La lettera B
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La lettera B

I sei mesi che hanno sconvolto la mia vita

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La lettera B

I sei mesi che hanno sconvolto la mia vita

Informazioni su questo libro

Sembra proprio che la vita di Ilaria sia all'insegna della lettera B: lei e i suoi vivono in una villetta bifamiliare in periferia, e i due anziani e bizzarri vicini sono, per lei, i signori B. E poi c'è Babu, il ragazzino indiano bi-adottato (infatti è rimasto orfano per due volte) il cui arrivo mette a soqquadro la sua vita. Ci mancava solo la scorbutica Alina (niente B, questa volta), la cugina milanese la cui madre giornalista è sparita in Afghanistan. Dov'è finita la pace familiare?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804607700
eBook ISBN
9788852018213
LIA LEVI

LA LETTERA B

I SEI MESI CHE HANNO SCONVOLTO
LA MIA VITA
Illustrazioni di Desideria Guicciardini
Mondadori

Vivevo in pace, avevo una fila di finestre e un brutto giardino. Eravamo
in tre, io, mio padre e mia madre. Poi all’improvviso siamo diventati
quattro, e dopo addirittura cinque. Ma non si è trattato di nascite…

PARTE PRIMA

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CAPITOLO PRIMO

Eccola. Il tempo è ancora parecchio pasticciato, e non scommetterei affatto su quel raggio di sole che secondo me si è affacciato giusto per noia, tanto per fare qualcosa.
Solo lei.
Lei se ne è uscita fuori in giardino, nel suo giardino s’intende, con il cavalletto, i colori e tutto l’armamentario.
Cosa poi le può ispirare quel giardinetto con quattro fiori e tre cespugli?
Almeno certi pittori celebri sono andati nelle isole tropicali per dipingere fiori rossi e giallo zafferano alti come persone.
Ma io lo so, la signora Bi costruisce sempre le cose a modo suo. Se ha deciso che questo è il tempo buono per i suoi pennelli non c’è bisogno di una conferma esterna. E il giardino le va bene com’è, con le viole del pensiero tutte ammaccate.
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La signora Bi in verità non si chiama affatto così.
Ha un cognome normale, tipo Ferrari o Ferrara (mi confondo sempre) e il suo vero nome è Eleonora. Noi però l’abbiamo sempre chiamata signora Bi, che alla lettera sta per “bifamiliare”.
A questo punto serve una spiegazione.
Noi viviamo in una villetta a due piani (più sala hobby nell’interrato) con giardino, ma spaccata a metà. La nostra è la metà di sinistra. A destra, sempre nella stessa villetta, c’è un’altra abitazione uguale, tanto uguale che è come guardarla allo specchio, sicché qualcuno distratto potrebbe addirittura sbagliarsi.
Per questo la nostra palazzina si chiama bifamiliare, e cioè con una famiglia a destra e una a sinistra, come due parti della stessa mela.
Quando ci siamo entrati io ero piccola, insomma, piccola fino a un certo punto perché a sei anni si capiscono molte cose, anche quelle che è più comodo far finta di non capire.
Qualche parola invece la puoi mettere via, come si fa con i soldi del salvadanaio, e quando ti servono le tiri fuori. E così ora mi sono fatta venire in mente quelle vecchie parole e tutto mi è diventato molto più chiaro.
Il fatto è che questa casa ci era capitata perché mio padre era entrato in una cooperativa, vale a dire che in principio si paga di meno e il resto è un tanto al mese come se fosse un affitto.
E qui erano nate le prime discussioni, e queste sì che me le ricordo. Anzi, non me le sono mai dimenticate.
A me allora sarebbe piaciuto andare ad abitare in un bel palazzone con tanti piani, tanti vicini di casa e sotto i negozi che alla sera accendono le insegne blu forte con un po’ di rosso, che a vederle è tutta un’allegria. E invece era successo in modo così diverso!
I miei genitori avevano scelto la nostra villetta un po’ fuori città (non troppo, ci passano due autobus) con dei vicini “unici”.
Insomma, una cosa sciocca perché se tu ti muovi tra tanta gente puoi scartare gli antipatici e tenerti i buoni, ma se hai il “vicino unico” non c’è molto da scherzare.
E se capiti male?
Se capiti male è per sempre.
I miei genitori avevano cominciato a discutere se si dovesse offrire la fortuna di un appartamento accanto al nostro a un amico o collega di lavoro.
Poi hanno deciso di no.
Mamma ha detto che gli amici che vanno insieme a fare le vacanze in barca a vela finiscono sempre per litigare così tanto che la metà deve tornare col traghetto. Ma da una casa comprata, e nemmeno tutta pagata, mica uno può scendere per andare a prendere il traghetto.
Niente amici o colleghi quindi, meglio la sorte tipo “chi capita, capita”.
Però mia madre non era tanto tranquilla. — E se ci tocca un delinquente, o peggio un violentatore di bambini?
Papà aveva risposto che i violentatori di bambini solitamente non si comprano una casa per poi scappare e, se proprio fosse, non la comprano dove avrebbero potuto “puntare ” su una sola famiglia.
Be’, è inutile che la faccia lunga, tanto ormai lo sappiamo.
A noi sono capitati Eleonora Ferrari e suo marito Edoardo, un astrofisico in pensione, che però nello spazio non c’è andato nemmeno quando era giovane.
