Dannazione
eBook - ePub

Dannazione

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dannazione

Informazioni su questo libro

Madison - la protagonista di queste pagine - ha tredici anni ed è una ragazzina come tante. Be' insomma, più o meno... Figlia di una star del cinema parecchio narcisista e di un miliardario, viene, tra le altre cose, dimenticata per le vacanze di Natale nel suo collegio di iperlusso in Svizzera dai genitori, in giro per il mondo a caccia di orfani da adottare davanti ai media. Durante una notte degli Oscar, Madison riesce nella non facile impresa di morire per una overdose di marijuana, e all'improvviso si trova in una situazione assolutamente diversa da quella della maggioranza delle sue coetanee. Per dirla tutta, Madison non solo scopre di essere morta, ma per giunta di essere finita all'inferno, con la non esaltante prospettiva di dover trascorrere un bel po' di tempo (a occhio e croce l'eternità) tra le fiamme e quei tormenti che lo hanno reso tristemente famoso. Insomma, è innegabile che sia difficile pensare positivo, ma Madison è una ragazza pratica e cerca da subito di rendere meno terribili le sue prospettive: prima di tutto deve farsi degli amici, poi deve scoprire come funzionano le cose all'inferno. Infine (e questo è un obiettivo mica da ridere), deve cercare di farselo piacere. In poco tempo diventa amica di un gruppetto di coetanei: una cheerleader, un secchione, un punkrocker e un giocatore di football, e con loro attraverserà il Deserto di forfora e valicherà Colline di unghie tagliate, per arrivare alla città fortificata dove vive Satana...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804612865
eBook ISBN
9788852020773

XII

Mi sente, Satana? Sono io, Madison. Se ha la pazienza di sopportare l’ennesima confessione, sappia che non sono mai stata particolarmente portata per gli esami. Il mio, mi creda, non è affatto un tentativo di attribuire le colpe ad altri, ma è pur vero che ho in odio l’atmosfera da quiz televisivo che determina tanta parte delle nostre vite: dare prova della propria memoria e delle proprie capacità mentali in una situazione statica e condizionati dalla pressione di tempi prestabiliti. Per quanto la morte presenti alcuni innegabili svantaggi, considero tuttavia una benedizione il fatto di non dovermi più sottoporre ai test di orientamento scolastico. Anche se, a quanto pare, a tale mannaia non sono riuscita a sottrarmi del tutto.
In questo momento mi trovo seduta in uno stanzino, su una sedia dallo schienale perfettamente dritto e davanti a un banco. Immaginatevi la più classica delle stanze interamente bianche, priva di finestre, che a detta degli psicologi junghiani è la più calzante rappresentazione della morte. Un demone con artigli felini e ali di cuoio ripiegate si sporge verso di me sistemandomi intorno alla parte superiore di un braccio il manicotto di uno strumento per misurare la pressione, gonfiandolo fino a quando non sento i battiti del mio cuore pulsare nell’incavo del gomito. Piccole ventose collegano i fili di un elettrocardiografo alla pelle del mio petto, intrufolandosi tra i bottoni della camicetta. Fissato con del nastro adesivo, un filo raccoglie le pulsazioni del mio polso. Altri sensori sono collegati alla parte anteriore e posteriore del collo.
«Per monitorare le variazioni nella modulazione della voce» ha spiegato Leonard. Un sensore è attaccato al muscolo cricotiroideo sul davanti del collo, dice. Un altro al muscolo cricoaritenoideo, sempre sul collo, ma dietro, in corrispondenza della spina dorsale. Mentre parli, una corrente a basso voltaggio passa tra i due sensori, registrando qualsiasi microtremore nei muscoli che controllano la laringe, e indicando il momento in cui pronunci qualche falsità.
Il demone con le ali di cuoio e gli artigli felini ha un alito che sa di putrefazione.
