Piccole donne (Mondadori)
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Piccole donne (Mondadori)

  1. 348 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Piccole donne (Mondadori)

Informazioni su questo libro

Un grande classico riccamente illustrato. La storia delle quattro sorelle March negli Stati Uniti della Guerra di Secessione: le loro esperienze difficili i piccoli conflitti, ma anche le grandi amicizie e l'ambiente pieno di calore che le circonda. Piccole donne è il piú famoso di quei romanzi che un tempo venivano detti "per signorine". E lo è dichiaratamente. Ma, inserendosi nel canale di una tradizione che ha segnato i gusti letterari di un'epoca, Louisa May Alcott riesce a creare una storia eterna e sempre attuale, che ancora oggi viene letta dai giovanissimi di tutto il mondo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804565840
eBook ISBN
9788852021879
images
— Natale non sarà Natale senza regali — brontolò Jo sdraiata sul tappeto.
— Che brutto essere poveri! — sospirò Meg abbassando lo sguardo sul suo vestito vecchio.
— Non mi sembra giusto che certe ragazze abbiano un sacco di belle cose e altre niente di niente — aggiunse la piccola Amy sbuffando indispettita.
— Abbiamo papà e mamma, e ciascuna di noi può contare su tre sorelle — replicò serenamente Beth dal suo angolo.
I visi delle quattro ragazze, su cui si proiettava il chiarore del fuoco acceso nel caminetto, si rianimarono a quelle parole di conforto per poi subito rabbuiarsi quando Jo tristemente commentò: — Papà non è qui con noi e non lo vedremo per molto tempo. — Non disse “forse mai piú”, ma ciascuna in cuor suo formulò quel pensiero al ricordo del padre che era lontano, in guerra.
Per un attimo nessuna parlò finché Meg, in tono diverso, non disse: — Sapete, vero, perché la mamma ha detto di non scambiarci regali quest’anno? Perché questo sarà per tutti un duro inverno, e non le sembra giusto che si spendano soldi in frivolezze mentre i nostri uomini soffrono al fronte. Non possiamo fare molto, ma qualche piccolo sacrificio ci spetta e dovremmo farlo volentieri. Purtroppo io non ci riesco — e scosse la testa pensando con rimpianto a tutte le belle cose che desiderava.
— Non credo che i nostri pochi spiccioli possano servire a qualcosa. Abbiamo un dollaro a testa e tutti insieme non cambieranno di certo la vita dei soldati. Mi va bene non aspettarmi regali dalla mamma o da voi, ma Ondina e Sintram me lo voglio proprio comprare: è tanto tempo che lo desidero! — disse Jo, che era una divoratrice di libri.
— Con il mio dollaro pensavo di comprarmi dei nuovi spartiti — disse Beth con un sospiro cosí lieve che solo lo scopino del caminetto e il copriteiera riuscirono a udirlo.
— Io mi prenderò una bella scatola di matite Faber, ne ho veramente bisogno — disse Amy in tono deciso.
— La mamma non ha accennato ai nostri soldi e non credo voglia che rinunciamo proprio a tutto. Compriamoci quel che desideriamo e spassiamocela un po’: per guadagnarceli abbiamo sgobbato duro — esclamò Jo guardandosi i tacchi degli stivali con piglio virile.
— Eccome se ho sgobbato, facendo lezione a quei ragazzini pestiferi per tutto il giorno mentre avrei tanto voluto starmene a casa mia — riattaccò Meg nel tono lamentoso di prima.
— Io me la passo molto peggio di te — disse Jo. — Sai che bello stare rinchiusa per ore in compagnia di una vecchia nervosa e brontolona che ti fa correre avanti e indietro tutto il tempo, non è mai contenta e ti sfinisce al punto da farti venir voglia di buttarti giú dalla finestra o di prenderla a sberle.
— Non sta bene recriminare, ma io credo che lavare i piatti e tenere in ordine la casa siano i lavori peggiori. Sapeste che nervi mi vengono! E per di piú le mani perdono agilità e non riesco piú a fare bene i miei esercizi al pianoforte. — E Beth si guardò le mani ruvide con un sospiro che questa volta non sfuggí alle sorelle.
— Nessuna di voi patisce quel che patisco io — esclamò Amy. — Voi non andate mica a scuola, con compagne insolenti che vi tormentano se non sapete la lezione, ridono di come siete vestite, etichettano vostro padre solo perché non è ricco, e vi offendono se non avete un bel nasino.
