Se c’è una cosa che adoro fare, è raccogliere i frutti spontanei della terra. Erbe selvatiche, bacche, piccoli frutti di un albero dimenticato, funghi, fiori, radici. La natura a volte è generosa, ed è un piacere profondo tornare a casa dopo una bella passeggiata con qualcosa da cucinare.
Sono per me indimenticabili le spedizioni che facevo in campagna con i miei fratelli, quando da bambini andavamo a cercare le more nei caldi pomeriggi d’agosto. Ognuno con il suo cestino da riempire, stavamo fuori ore, perché ogni cespuglio di rovi era un’avventura: bisognava evitare le spine, ma le more più belle grosse erano sempre quelle in alto. Allora il più grande prendeva in braccio il più piccolo, e spesso si cadeva e ci si graffiava malamente. E poi si potevano incontrare ragni, insetti stecco, mantidi religiose, e si perdeva tempo a guardare, oppure a giocare. Una volta, in un rovo, abbiamo perfino trovato un gattino abbandonato che è poi diventato il nostro gatto di casa. Per riempire i cestini ci mettevamo tantissimo, perché le more appena colte erano irresistibili e finivano dritte in bocca, una dietro l’altra. Era così che facevamo merenda.
Ne coglievamo talmente tante che a volte ci mettevamo sul ciglio della strada a venderle agli automobilisti di passaggio, a cinquecento lire il cestino!
Rientravamo a casa con le manine tutte blu per il succo, che era praticamente indelebile e che faticavamo a mandare via con il sapone, ma l’emozione della giornata restava a lungo tra di noi, insieme a tutto ciò che avevamo imparato dalla natura.
Riporto qui alcune ricette, tra le mie preferite. Per gustare al meglio il “bottino” di una giornata all’aria aperta, ho scelto una pianta per ogni mese dell’anno seguendo il calendario della natura.
Aristofane ci racconta che gli antichi Greci consigliavano di consumare l’ortica “prima dell’arrivo delle rondini”, e dunque dell’inizio della primavera, per sfruttarne al massimo le proprietà depurative e demineralizzanti. Simili proprietà sono soltanto alcuni dei benefici che può regalare questa pianta bistrattata ma generosa. L’ortica si raccoglie da dicembre a maggio e nei terreni umidi è presente tutto l’anno. Cresce spontanea nei luoghi incolti, lungo i muri e le siepi, ai margini dei giardini, è infestante e ricoperta di peli urticanti che contengono acido formico. Per questa ragione viene sempre accompagnata da un’accezione negativa: ciò che viene gettato alle ortiche è perduto, così come a toccarla ci si fa male. E invece non c’è malattia o problema che in antichità non sia stato risolto usando l’ortica: dai decotti contro tosse e raffreddori, alle lozioni per contrastare la caduta dei capelli e combattere la forfora, sono centinaia i trattamenti riportati. Non si deve inoltre dimenticare che da questa pianta si ricava un tessuto molto resistente e che la credenza popolare vuole che i fulmini non si abbattano mai su di lei. È una delle mie preferite per cucinare, perché si presta a usi diversi: mescolata nell’impasto degli gnocchi di patate, come ripieno per i ravioli, in una frittata, bollita per un minuto e poi condita con olio e limone, e infine nel classico risotto che vi propongo in una versione invernale con l’aggiunta di un buon formaggio piemontese, la toma, al posto del parmigiano grattugiato.
Ingredienti per 4 persone
200 g di foglie tenere e cime di ortica, 350 g di riso Carnaroli o Vialone Nano, 80 g di toma piemontese a dadini, 35 g di burro, 1 cipolla, brodo vegetale, vino bianco secco, olio extra vergine di oliva
Preparazione
Con un paio di guanti di gomma da cucina, lavate le ortiche, prendete le foglie più tenere e le cime e scottatele in acqua bollente per un minuto. Togliete dall’acqua le ortiche, fatele scolare e tagliuzzatele. Preparate un brodo vegetale con carota, sedano e una cipolla bianca precedentemente tagliata a metà e scottata su una pentola antiaderente, sale, pepe in grani, una foglia d’alloro. Aggiungetevi anche un po’ dell’acqua di cottura delle ortiche. Avviate la preparazione del risotto, facendo soffriggere la cipolla con quindici grammi di burro e tre cucchiai di olio extravergine di oliva, aggiungete il riso e fatelo tostare, sfumatelo con il vino bianco e procedete incorporando il brodo poco alla volta. Quando mancano circa cinque minuti alla cottura del riso aggiungete le ortiche. Al termine, spegnete il fuoco e aggiungete il burro rimasto e la toma a dadini continuando a girare finché questa non si scioglie.
