è la vita, Stella!
eBook - ePub

è la vita, Stella!

  1. 496 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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è la vita, Stella!

Informazioni su questo libro

Stella Friberg sembra avere proprio tutto: una carriera come scrittrice di bestsellers, un bellissimo appartamento nel quartiere più esclusivo di Stoccolma, un armadio pieno di abiti d'alta moda, una macchina sportiva, un cavallo. E poi lui, Fredrik, il suo fidanzato, manager di successo e soprattutto bello e innamorato. Ma proprio mentre il suo editore preme perché lei consegni il decimo di una serie di fortunati thriller, Stella sembra aver perso l'ispirazione. C'è forse qualcosa di peggio per uno scrittore? Sì: cercare di ritrovarla mentre una perdita d'acqua trasforma il suo appartamento in un rumoroso cantiere... Un banale incidente domestico che si infiltrerà nella vita di Stella e, con un curioso effetto domino, scardinerà una a una tutte le sue certezze, a cominciare proprio dal suo amore per Fredrik. Ma la vita, si sa, nasconde la felicità dove meno te lo aspetti...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804611882
eBook ISBN
9788852020643

KAJSA INGEMARSSON

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Traduzione di Renato Zatti

Mondadori

È la vita, Stella!

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Jakob Metselius alzò la testa e tese l’orecchio, ma nella grande aula regnava un silenzio assoluto. L’orda di studenti era sparita in fondo al corridoio e l’eco dei passi e delle voci era cessata da un pezzo. L’uomo brizzolato alla cattedra raccolse lentamente le proprie carte e, dando un’occhiata all’orologio da tasca, constatò che si erano già fatte le otto e un quarto. Si rallegrò fra sé al pensiero che avrebbe passato un’ora da Billerud, dove aveva deciso di cenare con Albert Volker. Erano i vantaggi delle lezioni serali: con la coscienza a posto dopo aver svolto il lavoro della giornata ci si poteva incontrare con i colleghi nella vicina locanda per una cena informale e una o due pinte di birra. Era da un pezzo che non si permetteva simili svaghi, negli ultimi mesi altre cose avevano occupato il suo tempo, di giorno e di sera.
Uscì dall’aula e richiuse la porta. Il corridoio era deserto e silenzioso. Attraverso le ampie finestre piombate filtrava il debole chiarore della luna, che spezzava l’oscurità riflettendosi sul pavimento di granito, e anche se era troppo buio per vederlo, Metselius sapeva che lassù, sopra di lui, si inarcavano le volte dolcemente arrotondate del soffitto. Come un cielo di pietra.
Con passo sicuro si avviò lungo il corridoio finestrato. Conosceva la facoltà di Storia come le proprie tasche. Lasciò correre lo sguardo intorno a sé. Ogni porzione del pavimento di pietra, ogni centimetro degli scuri pannelli in legno sulle pareti gli erano noti. Sapeva quante porte c’erano e cosa celavano dietro le loro serrature. Sapeva quali erano i punti deboli del vecchio edificio, dove il pavimento era crepato, dove le finestre lasciavano entrare gelidi spifferi d’inverno e dove i cardini scricchiolavano come le ruote delle carrozze fuori, in strada. Nemmeno adesso che l’edificio era abbandonato e avvolto nell’oscurità lui lo temeva.
Ora riusciva a vedere l’ampia scala con i corrimano intagliati che conduceva giù nelle tenebre. Aveva ancora il cappotto sul braccio, e nell’altra mano teneva la cartelletta di pelle consunta. Per non inciampare nella luce fioca, affrontò lentamente i gradini, uno a uno. A metà strada si bloccò. Un rumore aveva destato la sua attenzione, e rimase fermo per qualche secondo. Potevano esserci dei topi, ma era raro in quella stagione.
«C’è qualcuno?»
La sua voce echeggiò nel silenzio. La luce che filtrava dalle finestre al piano superiore non lo raggiungeva più, e al piano inferiore scorgeva solo qualche macchia luminosa sul pavimento in fondo alla scalinata. Con cautela fece un passo in avanti, mentre a tentoni cercava il corrimano, poi udì di nuovo il rumore, questa volta più vicino. Molto vicino. Si girò rapidamente e scorse i vaghi contorni di un’ombra che si avvicinava. Voleva chiedere chi fosse, ma le parole gli si fermarono in gola: prima che i suoni arrivassero alle labbra, la figura lo aveva raggiunto. Nessuna parola, nessuna voce, solo ansimi – rapidi, eccitati. E poi le mani, robuste, contro il suo petto.
Bastò una forte spinta per fargli perdere l’equilibrio. La presa sul corrimano gli sfuggì e il suo corpo cadde in avanti senza opporre resistenza. Scivolò senza ostacoli nell’aria, come al rallentatore. Prima di sbattere la testa sulla scala di pietra, perdendo conoscenza, riuscì a formulare un pensiero:
Aveva ragione lui, e adesso il mondo non avrebbe mai saputo.