— Faresti meglio a dire “attaccano” e a lasciare da parte le etichette, visto che papà non è un vasetto di sottaceti — ammoní Jo ridendo.
— So io quello che voglio dire e non c’è bisogno che fai della statira. È buona abitudine usare parole appropriate per migliorare il proprio vocabilario — replicò Amy tutta impettita.
— Non beccatevi in continuazione, ragazze. Non sarebbe bello, Jo, se papà avesse ancora il denaro che ha perso quando eravamo piccole? Santo cielo, se non avessimo preoccupazioni, allora sí che sarebbe facile essere brave — disse Meg, che ricordava tempi migliori.
— L’altro giorno hai sostenuto che eravamo molto piú felici dei bambini King, che, nonostante tutto il loro denaro, passano il tempo a litigare e ad accapigliarsi fra loro.
— Sí, l’ho detto, Beth, e ci credo ancora. Anche se ci tocca lavorare troviamo il modo di divertirci e siamo una bella combriccola, come direbbe la nostra Jo.
— Jo usa sempre queste espressioni — osservò Amy lanciando un’occhiata severa alla lunga figura distesa sul tappeto. Al che Jo si mise seduta e, le mani nelle tasche del grembiule, cominciò a fischiettare.
— Smettila, Jo, è da maschiacci.
— Appunto per questo fischio.
— Detesto le ragazze sgarbate e maleducate.
— E io non sopporto le smorfiose che si danno un sacco di arie.
— Gli uccellini nei loro nidi vanno d’accordo — canticchiò Beth, sempre pronta a mettere pace, in viso un’espressione cosí buffa che le due voci alterate si raddolcirono in una risata e il battibecco per il momento finí lí.
— A dire il vero, ragazze mie, avete torto tutte e due — disse Meg cominciando la sua predica con l’autorità della sorella maggiore. — Tu, Josephine, non hai piú l’età per fare il maschiaccio: è ora che cominci a comportarti come si deve. Finché eri bambina si poteva passarci sopra, ma ora che sei cresciuta e porti i capelli raccolti dovresti ricordarti di essere una signorina.
— Nemmeno per sogno! E se portare i capelli raccolti in uno chignon è da signorina mi farò le trecce fino a vent’anni — sbottò Jo che, tolta la retina, lasciò ricadere la sua folta chioma castana. — Non sopporto l’idea di crescere, diventare la signorina March, indossare gonne lunghe, avere l’aria tutta a puntino come un fiore di serra. È già abbastanza duro per me essere nata femmina quando mi piacciono i giochi da maschio, i modi da maschio e i lavori da maschio. Non riesco a farmene una ragione e adesso meno che mai, perché muoio dalla voglia di andare a combattere al fianco di papà, e invece mi tocca stare a casa a sferruzzare come una povera vecchietta. — E Jo agitò la calza azzurra da soldato a cui stava lavorando finché i ferri non sbatacchiarono come nacchere e il gomitolo di lana non rimbalzò qua e là per la stanza.
— Povera Jo, è brutto per te, vero? Ma non c’è nulla da fare, bisogna che ti accontenti del nome da maschio che ti sei scelta e di recitare con noi il ruolo del fratello — disse Beth accarezzando la testa arruffata appoggiata sul suo ginocchio con una mano che, seppur irruvidita dalle faccende domestiche, non aveva perso il suo tocco gentile.
— Quanto a te, Amy — continuò Meg — sei troppo schizzinosa e compassata. I tuoi vezzi ora fanno sorridere, ma se non cambi, da grande diventerai un’ochetta smorfiosa. Apprezzo i tuoi modi garbati e il tuo linguaggio forbito, quando non vuoi fare a tutti i costi la raffinata, ma le parole astruse che usi sono altrettanto fastidiose del gergo di Jo.
— Se Jo è un maschiaccio e Amy un’ochetta, io cosa sono, allora? — chiese Beth, ansiosa di sentire la sua parte di predica.
— Tu sei un tesoro e basta — rispose Meg con calore, e le altre non la contraddissero perché “Topolino” era la cocca di famiglia.
Poiché ai giovani lettori interessa sapere “che aspetto hanno” i personaggi della storia, a questo punto abbozzeremo un ritratto delle quattro sorelle, intente a sferruzzare nelle lunghe ore del crepuscolo davanti a un fuoco che scoppiettava allegro mentre fuori cadeva silenziosa la neve di dicembre. La stanza che le vedeva riunite era accogliente, pur con quel tappeto sbiadito e il mobilio senza pretese: alle pareti erano appesi alcuni bei dipinti, le nicchie traboccavano di libri, mentre crisantemi e stelle di Natale in fiore guarnivano i davanzali. Nell’insieme vi si respirava un’aria di tranquilla intimità familiare.
