzatore e che io non sarei più stato lo stesso.

2

La prima seduta

Trascorsero diciotto mesi di intensa psicoterapia: Catherine veniva a trovarmi una o due volte la settimana. Era una buona paziente, loquace, intuitiva e con un gran desiderio di guarire.
Durante quel tempo esaminammo i suoi sentimenti, i suoi pensieri e i suoi sogni. Il riconoscimento dei suoi ricorrenti modi di comportamento le permise di intuire e di capire. Ricordava sempre più significativi particolari del suo passato come le assenze di suo padre sempre in viaggio per mare e, ogni tanto, le sue violente esplosioni per avere bevuto troppo. Capì molto di più sulla sua turbolenta relazione con Stuart, ed espresse in modo più appropriato la sua rabbia. Ero sicuro che avrebbe dovuto essere molto migliorata. I pazienti quasi sempre migliorano quando ricordano le influenze sgradevoli del loro passato, quando imparano a riconoscere e a correggere i modelli di comportamento inadatti e quando sviluppano vedute interiori considerando i loro problemi da una prospettiva più vasta e distaccata. Ma Catherine non era migliorata.
Attacchi di ansietà e di panico la torturavano incessantemente. Gli incubi vivaci e ricorrenti continuavano, e lei era ancora atterrita dal buio, dall’acqua e dalla claustrofobia. Il suo sonno era ancora frammentario per cui non riposava. Aveva palpitazioni cardiache. Continuava a rifiutare ogni farmaco per la paura di inghiottire pillole. Avevo l’impressione di trovarmi davanti a un muro e che, qualunque cosa facessi, quel muro sarebbe rimasto così alto che nessuno di noi avrebbe potuto superarlo. Ma al mio senso di frustrazione si aggiunse un nuovo senso di decisione. In qualche modo dovevo aiutare Catherine.
E allora avvenne una strana cosa. Sebbene avesse una gran paura di volare, e dovesse rassicurarsi con numerose bevute quando era in aeroplano, Catherine accompagnò Stuart a una conferenza medica a Chicago nella primavera del 1982. Là lo spinse a visitare la mostra egiziana al museo d’arte, dove si unirono a un gruppo guidato.
Catherine si era sempre interessata all’arte dell’antico Egitto e alle immagini di opere di quel periodo. Non era una studiosa e non aveva mai studiato la storia egiziana, ma, in qualche modo, tutto ciò le appariva familiare.
Quando la guida cominciò a descrivere alcuni dei manufatti che erano in mostra, lei si trovò a correggerla... e aveva ragione. La guida era meravigliata; Catherine sbigottita. Come sapeva queste cose? Perché si sentiva così sicura di avere ragione da correggere la guida in pubblico? Forse erano ricordi dimenticati della sua infanzia.
Al successivo appuntamento mi raccontò quello che era accaduto. Alcuni mesi prima le avevo suggerito l’ipnosi, ma lei aveva paura e non aveva accettato. Dopo la sua esperienza alla mostra egiziana, pur con riluttanza accettò.
L’ipnosi è un eccellente strumento per aiutare un paziente a ricordare incidenti dimenticati da lungo tempo. In questo non vi è nulla di misterioso: è uno stato di concentrazione messa a fuoco. Dietro le istruzioni di un ipnotizzatore esperto, il corpo del paziente si rilassa provocando un acuirsi della memoria. Io ho ipnotizzato centinaia di pazienti e l’ho trovato utile per ridurre l’ansietà, eliminare le fobie, cambiare le cattive abitudini e facilitare la rievocazione di episodi repressi. Una volta ero riuscito a far regredire pazienti alla loro prima infanzia, fino a quando avevano due o tre anni, risvegliando così ricordi di traumi dimenticati che avevano sconvolto le loro vite. Ero sicuro che l’ipnosi avrebbe aiutato Catherine.
Dissi a Catherine di sdraiarsi sul lettino con gli occhi leggermente chiusi e la testa appoggiata a un piccolo cuscino. Dapprima ci concentrammo sul suo respiro. A ogni esalazione lei rilassava tensioni e ansietà accumulate; a ogni inalazione si rilassava ancor più. Dopo alcuni minuti di questo esercizio le dissi di visualizzare i suoi muscoli che si rilassavano progressivamente, a cominciare dai muscoli del volto e delle mascelle, poi quelli del collo, delle spalle, delle braccia, fino ai muscoli dello stomaco e delle gambe. Lei sentì tutto il suo corpo affondare sempre più nel lettino.
Poi le dissi di visualizzare una brillante luce bianca al sommo della sua testa, nel suo corpo. Infine, dopo avere diffuso lentamente la luce per tutto il suo corpo, rilassai completamente ogni muscolo, ogni nervo, ogni organo, tutto il suo organismo, portandola in uno stato di distensione e di pace sempre più profondo. Lei si sentì sempre più assonnata, sempre più calma e serena. Da ultimo, dietro mia indicazione, la luce riempì il suo corpo e, insieme, la circondò.