Li abbiamo sempre chiamati “signori Bi”, perché avevamo cominciato così fra noi quando ancora non sapevamo chi ci sarebbe toccato come abitanti dell’altra metà della “bifamiliare”. Poi sono rimasti “signori Bi” per sempre. Se fossero stati degli altri, anche loro si sarebbero chiamati “signori Bi”.
È stato papà a dare il primo volto ai nostri “signori Bi”, quando ancora non erano entrati nella nuova casa.
— Sai chi sono i nostri vicini di terrazzo? — aveva detto ridendo alla mamma.
Li chiamava “vicini di terrazzo” perché nella villetta c’è un balcone lungo che vale per tutte e due le case. Il balcone è diviso a metà da un vetro bianchiccio, formato dorso di elefante, e così ognuno ne ha un pezzo tutto per sé.
Anche la mamma quel giorno aveva voglia di scherzare, e aveva cominciato con — Hippy? Professori? Agenti delle tasse? — finché papà ha detto: — Due molto, molto vecchi.
— Oh Dio! — ha fatto la mamma — ci toccherà occuparci di loro e andargli a comprare il latte e le aspirine!
E in verità nella nostra zona non solo non ci sono negozi con le insegne rosse e blu, ma i pochi punti di vendita sono piuttosto lontani.
Occuparsi di loro? Niente di più sbagliato, signora Lucia (Lucia è il nome di mia madre).
I signori Bi non hanno mai avuto bisogno di noi, anzi.
Da quello che ho capito un bel po’ dopo, parlando un giorno con la signora Bi, anche loro avevano esclamato: — Oh, Dio! — mettendosi le mani nei capelli, quando avevano saputo che tipo di famiglia gli sarebbe capitata accanto. Una coppia di genitori che lavorano tutti e due, con aggregata una bambina piccola di cui, è sicuro, avrebbero dovuto occuparsi nei momenti in cui rimaneva sola.
Quando ho capito bene la situazione, mi sono molto divertita a immaginare la scena dei due vicini, i miei genitori e i signori Bi, che nello stesso momento in due posti diversi battevano la testa al muro, all’idea che qualcuno nel prossimo futuro o in quello lontano potesse dare mattonate alla loro personale “Libertà”.
Quando ci siamo conosciuti, ci siamo fatti tutti un sorriso, e siamo corsi ognuno a casa propria a innaffiare i vasetti con il prezzemolo.
Niente aspirine e niente favole della nonna. Era chiaro.
Ecco, la signora Bi si è messa a dipingere con molta foga, chissà, forse le è venuto in mente che da un momento all’altro possa arrivare la pioggia, e così addio pittura.
La vedo dalla finestra del primo piano con uno dei suoi eterni camicioni lunghi fino ai piedi. Si veste sempre così con la scusa che è una pittrice, ma io credo che sia per nascondere la sua figura davvero un po’ troppo grossa.
Non è antipatica la signora Bi.
In principio aveva paura di doversi occupare di me, ma dopo, una volta tranquillizzata, è capitato spesso che mi parlasse e anche m’invitasse a casa sua quando cucinava un dolce.
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La mamma mi diceva sempre: «Lasciala in pace, mi raccomando.» E allora io aspettavo che mi cercasse lei. Era così semplice!
La signora Bi non ha bisogno di bambini che le facciano compagnia. Ha un figlio che abita da qualche parte e due nipoti grandi che ogni tanto vengono a trovarla.
La ragazza mi piace tantissimo. Si chiama Teresa. In principio, quando avevo sei anni, arrivava con un motorino rosso che chissà dove l’aveva trovato, con un colore così. Adesso ha la moto e studia medicina.
Ogni volta che arriva mi fa “ciao” con la mano e io ci rimango un po’ male. Insomma, sono sempre nascosta dietro la tenda della finestra del primo piano, proprio come adesso, e non credevo che qualcuno mi potesse vedere.
Forse Teresa che io sia lì se lo immagina soltanto, non è proprio che lo sappia.
Un giorno sono scesa nel loro giardino e abbiamo chiacchierato un po’.
Alla mamma non l’ho detto perché lei ha sempre paura che io vada a disturbare. Però ogni tanto le viene da ridere. Ma guarda un po’, dice, due vecchi che se gli manca il sale prendono il loro vecchio fuoristrada e se lo vanno a comprare anche sotto il diluvio.
Quando mia madre era piccola, veniva spedita due volte alla settimana a tenere compagnia a una vicina di casa paralitica. Mia madre non sapeva mai cosa raccontare a quella vicina, che fra l’altro non pareva affatto contenta e la guardava con aria sospettosa.
Però era sempre una “buona azione”, no? La mamma dice che quando tornava a casa si sentiva sempre un po’ santa.
Sarà per questo che è diventata infermiera capo.
Devo dire una cosa della signora Bi. Ha il difetto di avere pochi capelli. Li ha tutti volatili e a guardarci in mezzo si vede la pelle della testa. Specialmente per chi, come me, osserva tutto dall’alto.
Avevo una professoressa con lo stesso tipo di capelli. In classe dicevano che li aveva perduti perché per fare una cura dimagrante si era bevuta un bicchiere d’aceto al giorno. A me l’aceto piace, ma a bicchierate non lo prenderei mai.
Quando ho raccontato a mia madre questa storia della professoressa (ma in cuor mio pensavo anche alla signora Bi), la mamma mi ha detto: — Come puoi credere a queste enormi sciocchezze?
Ma io ci credo, eccome. Mia madre è infermiera capo, mica è medico. E poi magari lei, una che beve l’aceto non l’ha mai incontrata, io sì.
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CAPITOLO SECONDO

