L’uomo in nero avanzò lentamente. Si muoveva sicuro tra i vicoli deserti della città, il cappuccio a coprirgli il volto, il mantello ad accarezzargli gli stivali. Ombra tra le ombre, imboccò deciso la via che sapeva. Aveva fatto un sopralluogo, qualche giorno prima.
L’ingresso era anonimo: una porta di legno, un architrave in pietra. Non ebbe bisogno di vedere il simbolo inciso sulla chiave di volta per sapere di essere arrivato.
Si fermò un istante, conscio che non era quello il suo obiettivo primario, che un’altra era la sua missione.
«Trovarlo è di vitale importanza, capisci?» aveva detto Kryss, l’ultima volta che lo aveva visto.
«Lo so» si era limitato a rispondere lui, chinando il capo.
«E allora non ti fermerai finché non lo avrai trovato, e non permetterai a niente e a nessuno di mettersi fra te e il tuo obiettivo.»
Kryss lo aveva guardato senza aggiungere altro, perché l’uomo in nero fosse libero di soppesare quel silenzio e riempirlo di significati. Ma lui non era tipo da farsi spaventare da così poco.
Trucchetti buoni per chi ti adora come un dio, non per me.
Si era inchinato in segno di rispetto e si era avviato alla porta.
«Ricorda il nostro patto» gli aveva detto Kryss prima che varcasse la soglia.
L’uomo in nero si era fermato un istante. Non potrei mai dimenticarlo, aveva pensato.
E adesso era davanti a quella porta. Avrebbe ancora potuto fermarsi e andarsene. Riprendere la strada e tornare alla sua missione.
Sei pronto anche a questo, per il tuo obiettivo? si domandò, mentre gli occhi indugiavano sulle venature della porta. Non ebbe neppure bisogno di cercare la risposta.
Prese un grosso respiro e con lentezza sguainò la spada. Poi diede un calcio al legno, e fu dentro.
Una sala di semplici mattoni, dal soffitto assurdamente basso. Il Veggente lo diceva sempre: «È una sistemazione provvisoria, abbiate pazienza. Ma almeno ci garantisce quella segretezza di cui abbiamo disperato bisogno. Penseremo poi, quando saremo a buon punto con il piano, a cercare una sala più dignitosa.»
Lo spazio asfittico di quel sotterraneo era rischiarato da una serie di torce infisse nel muro. L’odore di muffa si confondeva con quello acre del fumo. Uomini vestiti di bianco vagavano da una stanza all’altra. Sul volto, cupe maschere di bronzo, lisce, con due semplici fori per gli occhi. Porte chiuse, dalle quali provenivano mugolii, e un salmodiare lento, ipnotico. Odore di sangue e magia, sentore di morte. In quel silenzio gravido, lo schianto della porta abbattuta risuonò con la violenza di un’esplosione. I primi Veglianti, quelli più vicini all’ingresso, non ebbero neppure modo di rendersi conto di quanto stava accadendo. L’uomo in nero li falcidiò con un unico, fluido movimento della spada. I manti bianchi si tinsero di rosso, le maschere di bronzo caddero a terra tintinnando. Sotto, i volti contorti dal dolore di un paio di sottotenenti dell’accademia e di un ministro.
Gli altri ebbero il tempo di prepararsi. Chi era armato tirò fuori le spade e combatté, molti corsero a nascondersi, a salvare il salvabile.
L’uomo in nero sembrava inarrestabile. Del resto, non erano nemici alla sua altezza. Nei lunghi anni di vagabondaggio aveva avuto modo di scontrarsi con ben altri avversari, e le cicatrici sul suo corpo testimoniavano ciascuna di quelle battaglie.
Ecco la mollezza di un mondo da troppo tempo in pace, pensò con disprezzo.
Un fruscio alle sue spalle. Non dovette neppure voltarsi. Pronunciò le parole a mezza voce, e una sfera argentata lo avvolse. I pugnali tesi contro di lui rimbalzarono sulla superficie elastica della barriera.
«Un mago…» mormorò qualcuno con orrore.
L’uomo in nero sorrise con ferocia.
Adrass chiuse la porta col chiavistello. Il suo respiro sembrava non trovare la strada che dai polmoni conduceva all’esterno.
