Occhi negli occhi
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Occhi negli occhi

  1. 312 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Occhi negli occhi

Informazioni su questo libro

Sebastiano Schiappacasse, giornalista sportivo di un grande quotidiano milanese, vive i propri cinquant'anni tra affetti inconsistenti e "marchette", come vengono chiamate in gergo le collaborazioni con altri giornali. Una grigia domenica di gennaio, allo stadio per la solita partita di campionato, gli squilla il cellulare: è una convocazione del vicedirettore. Sebastiano deve partire per il Western Australia, subito. Laggiù, in una cittadina sconosciuta, è ricomparso Michele Monari: sì, proprio lui, la star della televisione, l'autore di un famoso bestseller, l'uomo scomparso da dieci anni senza lasciare traccia... Ma soprattutto il migliore amico di Sebastiano, con cui ha diviso la giovinezza, in una Liguria assolata eppure piena di ombre, fino al tragico evento che ha segnato per sempre la vita di entrambi. Sebastiano non vuole partire: non solo perché il vicedirettore gli chiede di costruire uno scoop sulla vita dell'amico che ora giace in un letto d'ospedale all'altro capo del mondo, ma soprattutto perché intuisce che l'incontro con Michele rischierebbe di compromettere un equilibrio raggiunto con estrema fatica, sconvolgerebbe la sua vita "attutita", forse incolore ma al riparo dalla sofferenza.
Ancora non sa che in Australia un incontro felice e un mistero inatteso lo costringeranno a rimettersi in gioco, trascinandolo in un'avventura che richiede coraggio, quello vero, la forza di guardare indietro e ripercorrere la propria vita come alla moviola, di fare i conti con il passato per affrontare il futuro.
Non sa, Sebastiano, che l'amico di una vita sarà in grado di stupirlo ancora una volta, insegnandogli - se davvero non lo aveva capito - che l'amicizia e l'amore sono nascosti proprio dove non li si aspetta. In equilibrio sul delicatissimo confine tra speranza e nostalgia, disperazione e gioia, Roberto Perrone costruisce un romanzo che è insieme uno straordinario viaggio on the road e il diario di due vite giunte a una svolta: occhi negli occhi, guardandosi come hanno sempre fatto ma forse vedendo si per la prima volta con tutta la limpidezza che unisce chi si è amato davvero, Sebastiano e Michele scopriranno che la storia di ciascuno - se solo lo si vuole - può ricominciare proprio quando la vita sembra non riservare più sorprese.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804608714
eBook ISBN
9788852019333