Margaret, la sorella maggiore, aveva sedici anni ed era molto carina con quell’aspetto fiorente e la carnagione chiara, gli occhi grandi, una cascata di capelli biondo castani, una bocca delicata e mani candide di cui andava piuttosto fiera. Jo, quindicenne, era alta, magra e bruna e ricordava un puledro: sembrava non sapere che farsene di quelle braccia e gambe cosí lunghe che il piú delle volte le erano d’impaccio. Aveva una bocca dal taglio deciso, un naso buffo, occhi grigi vivissimi che parevano non perdersi nulla dello spettacolo del mondo ed erano a tratti fieri, a tratti ridenti o pensierosi. I capelli lunghi e folti erano la sua sola bellezza, ma di solito li imprigionava in una retina perché non le dessero fastidio. Con le spalle tonde, le mani e i piedi grandi e gli abiti sempre in disordine, aveva l’aria scalpitante di una ragazza che sta diventando donna e che non ne è affatto contenta. Elizabeth, o Beth, come la chiamavano tutti, era una ragazzina di tredici anni, con la carnagione rosea, i capelli lisci e gli occhi luminosi; gentile e molto timida, parlava con una vocina esile e aveva un’espressione serena, che raramente si alterava. Suo padre la chiamava “Signorina Tranquillità”, e quel nome le si addiceva perfettamente, perché Beth sembrava vivere felice in un mondo tutto suo, fuori dal quale si avventurava solo per incontrarsi con le poche persone fidate che amava. Amy, la piú piccola delle sorelle, era però la piú importante, perlomeno a suo modo di vedere. Una statuina bianchissima dagli occhi azzurri e dai capelli ricci e biondi che le ricadevano sulle spalle: pallida e snella, si comportava sempre come una damina altera. Quanto al carattere delle quattro sorelle, avremo tempo in seguito di scoprirlo.
L’orologio batté le sei. Beth, che aveva spazzato la cenere dal focolare, vi posò un paio di pantofole per scaldarle. La vista di quelle vecchie pantofole ebbe un effetto benefico sulle ragazze: preannunciavano l’arrivo della mamma, e tutte si diedero da fare per accoglierla. Meg interruppe la sua predica e accese il lume. Amy si alzò dalla poltrona senza farselo dire due volte e Jo, dimenticata la stanchezza, si raddrizzò per tenere le pantofole della mamma piú vicine alla fiamma.
— Sono proprio consumate, mamma dovrebbe prenderne un paio nuove.
— Avevo pensato di comprargliele con il mio dollaro — disse Beth.
— No, gliele compero io — esclamò Amy.
— Io sono la piú grande — attaccò Meg.
Ma Jo s’intromise decisa: — Io sono il capofamiglia, adesso che papà non c’è, e io provvederò alle pantofole perché lui mi ha raccomandato di prendermi cura in special modo della mamma, durante la sua assenza.
— Vi dico io cosa fare — disse Beth. — Ciascuna di noi le fa un regalo per Natale e rinuncia a comprarsi qualcosa per sé.
— Solo tu potevi avere una cosí bella idea. Che cosa le compreremo? — domandò Jo.
Meditarono assorte per un attimo, dopodiché Meg, quasi che il pensiero le fosse stato suggerito dalla visione delle sue belle mani, annunciò: — Io le regalerò un bel paio di guanti.
— Io un paio di pantofole robuste, le piú belle che ci siano — dichiarò Jo.
— Io dei fazzoletti, con l’orlo e le iniziali — disse Beth.
— Io le prenderò una bottiglietta di acqua di colonia. Le piace e poi non costa molto, cosí mi resterà qualcosa da spendere per me — concluse Amy.
— Come glieli daremo i nostri regali?
— Li mettiamo sul tavolo, la chiamiamo e le diciamo di aprire i pacchetti. Non vi ricordate come facciamo di solito ai nostri compleanni? — disse Jo.