Tutto ciò avviene dopo che Babette ci ha fatti entrare nel quartier generale, aggirando l’infinita fila di gente in attesa e introducendo il nostro gruppetto attraverso un punto crollato nella facciata incompiuta e al tempo stesso già in rovina dell’edificio. Babette ci ha guidati in una sala d’attesa cavernosa, delle dimensioni di uno stadio, che conteneva un’infinità di anime, in un assortimento simile a quello che si potrebbe incontrare in un qualsiasi ufficio della Motorizzazione civile: gente vestita di stracci sudici accanto a gente in abiti Chanel o con la ventiquattrore in mano. Tutte le sedie di plastica dal sedile concavo erano disseminate di infidi pezzi di chewing gum fresco, tanto che solo chi fosse davvero riuscito ad abbandonare ogni speranza si sarebbe potuto azzardare a sedersi. Su un gigantesco tabellone elettronico situato all’ingresso dell’atrio campeggiava la scritta TOCCA AL NUMERO: 5. Pareti e soffitto, lontanissimi, parevano marroni. Ovunque toni di terra, seppia, il colore della sporcizia, del muco rappreso nelle narici. Quasi tutti stavano in piedi, con il capo leggermente inclinato, demoralizzati, le teste come appese a colli spezzati.
Il pavimento di pietra brulicava, era anzi pressoché ricoperto da legioni di scarafaggi grassi, che si nutrivano avidamente degli onnipresenti dolciumi sparsi ovunque. L’inferno somiglia parecchio alla Florida, nell’inestinguibilità delle sue colonie di insetti. Per effetto del calore umido e dell’immortalità, gli scarafaggi diventano enormi, carnosi, più simili a topi o a scoiattoli. A un certo punto Babette, guardandomi saltellare su un piede solo, cercando di mantenere l’altra gamba sollevata a mo’ di gru per evitare di calpestare gli scarafaggi, mi ha detto: «Dobbiamo rubarti un paio di scarpe col tacco».
Anche Patterson, con indosso la sua divisa da football e i paraspalle, era impegnato in una sorta di balletto, e continuava a infilzare con i tacchetti d’acciaio lo strato di scarafaggi sempre più fitto. Perfino l’annoiato Archer si muoveva a saltelli, con le catene di metallo che gli sferragliavano intorno agli stivali, i piedi che scivolavano e sbandavano sugli insetti spiaccicati. I tacchi alti di Babette, invece, pur contraffatti e ormai quasi a brandelli, le permettevano di camminare come sui trampoli, impassibile, mantenendosi al di sopra delle macerie di vita insettiforme.
Staccandoci a grandi falcate, sgomitando tra persone in attesa da eoni, Babette ha raggiunto una sorta di bancone o lunghissima scrivania che occupava la parete di fondo della sala in tutta la sua ampiezza. Dietro il bancone sedeva una schiera di demoni con l’aria di lavorare come impiegati. Appoggiata disinvoltamente sul bancone la sua finta borsetta Coach, Babette si è rivolta al demone più vicino, dicendo: «Salve, Astraloth». Tirando fuori dalla borsetta una barretta di torrone, l’ha spinta delicatamente verso il demone, e sporgendosi verso di lui ha detto: «Ci dia un A137-B17. Modello semplificato. Per una domanda di ricorso». Indicandomi con un cenno della testa, Babette ha aggiunto: «È per la nuova arrivata».
Era chiaro che Babette faceva sul serio.
L’aria nella sala d’attesa era così umida che ogni respiro mi rimaneva sospeso davanti al viso in forma di nuvoletta bianca, appannandomi gli occhiali. A ogni passo sentivo gli scarafaggi scricchiolarmi sotto i piedi.
Non è giusto, no, ma mia madre e mio padre erano sempre entusiasti di raccontarmi i dettagli più sordidi di ogni atto sessuale o feticismo esistente. Le altre ragazzine a tredici anni si vedono magari regalare il loro primo reggiseno. Mia madre si è offerta di farmi fare il mio primo diaframma su misura. A parte la faccenda delle api e degli uccellini – e il tea-bagging, l’anilingus e il tribadismo – i miei genitori sulla morte non mi hanno mai insegnato nulla. Mio padre al massimo mi tormentava perché usassi creme idratanti con protezione solare e mi passassi il filo interdentale. Se una qualche percezione avevano della morte, era solo nelle sue espressioni più superficiali, come le rughe e i capelli grigi delle persone molto anziane e prossime alla loro scadenza naturale. Pertanto, nutrivano la profonda convinzione che, curando metodicamente il proprio aspetto esteriore e attenuando i segni dell’invecchiamento, la morte non sarebbe mai diventata una questione incalzante. Per i miei genitori, la morte non era altro che la logica benché estrema conseguenza di una scarsa attenzione nell’esfoliarsi la pelle. Una brutta china che altri prendevano. Se una persona non praticava un’attenta cura del proprio aspetto, la vita prima o poi si interrompeva.
