Scripps O’Neil cercava lavoro. Gli sarebbe piaciuto fare un lavoro manuale. Camminando si allontanò dalla fagioleria e passò davanti al negozio del barbiere McCarthy. Non entrò. Il salone era invitante come al solito, ma quello che Scripps voleva era un lavoro. Svoltò deciso all’angolo e imboccò la Main Street di Petoskey. Era una bella strada ampia, fiancheggiata da edifici di mattoni o di pietra. Scripps la percorse diretto verso la zona dove c’era la fabbrica di pompe. Quando fu davanti alla fabbrica fu preso dall’imbarazzo. Possibile che quella fosse proprio la fabbrica di pompe? D’accordo, le pompe venivano portate fuori una dopo l’altra e sistemate nella neve, e gli operai ci buttavano sopra secchiate d’acqua per incassarle in un rivestimento di ghiaccio che le avrebbe protette dai venti invernali come una vernice. Ma erano veramente pompe? Poteva essere tutto un trucco. Gli esperti in pompe erano furbi come linci.
«Ehi!» Scripps fece cenno a un operaio che rovesciava acqua su una pompa nuova ma non rifinita che era appena stata portata fuori e se ne stava nella neve con aria imbronciata. «Sono pompe quelle?»
«A tempo debito lo saranno» disse l’operaio.
Scripps capì che era la fabbrica giusta. Non gliel’avrebbero data a bere. Si avvicinò alla porta. Sopra c’era un cartello:
STA’ ALLA LARGA
DICO A TE!
Che dica proprio a me? si chiese Scripps. Bussò alla porta ed entrò.
«Vorrei parlare con il direttore» disse, restando fermo nella penombra.
Gli operai lo superavano portando sulle spalle le pompe non rifinite. Mentre passavano, canticchiavano brani di canzoni. Le maniglie delle pompe ricadevano rigidamente, in una muta protesta. Alcune non avevano maniglie. Dopotutto, sono le più fortunate, pensò Scripps. Gli si avvicinò un ometto ben piantato, con le spalle larghe e la faccia arcigna.
«Hai chiesto del direttore?»
«Sì, signore.»
«Io sono il caporeparto. Qui vale quello che dico io.»
«Può assumere e licenziare?» chiese Scripps.
«Posso fare l’uno e l’altro come mi pare.»
«Voglio un lavoro.»
«Hai esperienza?»
«Non con le pompe.»
«E va bene» disse il caporeparto. «Ti prendiamo a cottimo. Ehi, Yogi» gridò a uno degli uomini, che se ne stava a guardare fuori dalla finestra della fabbrica. «Fa’ vedere al nuovo tizio, qui, dove deve mettere i suoi stracci e come deve fare a orientarsi in questa tana.» Il caporeparto squadrò Scripps dalla testa ai piedi. «Sono australiano» gli disse. «Spero che ti troverai bene.» Se ne andò.
L’uomo chiamato Yogi Johnson si allontanò dalla finestra. «Lieto di conoscerti» disse. Era un tipo tozzo e robusto. Uno come tanti che si vedono in giro. Aveva l’aria di averne passate parecchie.
«Il vostro capo è il primo australiano che conosco» disse Scripps.
«Oh, non è australiano» disse Yogi. «È che durante la guerra una volta è stato con gli australiani, e la cosa gli è rimasta impressa.»
«E tu l’hai fatta, la guerra?» chiese Scripps.
«Sì» disse Yogi Johnson. «Sono stato il primo a partire, a Cadillac.»
«Dev’essere stata una grande esperienza.»
«Per me ha significato molto» rispose Yogi. «Vieni, ti faccio vedere il posto.»
Scripps seguì l’uomo, che gli mostrò la fabbrica di pompe. Dentro la fabbrica era buio, ma faceva caldo. Uomini a torso nudo afferravano le pompe con enormi tenaglie: mentre le pompe arrivavano sobbalzando su un nastro continuo, separavano quelle difettose e disponevano quelle perfette su un altro nastro continuo che le trasportava su nel locale di raffreddamento. Altri uomini, per lo più indiani, con addosso solo brache di tela, spaccavano le pompe difettose usando martelli e accette, e le trasformavano rapidamente in teste d’ascia, molle per carri, pistoni da trombone, stampi per proiettili, tutti sottoprodotti di una grande fabbrica di pompe. Niente andava sprecato, sottolineò Yogi. Alcuni ragazzi indiani canticchiavano una vecchia nenia tribale, accoccolati in un angolo del vasto reparto forge, e trasformavano in lamette da barba i frammenti che venivano scalpellati via dalle pompe in fusione.