Contai piano alla rovescia da dieci a uno. A ogni numero entrava in un più profondo livello di rilassamento. Il suo stato di trance divenne più intenso. Lei poté concentrarsi sulla mia voce ed escludere tutti i rumori di fondo. Giunti a uno, lei era già in uno stato di ipnosi relativamente profonda. Tutto il processo aveva richiesto circa venti minuti.
Dopo un poco cominciai a farla regredire chiedendole di rievocare ricordi di età sempre più infantili. Lei riuscì a parlare e a rispondere alle mie domande pur rimanendo in un livello di ipnosi profonda. Ricordò un’esperienza traumatica dal dentista, avvenuta quando aveva sei anni. Ricordò vivamente la paurosa esperienza avuta a cinque anni quando era stata spinta giù dal trampolino in una piscina. Lei si era sentita soffocare e aveva inghiottito dell’acqua, e, parlandone, cominciò a mostrare sintomi di soffocamento nel mio studio. Le suggerii che l’esperienza era finita e che lei era fuori dell’acqua. Il senso di soffocamento cessò e lei riprese a respirare normalmente. Era sempre in trance profonda.
All’età di tre anni era avvenuto l’episodio peggiore. Ricordò di essersi svegliata nella sua buia stanza da letto e di accorgersi che suo padre era entrato. Sapeva di alcool, e anche adesso lei ne sentiva l’odore. Lui la toccò e l’accarezzò, anche «lì giù». Atterrita si mise a gridare, così che lui le coprì la bocca con la sua rozza mano. Lei non poteva respirare. Nel mio studio, sul mio lettino, venticinque anni dopo, Catherine cominciò a singhiozzare. Ebbi la certezza che adesso avevamo l’informazione, la chiave del mistero. E non ebbi dubbi che i suoi sintomi sarebbero migliorati rapidamente e drammaticamente. Le suggerii piano che l’esperienza era finita, e che lei non era più nella sua stanza da letto, ma stava riposando tranquilla, sempre in trance. I singhiozzi finirono. La riportai al presente. La svegliai dopo averle dato l’ordine, per suggestione post-ipnotica, di ricordare tutto quello che mi aveva detto. Dedicammo il resto della seduta a discutere il suo ricordo improvvisamente vivo del trauma col padre. Cercai di aiutarla ad accettare e integrare la sua «nuova» conoscenza. Adesso capì le sue relazioni col padre, le reazioni di lui, il suo distacco da lei, e la paura che le faceva. Tremava ancora quando lasciò lo studio, ma io sapevo che la conoscenza così ottenuta meritava questa momentanea afflizione.
Nel dramma di scoprire i suoi ricordi penosi e profondamente repressi, avevo del tutto dimenticato di cercare possibili collegamenti infantili con la sua competenza circa i manufatti egiziani. Ma, perlomeno, sapeva molto di più sul suo passato. Aveva ricordato molti eventi paurosi, e io mi aspettavo un significativo miglioramento dei suoi sintomi.
Nonostante queste nuove conoscenze, la settimana successiva mi riferì che i suoi sintomi erano rimasti intatti, gravi come sempre. Io rimasi meravigliato. Non riuscivo a capire che cosa c’era che non andava. Era forse successo qualche cosa prima dei tre anni? Avevamo scoperto ragioni più che sufficienti per la sua paura di soffocare, dell’acqua, del buio, di sentirsi chiusa, e tuttavia le traumatizzanti paure e i sintomi, le ansietà incontrollate turbavano ancora i suoi momenti di veglia. I suoi incubi erano paurosi come prima. Decisi di farla regredire ulteriormente.
Ipnotizzata, Catherine parlava in un lento e deliberato sussurro. Per questo potevo trascrivere con precisione le sue parole e ho potuto citarla letteralmente. (I puntini rappresentano pause nella sua parlata, non parole omesse perché non ho potuto trascriverle. Tuttavia alcune espressioni ripetute non sono state incluse qui.)
Pian piano la riportai all’età di due anni, ma non rievocò ricordi significativi. Le diedi istruzioni chiare e precise: «Regredisca fino all’età da cui derivano i suoi sintomi». Ero del tutto impreparato per quello che avvenne allora.
«Vedo dei gradini bianchi che portano a un edificio, un grande edificio bianco con colonne, aperto sul davanti. Non vi sono portali. Indosso un abito lungo... un sacco di stoffa grezza... I capelli sono intrecciati, biondi e lunghi.»
Ero confuso. Non mi sentivo sicuro di ciò che succedeva. Le chiesi quanti anni avesse e come si chiamasse. «Aronda... Ho diciotto anni. Vedo un mercato davanti all’ed...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. copyright
  4. Introduzione di Roberto Giacobbo
  5. Molte vite, molti Maestri
  6. Premessa
  7. 1. Catherine
  8. 2. La prima seduta
  9. 3. Credere o non credere?
  10. 4. «La mia vita non sarebbe più stata la stessa»
  11. 5. Raggiungere i Maestri
  12. 6. Si svelano profonde verità
  13. 7. Ricordi di vite passate
  14. 8. La vita dopo la morte
  15. 9. Il diamante interiore
  16. 10. Conoscere il futuro
  17. 11. Noi siamo immortali
  18. 12. La guarigione di Catherine
  19. 13. I Maestri insegnano
  20. 14. Messaggi dall’aldilà
  21. 15. Conferme paranormali
  22. 16. A cavallo dei due mondi
  23. Epilogo