UN CUOCO DELL’ALTRO MONDO

1

Dopo, mi restò lì a frullare per molto tempo il motivo del Pescatore di De André. Andai avanti per un po’ a cantarlo, con la mia voce stonata, nei giorni che seguirono. E quando non lo cantavo lo fischiettavo. Specialmente la parte che dice:
Vennero in sella due gendarmi,
vennero in sella con le armi,
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all’ombra dell’ultimo sole
s’era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Non fu proprio così, non avevo alcun sorriso e, soprattutto, non stavo coprendo un assassino (o almeno credevo). Però io mi sentivo come quel vecchio reticente, sornione, anche senza solchi lungo il viso, se non il manifestarsi delle mie prime rughe. O, se sorridevo, era per altri motivi. Forse per l’assurdità di quello che mi stava accadendo.
Mi ero riaddormentato seguendo col pensiero i lineamenti di Carol, ma, nel sonno agitato – colpa dell’improvviso risveglio notturno o della cattiva coscienza per la menzogna perpetrata? – che seguì la telefonata di Mirone e del direttore, non riuscii a mettere a fuoco né il suo, né altri volti che pure avvertivo presenti in quel momento della mia vita. A un certo punto sentii dei colpi. Ci misi un po’ a comprendere di cosa si trattava nell’abisso in cui mi trovavo, poi capii che non erano immaginari ma provenivano da fuori.
Qualcuno stava bussando. E da un po’, a giudicare dalla violenza delle botte che si abbattevano sulla povera porta della stanza. A fatica, barcollando, andai ad aprirla e venni aggredito da un mare di luce australiana. Quando abituai gli occhi a quel sole accecante distinsi due figure davanti a me. I due mi guardavano con quella che mi sembrò disapprovazione, forse per i miei occhi arrossati, forse per lo spettacolo che offrivano i pantaloncini colorati e la maglietta di Wimbledon, un po’ consunta, ma originale, che indossavo come pigiama.
«Il signor Sciappaciasse?»
Niente da fare con l’inglese. La domanda era arrivata da quella che a poco a poco riconobbi come una donna. Non poteva avere più di quarant’anni e indossava un paio di jeans e una camicia azzurra sotto un blazer blu. Era alta poco meno di me e aveva la carnagione abbronzata e i capelli corti e neri. Carina. Curai meno l’aspetto dell’uomo che portava una sahariana e gli occhiali da sole a specchio.
«Sì.»
«Sono il detective Karagoulis e questo è il detective Hanson. L’abbiamo svegliata?»
«Che ore sono?»
«Le dieci.»
«Sono andato a letto tardi, ma effettivamente avrei dovuto essere già sveglio.»
Cercai di sollevarli da sensi di colpa che probabilmente non avevano.
«Cosa posso fare per voi?»
Pescai in qualche ricordo di telefilm questa frase da persona innocente, ingiustamente strappata dalla legge a un’occupazione senza macchia, a una coscienza illibata.
La donna doveva essere il capo. Parlava lei: «Sappiamo che lei è un giornalista italiano e che è qui per l’uomo in coma all’ospedale. Michele Monari». Pronunciò il nome con un certo rispetto. «Vorremmo parlarne con lei. Forse ci può aiutare a chiarire alcuni punti della vicenda.»
«Certo. Perché non mi aspettate alla caffetteria del motel? Vi offro la colazione, un caffè, quello che volete voi. Intanto metto qualcosa di più decente.» Sorrisi, tentando la strada del simpatico fascino italiano, ma ero preoccupato.
La donna dal cognome greco mi sorrise, l’altro non mutò la sua espressione. Si avviarono verso la caffetteria, mentre io richiudevo la porta della stanza. Che cosa potevano volere? Mentre mi sciacquavo la faccia e mi infilavo i bermuda tanto cari a Mirone, cercai di immaginare le loro domande e preparare eventuali risposte.
Per un attimo temetti il peggio. Magari si erano accorti anche loro che la mummia all’ospedale non era Michele. No, impossibile. Loro non potevano sapere della sua piccola cicatrice sul mignolo destro, praticamente invisibile se uno non ne conosceva l’esistenza. Poco più di un solco di un centimetro, di cui ci si poteva accorgere solo al tatto oppure osservando il dito da vicino. Quante volte era stata oggetto di scherzi e battute tra me e Michele.
Tutti quelli che potevano individuarla, ed erano pochissimi, o erano morti o se n’erano dimenticati. Rimanevamo io e Maurizio, ma lui di quel giorno avrebbe ricordato solo le botte che mi aveva dato.
Io invece la conoscevo benissimo: era infatti l’unico segno rimasto delle escoriazioni che gli avevo provocato con lo sgambetto da cui era nata la nostra amicizia.