«Lavorano nudi» disse Yogi. «E quando escono vengono perquisiti. A volte tentano di nascondere le lamette per rivenderle.»
«Devono provocare perdite molto alte» disse Scripps.
«Oh, no» rispose Yogi. «Gli ispettori li scoprono quasi sempre.»
Di sopra, isolati in un locale separato, lavoravano due vecchi. Yogi aprì la porta. Uno dei vecchi guardò da sopra gli occhiali con la montatura di metallo e si accigliò.
«C’è corrente» disse.
«Chiudi quella porta» disse l’altro, con l’esile voce lamentosa dei vecchi decrepiti.
«Questi sono i nostri due artigiani» disse Yogi. «Sono loro a costruire tutte le pompe che la fabbrica manda alle grandi fiere internazionali. Ricordi la nostra Peerless Pounder, che vinse la gara delle pompe in Italia, quando rimase ucciso Franky Dawson?»
«L’ho letto sui giornali» rispose Scripps.
«Fu il signor Borrow, quello laggiù nell’angolo, a costruire da solo e a mano la Peerless Pounder.»
«La tagliai direttamente dall’acciaio con questo coltello.» Il signor Borrow alzò un coltello dalla lama corta che sembrava un rasoio. «Ci misi diciotto mesi.»
«La Peerless Pounder era una gran pompa, certo» disse il vecchio dalla vocetta querula. «Ma adesso stiamo lavorando a una che darà dei punti a tutte le pompe straniere. Vero, Henry?»
«Quello è il signor Shaw» bisbigliò Yogi. «Probabilmente è il più grande costruttore di pompe che esista.»
«Voi ragazzi alzate i tacchi e lasciateci in pace» disse il signor Borrow. Lavorava con movimenti regolari, e le vecchie mani tremavano un po’ tra un colpo e l’altro.
«Lasciali pure guardare, questi ragazzi» disse il signor Shaw. «Di dove sei, giovanotto?»
«Sono appena arrivato da Mancelona» rispose Scripps. «Mia moglie mi ha lasciato.»
«Be’, non ti sarà difficile trovarne un’altra» disse il signor Shaw. «Sei un gran bel giovanotto. Ma dammi retta, non avere fretta. Meglio nessuna moglie che una cattiva moglie.»
«Non direi proprio, Henry» commentò il signor Borrow con la sua voce acuta. «Per come vanno le cose oggi, qualunque moglie va bene.»
«Dai retta a me, giovanotto, non avere fretta. Questa volta cercatene una come si deve.»
«Henry se ne intende» disse il signor Borrow. «Sa di cosa parla.» Fece una risata acuta, spezzata. Il signor Shaw, il vecchio costruttore di pompe, arrossì.
«Voi ragazzi filate via e lasciateci costruire le nostre pompe» disse. «Io e Henry, qui, abbiamo una montagna di lavoro.»
«Molto lieto di avervi conosciuti» disse Scripps.
«Andiamo» disse Yogi. «Sarà meglio che ti faccia cominciare, se non voglio che il capo me ne dica quattro.»
Mise Scripps a infilare fascette sui pistoni nel reparto pistoni. Scripps ci restò per quasi un anno. Per certi aspetti fu l’anno più felice della sua vita. Per altri aspetti fu un incubo. Un orribile incubo. Alla fine imparò a farselo piacere, pur odiandolo. Senza che se ne accorgesse, era passato un anno. E lui stava ancora lì a mettere fascette ai pistoni. Ma che strane cose erano successe, in quell’anno. Ci pensava spesso. E mentre ci pensava, mettendo le fascette ai pistoni quasi automaticamente, ascoltava le risate che arrivavano dal basso, dove i ragazzetti indiani foggiavano quelle che sarebbero diventate lamette. E mentre ascoltava, qualcosa gli saliva in gola e quasi lo soffocava.