E per favore, se anche voi insistete nel negare la realtà, nel mangiare petti di pollo senza pelle a basso contenuto di sodio dannoso per il cuore, e nel sentirvi sicuri di voi stessi perché macinate chilometri sul tapis roulant, non vi venga in mente di credervi più realisti di quegli svitati dei miei genitori.
E per favore NON crediate che la sottoscritta abbia nostalgia della vita. COME SE davvero rimpiangessi di non poter crescere e cominciare a perdere sangue dalla patatina una volta al mese e imparare a guidare un veicolo a combustione interna alimentato a carburante fossile e guardare squallidi film a luci rosse senza la presenza di un adulto, e poi a bere birra e sprecare quattro anni della mia vita per strappare una facile laurea in storia dell’arte prima che qualche ragazzo mi riempia di sperma costringendomi a scarrozzare nella pancia un grosso feto per quasi un anno. È davvero un gran peccato che io mi perda tutte queste Meraviglie. E no, non sto facendo come la volpe con l’uva. Quando penso a tutte le stronzate che mi risparmierò, a volte ringrazio Dio per quell’overdose.
Ecco, ho detto di nuovo la parola con la D. Santo cielo! È più forte di me. Uccidetemi, che vi devo dire?
Salta fuori che la documentazione relativa alla mia condanna agli inferi è andata smarrita. O forse deve ancora arrivare. O è stata accidentalmente distrutta. Sia come sia, sono costretta a ripartire da zero, sottoponendomi a una semplice prova con la macchina della verità e ad alcuni test antidroga.
A quanto pare, Babette non è completamente inutile come immaginavo. È riuscita ad aggirare non poche complicazioni e lungaggini burocratiche, guidando la nostra piccola squadra attraverso un labirinto di corridoi e uffici, corrompendo funzionari di basso livello a colpi di barrette al cioccolato e caramelle. All’inferno passeranno eoni prima che si riesca a superare la cultura della carta, e i pavimenti sono coperti da strati alti fino al ginocchio di pratiche malriposte, buste gialle sventrate, referti di poligrafo scartati, caramelle al liquore e scarafaggi.
Mentre mi dirigo verso dove mi faranno il test, Archer mi dice di non incrociare le braccia, di non guardare a destra o in alto. Entrambi gesti fisici che tradiscono un bugiardo.
Una volta consegnato il modulo di ricorso compilato, e passato sottobanco un Kit Kat al demone di turno, Babette mi augura buona fortuna. Poi mi dà un rapido abbraccio, di sicuro lasciandomi le impronte delle mani sporche sulla schiena del cardigan. Babette, Leonard, Patterson e Archer si fermano ad aspettare in un corridoio, mentre io varco la porta della sala test, tutta di un bianco immacolato. Il poligrafo. Il demone che mi gonfia il manicotto per la pressione intorno al braccio.
Potreste aver visto questo stesso demone nel classico capolavoro hollywoodiano L’esorcista. Nel film, possedeva il corpo di una bambina, la figlia viziata e precoce di una star cinematografica di mezz’età. Per niente déjà-vu. E adesso eccolo qui che mi scruta gli occhi per individuare eventuali dilatazioni della pupilla che potrebbero segnalare disonestà. Il demone mi collega dei sensori alla pelle per verificare se sudo. Quella che Leonard chiama “conduttività epidermica”.
Gli dico che amo molto la scena in cui costringe la bambina, Regan, a scendere le scale camminando all’indietro come un ragno, con la schiena inarcata e vomitando grumi di sangue. Più per nervosismo che per altro, chiedo al demone se ha mai posseduto personalmente qualcuno. Ha girato altri film? Riceve ancora i diritti sulle repliche? Il suo agente chi è?