Poi sbatté una seconda volta e continuò a rotolare giù. A ogni capriola, si udiva la testa picchiare contro i gradini di pietra; sembravano i colpi di un fabbro in lontananza. Quando, alla fine, atterrò con un tonfo sordo sul pavimento del piano inferiore, illuminato dalla luna, era già tutto finito.
Jakob Metselius aveva reso l’anima a Dio.
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La porta si chiuse alle sue spalle. Stella Friberg era seccata. Se al 7-Eleven non vendevano il latte, che razza di supermercato era? Aveva posto la domanda alla commessa foruncolosa, che con rammarico le aveva raccontato della mancata consegna da parte del fornitore. Come se a lei interessasse.
La serata era gelida, ma lei sudava sotto il maglione di cachemire. Col passo più lungo di cui era capace si lasciò alle spalle il negozio illuminato; non aveva fatto in tempo a percorrere una decina di metri sul marciapiede di Karlavägen che la porta del negozio si aprì di nuovo. Un «Ehi!» sovrastò il rumore di una macchina che stava passando. Stella avanzò ancora di qualche passo. Non aveva intenzione di proseguire la conversazione: difficilmente il latte si sarebbe materializzato se avessero continuato a parlarne.
«Ehi! Senta!» La ragazza della cassa non si arrendeva; Stella rallentò controvoglia e si girò. Rivolse uno sguardo gelido alla commessa, ferma sulla soglia e tremante di freddo. «Non prende la sua valigia?»
Stella rimase immobile per qualche secondo, poi si incamminò con passo rigido verso il negozio. La ragazza era ancora lì e le stava tenendo la porta aperta. Stella evitò il suo sguardo quando entrò e sollevò la valigia, che era rimasta vicino alla rastrelliera dei giornali.
«Grazie» mormorò mentre usciva di nuovo dal locale.
«Di niente.» La voce alle sue spalle era aspra. «Buona giornata! Arrivederci!»
Stella non fece in tempo a rispondere che la porta si richiuse. La valigia traballò e rischiò di ribaltarsi quando Stella riprese a tirarla. Aveva chiesto al taxista di lasciarla al 7-Eleven all’angolo di Sturegatan per poter comprare qualcosa prima di tornare a casa. Era stata una decisione infelice. Non solo non aveva trovato il latte, ma adesso le sarebbe toccato trascinare la valigia per diversi isolati. Era pesante ­– aveva comprato un po’ di cose durante il viaggio – e le piccole ruote si incastravano continuamente nelle fessure dei marciapiedi.
Giunta a casa, aprì il cancello di ferro e sollevò con fatica la valigia salendo i pochi gradini che la separavano dal portone. Rimase lì in piedi per un po’ a fissare il pannello di apertura. Provò qualche combinazione numerica a caso, ma nessuna funzionò. Sospirando aprì la borsa e frugò per un bel pezzo prima di trovare il mazzo di chiavi. L’ultimo tratto fino all’ascensore le sembrò quasi inaffrontabile. Era stata sveglia per trentasei ore e tutto il corpo le doleva per la stanchezza e l’immobilità forzata. Anche se i comodi sedili in pelle dell’aereo si potevano abbassare in posizione quasi orizzontale, non era riuscita a addormentarsi. Le bastò pensare al proprio letto per accorgersi di quanto fosse sfinita. Quando riuscì a far entrare la valigia nell’ascensore e chiuse l’inferriata tirò un profondo respiro. Ancora cinque piani, e poi sarebbe stata a casa.
L’appartamento odorava di chiuso e stantio, malgrado fosse stata via solo una settimana. Avrebbe dovuto arieggiare bene l’indomani, ma in quel momento ebbe a malapena la forza di socchiudere la portafinestra del soggiorno.
Andò in bagno e si liberò dei vestiti, poi li abbandonò sul pavimento. Non importava, difficilmente si sarebbero stropicciati più di così, e avrebbe dovuto comunque portarli in lavanderia. Non fece una doccia lunga, ma il suo corpo pian piano si rilassò sotto l’acqua calda.
Sbadigliando, si spalmò sul viso un po’ della Crème de la Mer che aveva comprato quando aveva fatto scalo a Copenaghen. A giudicare dal prezzo, probabilmente avrebbe dovuto celebrare un rito religioso prima di aprire la confezione, ma si accontentò di inalare con piacere il delicato profumo della crema. Se avesse reso soltanto la metà di quanto prometteva, il giorno dopo non si sarebbe notato alcun segno di jet-lag sul suo viso.
Si avvolse nella morbida spugna dell’accappatoio e andò in cucina. L’aria dell’aero disidratava. Forse aveva qualche bottiglia di acqua minerale. Aprì il frigorifero e ne studiò il contenuto. Sui ripiani davanti a lei c’erano due litri di latte biologico scremato, una confezione sigillata di burro salato Bregott, un pezzo di formaggio Prästost stagionato, uno yogurt, una scatolina di lamponi freschi, tre pomodori, un peperone giallo e un vasetto mignon di marmellata inglese di ciliegie. C’era anche una bottiglia grande di Evian.