Quante volte, passeggiando, siamo passati accanto a quelle deliziose campanelline violacee e forse le abbiamo raccolte per farne un bel mazzetto di fiori di campo… Le nostre nonne, più esperte di noi, sapevano che si trattava in realtà di un’ottima insalatina, il raponzolo. Proprio quella che ha dato il nome alla bellissima Raperonzolo, la protagonista della fiaba dei fratelli Grimm. La favola racconta che la mamma, incinta della futura Raperonzolo, avesse talmente desiderio di queste croccanti radici da inviare ogni notte il marito a rubarne un po’ nel giardino della strega, con inevitabili conseguenze. Il raponzolo deve avere davvero delle caratteristiche singolari, perché un po’ in tutto il folklore europeo è legata al mondo delle fate che, si dice, abbiano casa all’interno del suo fiore. Un’antica tradizione popolare raccomanda di non permettere ai bambini di coglierlo, poiché diventano subito irritabili e capricciosi. Tuttavia è da sempre una delle piante più ambite dai cercatori di erbe, l’equivalente del porcino per i cercatori di funghi.
Le radici del raponzolo possono essere consumate sia fresche sia cotte. Da fresche, dopo un’opportuna grattatina con la lama di un coltello per togliere la terra e la peluria, costituiscono una piacevole aggiunta alle insalate primaverili. Cotte hanno un sapore dolce che ricorda vagamente quello delle noci, irresistibile. Le foglie cotte costituiscono un apprezzato contorno e i giovani germogli primaverili possono essere consumati una volta sbollentati.
Dato che i raponzoli sono molto apprezzati in Romagna, ho deciso di segnalarvi la ricetta di una piadina che contiene sia le radici sia le foglie ed è veramente molto gustosa.
Ingredienti (per una piadina)
una manciata di piantine di raponzolo, olio extravergine di oliva, sale, pepe, piada romagnola, stracchino allo yogurt
Preparazione
Delle pianticelle intere di raponzolo dovete pulire tutto, sia le radici sia le foglie. Dopo una bella lavata, per togliere eventuali residui di terra, tenete da parte le foglie intere e tagliate le radici a fettine sottili per il lungo. Raccogliete il tutto in una ciotola, aggiungete l’olio, qualche grano di pepe verde o rosa, il sale, e mescolate. Dopo aver scaldato bene la piadina, piegatela a metà, spalmate grossolanamente lo stracchino e aggiungete il composto del raponzolo.
Da ragazzina, avrò avuto circa dodici anni, giocavo nel giardino di una mia amica quando sono inciampata in un sasso. Nella caduta, indolore, il viso si è andato a posare su una strana pianta verdissima, tutta a fili, una specie di erba, ma più lunga e sottile. E che profumo! Aveva lo stesso odore della cipolla e mi rimase fra i capelli per tutto il giorno. Era, appunto, l’erba cipollina.
Scoprii poco dopo che potevo tenerla anche in vaso sul davanzale per mangiarla quando volevo e per godere della vista dei suoi magnifici fiori a globo violetto. L’erba cipollina è conosciuta da sempre per il suo utilizzo gastronomico, viene menzionata in numerose ricette da Apicio, che consigliava di usare il bulbo e non la parte verde, mentre documenti del Medioevo raccontano che veniva usata per aromatizzare insalate, zuppe e salse.
I popoli celtici le attribuivano proprietà magiche ed erano soliti strofinarla sulla pelle per togliere il malocchio o qualsiasi incantesimo negativo. Il suo nome scientifico, allium, deriva proprio dal celtico e significa caldo, bruciante, forse in relazione al suo odore pungente.