Quella sera, dopo il suo primo giorno in fabbrica, il giorno di quella che era o sarebbe diventata un’interminabile successione di giorni di monotono lavoro con i pistoni, Scripps tornò a mangiare alla fagioleria. Aveva tenuto nascosto l’uccello per tutta la giornata. Qualcosa gli diceva che la fabbrica di pompe non era un posto adatto per un uccello. Durante la giornata l’uccello gli aveva creato qualche problema, ma lui aveva sistemato i suoi indumenti praticando addirittura un piccolo taglio in modo che l’uccello potesse cacciare fuori la testa per respirare. Ora la giornata di lavoro era terminata. Finita. Scripps diretto alla fagioleria, Scripps felice di avere un lavoro manuale, Scripps che pensava ai vecchi costruttori di pompe. Scripps che andava all’incontro con la cameriera gentile. Ma chi era quella cameriera? Che cosa le era veramente successo a Parigi? Doveva scoprire qualcosa di più su Parigi. Yogi Johnson c’era stato. Avrebbe interrogato Yogi. L’avrebbe fatto parlare. L’avrebbe spremuto. Gli avrebbe fatto dire quello che sapeva. Conosceva un paio di trucchetti per riuscirci.
Guardando il tramonto sul porto di Petoskey, con il lago gelato e i grossi blocchi di ghiaccio che spuntavano oltre il molo, Scripps camminava di buon passo per le strade di Petoskey, diretto alla fagioleria. Gli sarebbe piaciuto chiedere a Yogi Johnson di mangiare con lui, ma non aveva osato. Non ancora. L’avrebbe fatto in seguito. Ogni cosa a suo tempo. Inutile affrettare le cose, con uno come Yogi. Ma chi era Yogi, in fin dei conti? Aveva veramente fatto la guerra? E la guerra, che cosa aveva significato per lui? Era stato veramente il primo ad arruolarsi, a Cadillac? E dov’era, poi, Cadillac? Prima o poi l’avrebbe scoperto.
Scripps O’Neil aprì la porta ed entrò nella fagioleria. L’anziana cameriera si alzò dalla sedia dove stava leggendo l’edizione d’oltremare del «Manchester Guardian» e mise sulla cassa il giornale e gli occhiali con la montatura di metallo.
«Buonasera» disse lei semplicemente. «È bello rivederti.»
Qualcosa si agitò dentro Scripps O’Neil, una sensazione che non seppe definire.
«Ho lavorato tutto il giorno» guardò l’anziana cameriera «per te» aggiunse.
«Che bello!» disse lei. E poi sorrise timidamente. «E io ho lavorato tutto il giorno… per te.»
A Scripps vennero le lacrime agli occhi. E di nuovo quella sensazione. Tese la mano per prendere quella dell’anziana cameriera, e lei abbandonò la mano nella sua, con tranquilla dignità. «Sei la mia donna» disse lui. Anche gli occhi di lei si riempirono di lacrime.
«Sei il mio uomo» disse.
«Lo ripeto: sei la mia donna.» Scripps pronunciò le parole con solennità. Qualcosa si era spezzato di nuovo dentro di lui. Sentiva di non poter fare a meno di piangere.
«Che questa sia la nostra cerimonia nuziale» disse l’anziana cameriera. Scripps strinse la sua mano. «Sei la mia donna» disse semplicemente.
«Tu sei il mio uomo e più che il mio uomo.» Lo guardò negli occhi. «Per me sei tutta l’America.»
«Andiamo» disse Scripps.
«Hai portato l’uccello?» chiese la cameriera, togliendosi il grembiule e piegando la copia del «Manchester Guardian Weekly». «Prendo il “Guardian”, se non ti dispiace» disse, avvolgendo il giornale nel grembiule. «È l’ultimo numero e non l’ho ancora letto.»
«Il “Guardian” mi piace molto» disse Scripps. «La mia famiglia l’ha sempre comprato, a quanto ricordo. Mio padre era un grande ammiratore di Gladstone.»
«Mio padre ha frequentato Eton con Gladstone» disse l’anziana cameriera. «Ecco, sono pronta.»
Si era infilata il cappotto e se ne stava in piedi ad aspettare, con il suo grembiule, gli occhiali con la montatura di metallo nella consunta custodia di pelle nera, la copia del «Manchester Guardian» in mano.
«Non hai il cappello?» chiese Scripps.
«No.»
«Allora te ne comprerò uno» disse Scripps con tenerezza.
«Sarà il tuo regalo di nozze» disse l’anziana cameriera. Aveva di nuovo gli occhi lucidi.
«E adesso andiamo» disse Scripps.
L’anziana cameriera venne fuori da dietro il banco, e insieme, mano nella mano, uscirono nella notte.
Nella fagioleria il cuoco nero aprì lo sportello del passavivande e sbirciò fuori dalla cucina. «Sono andati» ridacchiò. «Andati nella notte...