Senza distogliere lo sguardo dai dati che scorrono, dai minuscoli aghi in movimento che scarabocchiano linee sulla striscia di carta bianca, il demone dice: «Il suo nome è Madison Spencer?».
Le domande di controllo. Per determinare i parametri in caso di risposta sincera.
Dico: «Sì».
Girando una manopola dell’apparecchio, il demone mi chiede: «Ha realmente tredici anni?».
Di nuovo: sì.
Il demone chiede: «Rinuncia a Satana e a tutte le sue opere?».
Questa è facile. Mi stringo nelle spalle e dico: «Ma sì, perché no?».
«Per cortesia» dice il demone, «è di fondamentale importanza che risponda soltanto con un “sì” o con un “no”.»
Dico: «Mi scusi».
Il demone dice: «Accetta il Signore come unico vero Dio?».
Facilissima anche questa, una passeggiata, per cui di nuovo dico: «Sì».
Il demone dice: «Riconosce in Gesù Cristo il suo Salvatore?».
Non so, non sono sicurissima, però dico: «Sì?».
Gli aghi scattano sulla striscia di carta, non moltissimo ma un pochino. Non ne ho la certezza, ma forse le iridi dei miei occhi si contraggono di colpo. Il dogma mi sembra piuttosto familiare, ma non è questo il catechismo che ho ricevuto dai miei genitori. Senza mai staccare gli occhi dalle ondulate linee di inchiostro, il demone dice: «È o è mai stata una seguace praticante della religione buddista?».
Dico: «Eh?».
«Sì o no?» ripete il demone.
«Ma scusi» dico, «i buddisti non vanno in paradiso?»
Pur essendo i miei genitori tutt’altro che perfetti, nessuno dei loro errori è stato mai commesso con intenti malevoli, per cui mi sembrerebbe un tradimento bello e buono rinnegare tutti gli ideali che hanno fatto del loro meglio per instillarmi. Mi trovo davanti a un dilemma antico come il mondo: tradire i propri genitori o tradire il proprio dio. Io, personalmente, vorrei soltanto indossare una bella aureola e spostarmi a bordo di una nuvoletta. Suonare l’arpa.
Senza battere ciglio, il demone dice: «Crede che la Bibbia sia l’unica e autentica parola di Dio?».
Dico: «Compresi anche quei pezzi veramente fuori di testa del Levitico?».
Procedendo inesorabile, il demone dice: «In assoluta sincerità, ritiene che la vita abbia inizio con il concepimento?».
Sì, lo so che teoricamente sono morta e non ho più un corpo materiale né bisogni fisici o funzioni fisiologiche, però comincio a sudare come un porco. Sento vampate di caldo arrossarmi la faccia. I denti che cominciano a digrignarsi. I pugni che si stringono, forte, le ossa e i muscoli che affiorano sotto la pelle sbiancata delle nocche.
Azzardo un: «Sì?».
«È favorevole alla preghiera obbligatoria nelle scuole pubbliche?» chiede il demone.
Sì, d’accordo, io in paradiso ci voglio andare – chi non vorrebbe? – ma non se questo significa comportarsi da stronza totale.
Che io risponda sì o no, quegli aghetti si muoveranno comunque come pazzi, reagendo o alla menzogna o al senso di colpa.
Il demone dice: «Considera gli atti sessuali tra individui dello stesso sesso come un abominio?».
Chiedo se a questa domanda posso rispondere dopo.
Il demone ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dannazione
  4. I
  5. II
  6. III
  7. IV
  8. V
  9. VI
  10. VII
  11. VIII
  12. IX
  13. X
  14. XI
  15. XII
  16. XIII
  17. XIV
  18. XV
  19. XVI
  20. XVII
  21. XVIII
  22. XIX
  23. XX
  24. XXI
  25. XXII
  26. XXIII
  27. XXIV
  28. XXV
  29. XXVI
  30. XXVII
  31. XXVIII
  32. XXIX
  33. XXX
  34. XXXI
  35. XXXII
  36. XXXIII
  37. XXXIV
  38. XXXV
  39. XXXVI
  40. XXXVII
  41. XXXVIII
  42. Copyright