Premette il corpo contro il legno, appoggiandovi l’orecchio. Stridio di lame che si incrociavano, urli, tonfi di corpi che cadevano a terra.
Che stava succedendo? Li avevano forse scoperti?
Cominciò a battere i denti. Lottò contro il terrore. No. No. Non era quello che gli avevano insegnato. Era stata la prima lezione, quando aveva messo piede là dentro.
“Se mai ci scoprissero, cercate di salvare il nostro lavoro. È l’unica cosa che conta, qui. Noi lavoriamo per un progetto più grande, per un fine superiore, non dimenticatelo.”
Parole del Veggente. Adrass deglutì. Salvare il nostro lavoro.
Si staccò dalla porta con decisione e corse verso gli scaffali addossati a una delle piccole pareti del cubicolo in cui si trovava. Frugò tra le vecchie pergamene, tra gli appunti fitti, stilati nella sua calligrafia minuta ed elegante. Ne mise alcune in una borsa di cuoio, altre le stracciò. Rovistò tra i barattoli e i filtri, tra le ampolle e le erbe. Anni di lavoro. Come si faceva a scegliere cosa salvare della fatica di una vita in pochi attimi convulsi?
Un mugolio attrasse la sua attenzione verso il tavolo al centro della stanza.
Adrass tornò in sé. Ecco cosa doveva salvare: la creatura. Era l’unica cosa che valesse la pena portare fuori di lì. Lei contava più delle loro misere vite, più dei loro stupidi studi. Lei era tutto.
Grida di ragazze oltre la porta.
No! Stanno uccidendo anche loro!
Si avvicinò al tavolo, sciolse le cinghie di cuoio che trattenevano la creatura, la liberò. La prese rudemente per le spalle, costringendola a tirarsi su.
«Svegliati, forza, svegliati!» le disse, schiaffeggiandole le guance. Ma lei rimaneva inerte fra le sue braccia, gli occhi mezzo chiusi.
Dietro la porta, rumori più violenti. I nemici si stavano avvicinando.
Il cuore di Adrass fece una capriola.
«Io morirò, ma il nostro lavoro non andrà perduto. Io morirò, ma il nostro lavoro non andrà perduto…» Ripeteva come un mantra la cantilena che gli avevano insegnato quando era diventato Vegliante.
Se solo collaborasse! si sorprese a pensare con stizza. Perché la creatura non si svegliava?
La tirò via dal tavolo a forza, e lei si accasciò al suolo, inerte. Muoveva appena le labbra.
Adrass prese un’ampolla con dell’acqua e gliela versò addosso. Lei trasalì.
«Perfetto, brava, brava… ascoltami.»
La sollevò per le spalle, la fissò negli occhi, occhi spenti. Forse era troppo presto… Scacciò quel pensiero.
«Adesso ti porto in un posto, d’accordo? Ascoltami!»
Un barlume di vaga comprensione accese lo sguardo della creatura.
«Brava, così.»
Uno schianto appena fuori dalla porta. Adrass trasalì. L’afferrò da dietro, prendendola per le ascelle, e la trascinò via.
Riuscì a raggiungere il pulsante sul muro. Una piccola sezione della parete scattò, rivelando un cunicolo angusto.
«Cerca di star su, ti scongiuro…» gemette.
Si chinò per entrare nel passaggio. La creatura si lamentava, ma finalmente iniziava a muoversi.
«Bravissima, avanti…»
Si trovò a strisciare tra le pareti umide di muschio. Dietro di lui, la creatura avanzava a stento. I rumori della lotta si affievolirono, e il cuore di Adrass rallentò per un attimo la corsa.
Ce la posso fare, ce la posso fare…
«Di qua!» urlò, girandosi alla prima biforcazione, poi avanzò ancora un poco, finché non si imbatté in un muro.
«Eccoci, eccoci» disse più a se stesso che alla creatura. Spinse un mattone con mani tremanti e davanti a lui si aprì una stanzetta minuscola. Afferrò la creatura per un braccio e la spinse dentro. Lei provò a lamentarsi. Quando le sfiorò la guancia, si accorse che era bagnata. Stava piangendo. Il cuore gli si strinse un istante appena. ...