Non vidi più Brett finché non tornò da San Sebastián. Da lì mi era arrivata una sua cartolina. Conteneva una veduta della Concha e diceva: «Tesoro. Qui è molto sano e tranquillo. Abbraccia tutti gli amici. BRETT».
Non vidi più neanche Robert Cohn. Seppi che Frances era partita per l’Inghilterra e ricevetti un biglietto in cui Cohn diceva che sarebbe andato per un paio di settimane in campagna, non sapeva bene dove, ma che voleva impegnarmi per la partita di pesca di cui avevamo parlato durante l’inverno. Potevo sempre mettermi in contatto con lui, scriveva, tramite la sua banca.
Brett era via, non dovevo sorbirmi i guai di Cohn, ero contento di non essere obbligato a giocare a tennis, avevo molto lavoro, andavo spesso alle corse, cenavo con gli amici e stavo un po’ più del solito in ufficio per preparare materiale in anticipo, in modo da affidare tutto al mio segretario quando Bill Gorton e io, alla fine di giugno, saremmo partiti per la Spagna. Bill Gorton arrivò, alloggiò un paio di giorni nel mio appartamento e se ne andò a Vienna. Era molto allegro e disse che gli Stati Uniti erano meravigliosi. New York era meravigliosa. C’era stata una grande stagione teatrale, e tutta una fioritura di giovani e grandi mediomassimi. Ciascuno di loro prometteva di crescere, di aumentare di peso e di battere Dempsey. Bill era molto contento. Aveva guadagnato un mucchio di soldi col suo ultimo libro e ne avrebbe guadagnati ancora di più. Ci divertimmo finché rimase a Parigi, ma poi partì per Vienna. Sarebbe tornato tre settimane dopo e saremmo andati in Spagna a fare un po’ di pesca e a partecipare alla fiesta di Pamplona. Scrisse che Vienna era meravigliosa. Poi una cartolina da Budapest: «Jake, Budapest è meravigliosa». Poi un telegramma: «Torno lunedì».
Arrivò all’appartamento il lunedì sera. Udii il suo taxi che si fermava e andai alla finestra a chiamarlo; lui mi fece un cenno di saluto e cominciò a salire con le valigie. Gli andai incontro sulle scale e ne presi una.
«Be’» dissi, «ho saputo che hai fatto un viaggio meraviglioso.»
«Meraviglioso» disse lui. «Budapest è assolutamente meravigliosa.»
«E Vienna?»
«Non un granché, Jake. Non un granché. Sembrava meglio di quanto fosse.»
«In che senso?» Stavo portando i bicchieri e il sifone.
«Sbronzo, Jake. Ero sbronzo.»
«Strano. Meglio che tu beva qualcosa.»
Bill si sfregò la fronte. «Un fatto singolare» disse. «Non so come sia successo. È capitato all’improvviso.»
«Durato molto?»
«Quattro giorni. Esattamente quattro giorni, Jake.»
«Dove sei andato?»
«Non ricordo. Ti ho scritto una cartolina. Questo lo ricordo benissimo.»
«Non hai fatto altro?»
«Non ne sono tanto sicuro. È possibile.»
«Su. Raccontami tutto.»
«Non riesco a ricordare. Ti racconterei tutto se ci riuscissi.»
«Su. Svuota quel bicchiere e cerca di ricordare.»
«Comincia a tornarmi la memoria» disse Bill. «Ricordo qualcosa di un incontro di pugilato. Di un favoloso incontro di pugilato a Vienna. C’era anche un negro. Ricordo perfettamente il negro.»
«Continua.»
«Un negro meraviglioso. Assomigliava a Tiger Flowers, ma quattro volte più grosso. Poi all’improvviso tutti presero a lanciare roba. Io no. Il negro aveva mandato al tappeto il ragazzo del posto. Il negro alzò un guantone. Voleva fare un discorso. Un negro dall’aria incredibilmente nobile. Cominciò a fare un discorso. Poi il bianco del posto lo colpì. Poi lui mise fuori combattimento il bianco. Poi presero tutti a lanciare sedie. Il negro venne a casa con noi sulla nostra macchina. Non aveva potuto riavere i suoi vestiti. Indossava la mia giacca. Ricordo tutto adesso. Una grande serata di sport.»
«Poi cosa accadde?»
«Prestai al negro dei vestiti e andai con lui per cercare di fargli avere i suoi soldi. Ma sostenevano che era il negro che doveva dei soldi a loro, per la demolizione del locale. Chissà chi faceva da interprete? Ero io?»
«Probabilmente no.»
«Hai ragione. Non ero io. Era un altro. Credo che lo chiamassimo l’harvardiano locale. Me lo ricordo adesso. Studiava musica.»
«Come andò a finire?»