— Che paura avevo, quando toccava a me sedere sul trono, la corona in testa, con voi che mi sfilavate davanti, ciascuna con il suo dono, e mi davate un bacio. Era tutto molto bello, i regali e i baci, voglio dire, ma tremavo quando mi guardavate tutte mentre aprivo i pacchetti — ricordò Beth che abbrustoliva al calore della fiamma le sue guance rosee e le fette di pane per il tè.
— Lasciamo credere a Mami che ci compreremo dei regali per noi e poi le facciamo una sorpresa. Meg, dobbiamo andare a fare compere domani pomeriggio, c’è un mucchio di cose da fare per la recita natalizia — disse Jo, camminando su e giú con le mani dietro la schiena e il naso per aria.
— È l’ultima volta che recito, sono ormai troppo grande per queste cose — dichiarò Meg che quando si trattava di “travestimenti” era piú bambina che mai.
— Tu, cara mia, non smetterai mai fin tanto che potrai pavoneggiarti in un abito bianco con lo strascico, i capelli sciolti e i gioielli di carta dorata. Sei l’attrice piú brava che abbiamo e se abbandoni le scene tu, addio, va tutto a rotoli — disse Jo. — Stasera facciamo la prova generale. Amy, vieni qui e ripeti la scena dello svenimento perché quando cadi sei rigida come una scopa.
— Non posso farci niente. Non ho mai visto nessuno svenire e non mi va di riempirmi di lividi cadendo giú di botto come vorresti tu. Se riesco a lasciarmi scivolare a terra, bene, altrimenti mi accascerò su una sedia nel modo piú aggraziato possibile. Non m’importa se Hugo mi punta la pistola contro — ribatté Amy, che non aveva particolari attitudini drammatiche, ma era stata scelta per quella parte solo perché, essendo la piú piccola, poteva essere portata fuori scena a braccia dall’eroe mentre si divincolava strillando.
— Fai come me: congiungi le mani in questo modo e attraversa barcollando il palcoscenico gridando disperata: «Salvami, Roderigo, salvami!» — E Jo balzò in avanti con un grido melodrammatico che fece accapponare la pelle delle sorelle.
Amy la imitò: tenendo le mani rigide davanti a sé, cominciò a camminare a scatti come un automa emettendo un gemito che, invece di trasmettere spavento o angoscia, faceva pensare che le avessero conficcato degli spilli nella carne. Jo grugní sconsolata e Meg scoppiò a ridere, mentre Beth, per guardare quella scenetta, carbonizzò una fetta di pane.
— È tutto inutile! Cerca di fare meglio che puoi quando sarà il momento, e se il pubblico riderà non prendertela con me. Tocca a te, Meg.
Poi tutto filò liscio come l’olio: Don Pedro lanciò la sua sfida al mondo con un discorso di due pagine sciorinato tutto d’un fiato. Hagar, la strega, formulò un terribile maleficio sopra un pentolone in cui ribollivano dei rospi, con un effetto raccapricciante. Roderigo spezzò virilmente le catene che gli stringevano i polsi, mentre Hugo agonizzava straziato dal rimorso e dall’arsenico tra alti lamenti.
— È la nostra produzione migliore — disse Meg, mentre il malvagio stramazzato al suolo si tirava a sedere ripulendosi i gomiti.
— Ma come fai, Jo, a scrivere e recitare drammi cosí belli? Sei il nostro Shakespeare, tu — esclamò Beth, convinta fermamente che le sorelle avessero un talento straordinario in tutti i campi.
— Non direi — replicò Jo con modestia. — Trovo che La maledizione della strega. Tragedia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Piccole donne
  3. 1. Giocando ai pellegrini
  4. 2. Un Natale allegro
  5. 3. Il ragazzo Laurence
  6. 4. Fardelli
  7. 5. Rapporti di buon vicinato
  8. 6. Beth trova il Palazzo della Felicità
  9. 7. Amy nella Valle dell’Umiliazione
  10. 8. Jo incontra Apollion
  11. 9. Meg alla fiera delle vanità
  12. 10. Il Circolo Pickwick e l’Ufficio Postale
  13. 11. Esperimenti
  14. 12. Al campo Laurence
  15. 13. Castelli in aria
  16. 14. Segreti
  17. 15. Un telegramma
  18. 16. Lettere
  19. 17. Lezione di fedeltà
  20. 18. Giorni bui
  21. 19. Il testamento di Amy
  22. 20. Confidenze
  23. 21. Laurie ne combina una delle sue e Jo mette pace
  24. 22. Prati fioriti
  25. 23. Zia March sistema tutto
  26. Nota del traduttore
  27. Copyright