2

«Era un personaggio famoso?»
I due poliziotti avevano accettato solo un caffè. Io invece stavo divorando un piatto di uova e pancetta innaffiandolo con succo d’arancia. Perché nei paesi anglosassoni il succo d’arancia è migliore del nostro? Nessuno ha mai saputo rispondermi. La donna mi piaceva e la guardavo in continuazione, cercando di rilevarne le forme, sotto quell’abito casto. Non riuscivo a trattenermi anche se provavo un po’ di senso di colpa per Carol. Mi ero montato la testa? Mi stavo infilando nei panni di Michele?
Evitavo lo sguardo dell’uomo, che pensavo chiaramente ostile, anche se, probabilmente, mi sbagliavo zavorrato dalla mia tradizionale sospettosità. Mi vennero in mente “il maggiore” e i suoi consigli. Lo avevo conosciuto durante i miei primi anni milanesi. Era un vecchio cronista di nera, di quegli impareggiabili topi che vivevano, dentro uffici polverosi di faldoni, in simbiosi con polizia, carabinieri, guardia di finanza. Ormai non ce ne sono più. Come mi aveva detto il maggiore, alla festa per il suo addio nello stanzone della cronaca, tra un salatino di dubbia provenienza e uno spumante scadente – che ben si legavano al suo personaggio di uomo marginale –, «ormai i giornalisti si sono trasferiti nelle procure, si sta più comodi e i magistrati ti danno i verbali fotocopiati, oppure te li mandano per mail, quando non sono gli avvocati a farlo. Ma non c’è poesia nella tecnologia».
Poi, indicando i giovani colleghi che seguivano la giudiziaria e la nera aveva aggiunto: «Guarda che facce, pallide, malinconiche. Sai qual è la verità? È che noi, anche se non prendevamo le loro parti, bazzicavamo ladri e assassini. Erano uomini, volti, esistenze. Li conoscevamo di persona, non solo attraverso pagine su pagine di intercettazioni. E non avevamo certezze, non dico che parteggiavamo per i criminali, ci mancherebbe, però neanche facevamo a gara a chi era più amico dei magistrati. Adesso in giro non ci va più nessuno, adesso i magistrati li conoscono tutti benissimo, ma con i banditi non ci parla nessuno. Li vedi questi qua, che hanno preso il mio posto? Lo vedi il pallore? La vita è come la differenza tra uno abbronzato e uno pallido. Bisogna stare al sole, camminare all’aria aperta, caro mio, per capirla. Guardami, io sono sempre abbronzato, e non per le lampade».
Il maggiore mi aveva preso in simpatia, perché amava discorrere di calcio. Era tifosissimo del Milan, aveva una foto con Rivera e Rocco sopra la scrivania. Me l’aveva mostrata: lui era giovane, con una cravatta stretta, di quelle che andavano di moda negli anni Sessanta, e la barba ben fatta (adesso se la faceva una volta alla settimana); Rivera era giovane, Rocco era Rocco. Aveva sempre il solito cipiglio. Alla sera il maggiore cenava sempre da solo alla mensa del giornale. Quando ero di lunga lo chiamavo e ci incontravamo.
«Al solito posto.»
«Prenoto allora, non vorrei che fosse pieno.» Era la nostra abituale gag. Non era mai pieno, anche se non era deserto come negli ultimi tempi. Colpa delle rotative. Le avevano spostate fuori città e tutta l’umanità notturna che ruotava attorno al giornale – tipografi, operai, distributori di giornali – era sparita. Il maggiore era andato in pensione un anno dopo il trasloco dei macchinari e la scomparsa di tutta quella umanità notturna. Per sua fortuna. Non avrebbe retto al cambiamento, a quel giornale che era diventato solo un ufficio; non avrebbe sopportato il silenzio assordante determinato dalla mancanza della tipografia. Ma quando avevo cominciato e avevo conosciuto il maggiore, all’inizio degli anni Ottanta, le rotative erano ancora lì, e la mensa pulsava di vita anche dopo mezzanotte. Anzi, cominciava a vivere proprio a quell’ora.
«Ricorda, in mensa solo riso e pasta in bianco, qualche volta insalata. Studia bene i pomodori. Salumi con moderazione. È il segreto per sopravvivere.»
Mi mancava il maggiore. Era un ometto piccolo, apparentemente insignificante, ma una volta che gli avevo toccato il braccio mi era sembrato di sfiorare l’acciaio. Mi mancava il maggiore e ogni tanto mi domandavo che fine avesse fatto. Non l’avevo più cercato. Era tornato al suo paese, sull’Appennino modenese, con il suo cane. Però mi aveva lasciato moltissimi consigli, istruzioni, avvertenze, perfino trucchi, da utilizzare nel corso di un interrogatorio (fatto o subìto), di un’indagine, di una ricerca. Una specie di piccola enciclopedia per destreggiarsi con gli “sbirri, che sono uguali da tutte le parti” o sostituirsi a loro.
Il maggiore diceva sempre che, anche se uno non voleva, quando aveva di fronte un poliziotto ometteva per costituzione mentale. «A uno sbirro non dici mai tutta la verità, anche se hai il culo lindo come quello di un bebè dopo che gli hanno pulito via la cacca.»