«Non tanto bene, Jake. L’ingiustizia è dappertutto. L’organizzatore sosteneva che il negro aveva promesso di non buttar giù il ragazzo del posto. Sosteneva che il negro aveva violato il contratto. Non si può mettere fuori combattimento un ragazzo viennese a Vienna. “Dio mio, signor Gorton” disse il negro. “Io per quaranta minuti non ho fatto altro che cercare che non cadesse. Quel bianco deve essersi fatto male quando mi ha colpito. Non gli ho dato neanche un pugno.”»
«Riusciste ad avere i soldi?»
«Niente soldi, Jake. La sola cosa che potemmo avere furono i vestiti del negro. Qualcuno si era anche preso il suo orologio. Un negro favoloso. Un grave errore essere andato a Vienna. Non è un granché, Jake. Non è un granché.»
«Che ne è stato del negro?»
«È tornato a Colonia. Vive lì. Sposato. Ha una famiglia. Mi scriverà una lettera e mi manderà i soldi che gli ho prestato. Un negro meraviglioso. Spero d’avergli dato l’indirizzo giusto.»
«È probabile.»
«Be’, andiamo a mangiare» disse Bill. «A meno che tu non voglia farti raccontare qualche altra avventura di viaggio.»
«Vieni.»
«Andiamo a mangiare.»
Scendemmo e uscimmo sul Boulevard Saint-Michel nella tiepida sera di giugno.
«Dove andiamo?»
«Ti va di cenare sull’isola?»
«Certo.»
Scendemmo il Boulevard a piedi. All’incrocio con Rue Denfert-Rochereau c’è un monumento a due uomini che indossano vesti fluenti.
«Io so chi sono.» Bill guardò il monumento. «Signori che hanno inventato la farmacia. Non provarci nemmeno a raccontarmi frottole su Parigi.»
Procedemmo.
«Qui c’è un impagliatore» disse Bill. «Vuoi comprare qualcosa? Un bel cane impagliato?»
«Andiamo» dissi. «Sei sbronzo.»
«Carini i cani impagliati» disse Bill. «Rallegrerebbero il tuo appartamento.»
«Andiamo.»
«Un solo cane impagliato. Posso prenderli o lasciarli lì. Ma dammi retta, Jake. Un solo cane impagliato.»
«Andiamo.»
«Per te sarà la cosa più importante del mondo dopo che l’avrai comprato. È un semplice scambio di valori. Tu gli dai i soldi. E loro ti danno un cane impagliato.»
«Ne prenderemo uno al ritorno.»
«Va bene. Come vuoi. La via dell’inferno è lastricata di cani impagliati non acquistati. Non per colpa mia.»
Proseguimmo.
«Come mai così all’improvviso ti è venuta questa mania per i cani?»
«Sempre avuto la mania per i cani. Sempre stato un amante degli animali impagliati.»
Ci fermammo a bere qualcosa.
«Certo che mi piace bere» disse Bill. «Dovresti provare anche tu qualche volta, Jake.»
«Su di me hai quasi centoquarantaquattro bicchieri di vantaggio.»
«Non dovrebbero scoraggiarti. Mai scoraggiarsi. Il segreto del mio successo. Non mi sono mai scoraggiato. Mai scoraggiato in pubblico.»
«Dove sei stato a bere?»
«Mi sono fermato al Crillon. George mi ha fatto un paio di Jack Rose. Grand’uomo, George. E sai il segreto del suo successo? Non si è mai scoraggiato.»
«Altri tre pernod e sarai tu scoraggiato.»
«Non in pubblico. Se comincio a sentirmi scoraggiato me ne vado via tutto solo. In questo senso sono come un gatto.»
«Quando hai visto Harvey Stone?»
«Al Crillon. Harvey era un po’ scoraggiato. Non mangiava da tre giorni. Non mangia più. Se ne va via come un gatto. Molto triste.»
«Sta benissimo.»
«Meravigliosamente. Ma vorrei che non se ne andasse via come un gatto. Mi rende nervoso.»
«Cosa facciamo stasera?»
«Non ha importanza. Solo non lasciamoci scoraggiare. Pensi che qui le abbiano le uova sode? Se avessero le uova sode, per mangiare non avremmo bisogno di andare sino all’isola.»
«Niente affatto» dissi. «Faremo un pasto regolare.»
«Solo un suggerimento» disse Bill. «Vuoi metterti subito in cammino?»
«Andiamo.»
Riprendemmo a scendere il Boulevard. Ci superò una carrozza pubblica. Bill la guardò.
«Vedi quella carrozza pubblica? Te la farò impagliare per Natale. Regalerò a tutti i miei amici animali impagliati. Io sono uno scrittore legato alla natura.»
Passò un taxi, e qualcuno a bordo ci fece un cenno di saluto e bussò per ordinare all’autista di fermarsi. Il taxi indietreggiò sino al marciapiede. Dentro c’era Brett.
«Bella signora» disse Bill. «Vuole rapirci?»
«Salve!» disse Brett. «Salve!»
«Questo è Bill Gorton, La...