Penso che non esista un piatto in cui non starebbe bene un po’ di erba cipollina, a patto che venga usata fresca. Le foglie, lunghe e sottili, sono spesso impiegate per legare involtini di bresaola, fagottini di verdure, asparagi, per chiudere le crêpe e decorare i piatti.
Riporto qui una ricetta, tanto veloce quanto saporita, di patate al cartoccio con salsa di erba cipollina, ottime da portare in un picnic sul prato.
Ingredienti
Per la salsa: un mazzetto di erba cipollina pulita (25 g circa), 50 g di parmigiano grattugiato, 100 g d’olio extravergine di oliva, sale q.b.
Per le patate al cartoccio: patate (dipende dal numero dei commensali), olio extravergine d’oliva, sale e pepe, alluminio.
Preparazione
In un frullatore mettete l’erba cipollina tagliuzzata con le forbici o con un coltello di ceramica e il parmigiano grattugiato, quindi frullate. Aggiungete l’olio a filo, aggiustate di sale, quindi emulsionate fino a ottenere una salsa liscia e vellutata.
Stavolta la usiamo per le patate ma è ottima per condire la pasta, insaporire una frittata o accompagnata ai crostini. Consideriamo una patata di media grandezza per ogni persona. Le patate non vanno sbucciate ma lavate accuratamente, magari con uno spazzolino, perché alla fine della cottura si possa mangiare anche la buccia. Dopo il lavaggio, asciugatele, tagliatele a metà per la lunghezza, praticate delle incisioni su ogni parte, unite quanto sale si desidera, ricordando che è meglio non esagerare (si può sempre aggiungere alla fine), pepe e un filo d’olio extravergine d’oliva, facendo in modo che questo penetri nelle incisioni. Poi riunite le due metà, avvolgetele prima in un pezzo di carta forno, come per incartarle, e poi riavvolgete questo cartoccio in un altro di alluminio da cucina. Così per ogni patata. Mettete tutti i cartocci su una teglia antiaderente o rivestita di carta forno e cuocete a 180° in forno preriscaldato per circa tre quarti d’ora. Servite le patate ancora nel cartoccio in un piatto piano con una ciotolina di salsa.
L’asparago selvatico è apprezzato fin dall’antichità, i Romani ne andavano pazzi e, come dice Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia: “La natura ha fatto gli asparagi selvatici, cosicché chiunque potesse cogliere qua e là dove spuntavano”. È proprio il “qua e là” che è meraviglioso degli asparagi di primavera: mentre si passeggia, all’improvviso in una siepe, oppure sul ciglio di una stradina di campagna, un turione si erge nel mezzo di un groviglio di rami spinosi e sembra chiamarci per essere colto. Deliziosi in cucina, gli asparagi sono coltivati da millenni, ma quelli selvatici hanno un sapore più deciso e sono ricchi di proprietà diuretiche e depurative.
Non è facile individuarli nei campi per un occhio non allenato, perché si mimetizzano bene con il verde. Per coglierli è meglio reciderli alla base con le mani o con una forbice e solo dopo, in cucina, scegliere l’altezza a cui tagliarli prima di cuocerli. Una delle cose che si accompagna meglio con gli asparagi è l’uovo, per cui vi propongo una frittata primaverile.
Ingredienti (per 4 persone)
400 g di asparagi selvatici, 6 uova, 20 g di pecorino grattugiato, sale, pepe, burro, olio extravergine di oliva
Preparazione
Degli asparagi si usa la parte superiore del turione, dunque tagliateli a circa sei centimetri dalla punta. Dopo averli lavati metteteli in acqua bollente per cinque minuti e poi recuperateli con una schiumarola, fateli scolare e infine tagliateli in pezzi non troppo piccoli.
In un recipiente sbattete le uova con una forchetta e aggiungete sale, pepe e il pecorino grattugiato. Quando è tutto ben amalgamato aggiungete gli asparagi e mescolate ancora.
In una padella antiaderente fate sciogliere un tocco di burro insieme a un po’ d’olio d’oliva, e poco...