Papà mi ha detto che per le vacanze di Pasqua andremo a trovare i nonni a Milano.
Le “vacanze di Pasqua” valgono solo per gli studenti e i professori, se no sono solo due giorni di festa e basta. Ma la mamma ha tante di quelle ferie arretrate che le basterebbero per fare il giro del mondo. Questa volta dice la mamma che non ci sarà emergenza che tenga, e dunque partiremo.
Andremo a trovare i nonni a Milano, anche se a Milano loro non ci sono.
La verità è che da pochissimi mesi si sono trasferiti in una specie di albergo per anziani a Nizza, in Francia.
— Chi? Loro? Loro in una Casa di Riposo? — Quando l’aveva saputo la mamma si era molto stupita. Il fatto è che “loro” stanno benissimo in salute e sono sempre in giro. Se telefoni devi lasciar detto in segreteria.
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Certo che fa ridere. I nonni sono molto, molto più giovani dei signori Bi, e a Milano avevano una bellissima casa, insomma con i tappeti.
Papà insiste che quella di Nizza non è una Casa di Riposo, ma un albergo. Per anziani, ma albergo. E se in un lontano (o vicino) futuro ce ne fosse bisogno, ci sono infermiere e medici a portata di mano.
Questa è la differenza con un appartamento o un albergo qualsiasi. Tutto qui. Si sta più tranquilli.
Certo i signori Bi questo pensiero non l’hanno mai fatto. Quando hanno scelto la bifamiliare neanche sapevano che mia mamma era infermiera (capo). E in più non abitano vicini neppure al proprio figlio e ai nipoti.
Sono andata subito dalla signora Bi a raccontarle della partenza. È stata contenta della mia visita, ne sono sicura. Non è mica vero che non mi vuole. Non mi vuole troppo. In principio aveva paura che ci appiccicassimo addosso a lei e al signor Bi, poi si è tranquillizzata.
Certo non posso capitare quando mi pare. Se sta dipingendo nemmeno mi risponde e io filo via, tanto lei non si accorge mica se sono lì o non ci sono.
Un giorno che non dipingeva le ho chiesto: — Ma lei questi quadri non li vende?
Lei mi ha detto “no”, e non ha proseguito il ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La lettera B
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