Stella si girò nella cucina e allungò il braccio verso l’interruttore sulla parete, e un istante dopo la luce fissata al soffitto si accese. Sull’isola in mezzo alla stanza c’era la sua grande fruttiera colma di mele, banane, grappoli d’uva, kiwi e pompelmi. Un sacchetto di pane del forno Riddare era posato lì accanto, e Stella senza guardare ne indovinò il contenuto: un panino alle noci, il suo preferito. Sul grande tavolo di quercia c’era un vaso pieno di rose rosse. Erano più di una dozzina, ma non aveva la forza di contarle. Si chinò sui fiori per annusarne il profumo. Era delicato, un vago sentore di qualcosa di fresco, vivo. Accanto al vaso, sul tavolo, c’era un biglietto ripiegato. Stella lo aprì e sorrise leggendo quelle tre parole: “Bentornata a casa!”.
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«Ètutto quello che hai da raccontare?» Madeleine Friberg sembrava delusa.
«Come ti dicevo, stavo proprio per uscire...»
«Non puoi essere così occupata da non trovare il tempo di scambiare due parole con tua madre.»
Stella sbirciò l’orologio e poi guardò fuori dalla finestra; alcune goccioline di pioggia avevano appena colpito il vetro. Meno di mezz’ora più tardi avrebbe dovuto trovarsi nell’ufficio della Stendahls. Se fosse uscita subito, sarebbe arrivata giusto in tempo. «Cosa volevi sapere?» chiese sospirando.
«Non puoi raccontarmi qualcosa di più sul film?»
«Non sono ancora pronti con la sceneggiatura, ma sarà ambientato a Boston.»
«A Boston? Perché?»
«Lo trasformano in una storia americana. Franciska Falke diventa Frances Falcon e...»
Madeleine la interruppe. «E chi interpreterà il ruolo principale?»
«Keira Knightley.» La sua voce non riuscì a nascondere l’orgoglio. Era molto soddisfatta della scelta dell’attrice.
«Non so chi sia.»
«Pirati dei Caraibi...»
«Pirati? È un film per bambini?»
«No.»
«Peccato che non sia un’attrice famosa. Ma non ci si può aspettare altro.» Madeleine Friberg parve soddisfatta della propria conclusione. La notizia che i libri della figlia sull’eroina del giallo Franciska Falke sarebbero diventati un film a Hollywood era stata accolta con scetticismo dai genitori di Stella. «E il regista?»
«Non è ancora stato deciso. Ma stanno trattando con un paio. C’è molto riserbo in merito.»
«Perché?»
«Perché si tratterà di un grande investimento. Sono segreti della produzione.»
Madeleine sbuffò. «Grande investimento... E poi non possono nemmeno permettersi di usare qualche attore famoso! Meryl Streep, per esempio.»
«Lei è senz’altro un po’ troppo vecchia.» Stella guardò di nuovo l’orologio. Mancavano venti minuti. «Devo riagganciare adesso. Ho un...»
«Sì, sì, non ti voglio disturbare.» Anche se il tono della madre diceva il contrario, Stella si fece forza e concluse in fretta la telefonata.
Quando fu in strada constatò che l’intensità della pioggia era aumentata e si affrettò verso la luccicante automobile con la carrozzeria argento che aveva parcheggiato un po’ più in su lungo la via. Rabbrividì e aprì la portiera, poi sprofondò dietro il volante. La macchina partì con un rombo sordo, e Stella non poté fare a meno di sorridere tra sé. Avvertiva ancora una gioia quasi infantile quando guidava quell’auto, una Lexus GS3000. Aveva fatto la gioia anche dei giornali di gossip: era stata fermata per eccesso di velocità più di una volta. Aveva comprato quella macchina quando Rugiada mattutina e omicidio a cena era schizzato subito in testa alle vendite in Germania, qualche anno prima. Da allora i piazzamenti in classifica erano piovuti anche in Spagna, Italia, Olanda, nei paesi nordici – naturalmente –, nella Repubblica Ceca, in Gran Bretagna e adesso anche negli Stati Uniti. I libri erano stati tradotti in ventisette lingue, ma Stella non avrebbe saputo dire quali. Comunque, difficilmente era stata l’edizione armena a finanziare il suo lussuoso appartamento.
All’inizio trovava divertente andare in giro per il mondo a fare PR, ma adesso i viaggi la stancavano. Hollywood era stata un’eccezione. Non aveva potuto evitare di farsi coinvolgere dal progetto: era troppo eccitante. Quando Max Lodenius le aveva telefonato comunicandole che la Paramount aveva deciso di trarre un film dai suoi romanzi, sulle prime non gli aveva creduto e l’agente aveva impiegato un po’ di tempo per convincerla. Quando alla fine Stella aveva capito che diceva sul serio, era uscita a comprare la bottiglia di champagne più cara che avessero allo spaccio dei liquori di Nybrogatan e poi aveva preso un taxi fino all’ufficio di Fredrik. Lui era impegnato, ma si era liberato in fretta dopo averla vista agitare la bottiglia dietro al vetro della sala riunioni. Aveva accolto la notizia quasi con la stessa gioia di St...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. è la vita, Stella!
  3. Ringraziamenti
  4. Dello stesso autore
  5. Copyright