3

E infatti io non dissi (tutta) la verità.
Non confessai che quell’essere non era Michele. In ogni caso loro non me lo chiesero. Lo davano per scontato. E quindi, tecnicamente, avrei potuto sostenere, come avevo visto in decine di telefilm americani: non l’ho detto perché non me l’avete domandato.
«Era molto famoso. Lo era diventato ai tempi dello scandalo sulla corruzione della classe politica e sulle inchieste che ne seguirono.»
«Mani pulite: ne hanno parlato anche i nostri media» disse l’uomo, assentendo.
Lo guardai sorpreso. Il silenzioso faceva il secondo, ma solo per finta.
La poliziotta mi chiese: «Lei lo conosceva bene?».
Omettere, ma ogni tanto concedere. «Sì, eravamo amici. Ci frequentavamo da tanto. Per questo sono venuto io. Conosco la sua vita come nessun altro.»
Bevvi del caffè, aspettando delle notizie da loro. Ma forse erano loro ad aspettarsi la mia curiosità.
«Perché mi fate queste domande?»
Parlò l’uomo. «La dinamica dell’incidente è poco chiara.»
«In che senso?»
«L’incendio non sembra essere doloso. I pompieri sono quasi certi che si tratti di un corto circuito, ma ci sono dei particolari della vicenda che suscitano qualche sospetto.»
«Per esempio?»
Rispose la donna: «Non riusciamo a capire cosa ci facesse il suo amico davanti alla scuola».
«Ma non si era fermato perché aveva visto le fiamme?»
«Sì, questa è la risposta più plausibile, però l’auto è stata trovata posteggiata perfettamente, come se Monari avesse fatto manovra, con calma. Ora, se uno vede un incendio e si ferma per prestare aiuto, è un po’ strano che posteggi in modo preciso. E non è l’unico lato oscuro.»
La cosa cominciava a preoccuparmi. In cosa era implicato Michele?
«No? E che altro c’è?» Cercavo di essere solo curioso, non ansioso. Ma non ero sicuro di riuscirci.
«Manca una bambina all’appello. È scomparsa.»
«Magari è, è...» Non avevo il coraggio di finire la frase, spaventato dall’orrore che racchiudeva.
«Bruciata nell’incendio? No, signore. Niente brucia del tutto. Resta sempre qualcosa. Non creda ai film. E di questa bambina non c’è traccia. Sparita nel nulla. E poi non si trova neanche la madre.»
«Non riesco ancora a capire il legame con il mio amico.»
«Neanche noi, mister Sciappaciasse. È per questo che siamo qui. Che ci faceva il suo amico in Australia?»
«Non lo so. Fino a quattro giorni fa non sapevo nemmeno che fosse qui. Non lo sapeva nessuno. Un bel giorno ha avuto una crisi esistenziale» omettere, omettere «e ha lasciato l’Italia. Non ha detto niente a nessuno, non è neanche tornato per il funerale di sua madre.»
I due restarono in silenzio. Io continuai. «È anche per questo che da noi la notizia ha fatto sensazione, perché Michele Monari era sparito nel nulla, proprio come quella donna e quella bambina.»
Finii le mie uova, ormai fredde.
«Chi erano la donna e la bambina?»
«La donna faceva la cameriera in un hotel. Prima aveva lavorato in un resort, a Monkey Mia. Il giorno dell’incendio ha accompagnato a scuola la bambina. Da quel momento nessuno l’ha più vista.»
La poliziotta di origine greca tirò fuori dalla tasca interna del blazer una foto e me la diede.
Mi ritrovai a guardare una donna bellissima che teneva per mano una bambina altrettanto bella. Qualcuno – che doveva essere molto bravo – le aveva fotografate su una spiaggia. La donna aveva un prendisole leggero, bianco con delle righe verdi. Una spallina le era scivolata su un braccio. Capelli castani ricci, gambe abbronzate, forti ma affusolate. Furono i suoi occhi però a stupirmi, occhi che ti entravano dentro, di un verde intenso.
In quel momento ebbi un’intuizione, come un déjàvu, qualcosa che avevo già vissuto. Un senso di comprensione mi invase. Sperai che i due non se ne accorgessero, sperai che l’assioma della signora Mirella sulla mia incapacità di mentire venisse smentito dall’espressione del mio viso, mentre mi sforzavo di mantenere neutro il tono della voce.
«Non so che dire, so soltanto che non mi sembra il tipo di storia in cui finirebbe Michele. Lui era speciale per evitare i problemi, le complicazioni. Non ci sono altri parenti che possano aiutare a chiarire la storia? Il padre della bambina che fine ha fatto?»
I due si guardarono, indecisi se rispondere. La donna fece un lieve cenno e l’uomo mi spiegò.
«Irrintracciabile. È un mezzo sbandato che ha avuto dei problemi con la legge ed è uscito da poco di prigione. I due sono divorziati. Ogni tanto sparisce, poi ritorna. Non ha fissa dimora.»
Si alzarono. La donna mi diede un biglietto da visita.
«Per quanto tempo resta qui?»
«Non so, due, tre giorni, volevo fare un giro, vedere qualcosa. Mi hanno detto che ci sono posti molto belli.»
«Prima di partire, mi dia un colpo di telefono, d’accordo?»
«Certamente.»
Ci salutammo nel parcheggio del motel.
Sapevo cosa fare, ma prima dovevo tenere a bada il giornale. Grazie alle rivelazioni dei poliziotti avevo materiale per fare un altro ar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Occhi Negli Occhi
  3. Quasi un epilogo
  4. Portati i bermuda
  5. Estate 1970
  6. Mai rovinare una bella storia con la verità
  7. Autunno 1978
  8. Un cuoco dell’altro mondo
  9. Inverno 1989
  10. L’uomo che sapeva sparare
  11. Primavera 2000
  12. Lo scivolo di Hobart
  13. Dello stesso autore
  14. Copyright