Il fumo si alzava ancora dal monastero quando Talitha si fermò. Era sfinita. Saiph aveva camminato per quanto aveva potuto, ma a un tratto era caduto a terra, le gambe che non lo reggevano più.
«Non ce la faccio. Va’ avanti tu.»
«Non fare l’idiota, o ti riporto al monastero e ti incateno di nuovo con le mie stesse mani.»
Saiph cercò di andare avanti, ma era ancora troppo provato, e dovettero fare una pausa. Era più difficile del previsto camminare sui rami superiori del Talareth, lontano dalle passerelle. Pur essendo abbastanza spessi da sostenere anche due persone affiancate, non erano adatti agli spostamenti, e nel percorrerli bisognava fare molta attenzione a non sbilanciarsi e cadere negli spazi vuoti. Inoltre quelli più sottili cedevano sotto il peso dei loro passi, costringendoli a procedere aggrappati ad appigli di fortuna. Però la chioma si estendeva fino ai limiti estremi di Messe, e copriva la visuale a eventuali inseguitori: muoversi lassù era il modo migliore per allontanarsi inosservati.
Talitha guardò sotto di sé. Messe si intravedeva appena tra i rami, un fitto intrico di vialetti e costruzioni. Prese la borraccia che aveva al fianco, ne bevve avidamente, poi scosse Saiph. Il ragazzo aprì piano gli occhi, quasi incosciente prese la fiasca e si dissetò. Talitha si toccò la spalla: le faceva ancora un male tremendo. Quando scostò il cuoio del corpetto, vide un livido violaceo dai contorni giallastri.
«Dove siamo?» chiese Saiph, guardandosi intorno disorientato.
«Sui rami più alti del Talareth. Abbiamo fatto un bel po’ di strada.»
Lo sguardo dello schiavo venne catturato dalla colonna di fumo che si levava dal monastero. Talitha abbassò istintivamente gli occhi.
«Come hai potuto anche solo pensare una cosa del genere?» mormorò Saiph, incredulo.
«Avevi un’idea migliore su come scappare?» replicò Talitha, sulla difensiva. «Negli ultimi due mesi non hai fatto altro che dirmi che era una fortezza inespugnabile, che non c’era via di fuga. Non avevo scelta.»
Lui la fissò, spietato. «Lo sai quanta gente sarà morta?»
Talitha rivide sorella Pelei che precipitava nelle fiamme, colpita a morte. Strinse gli occhi.
«Ho avvertito Kora, le novizie si stavano già mettendo in salvo, e anche le sacerdotesse. È andato a fuoco solo un ammasso di legname.»
Ma Saiph continuava a fissarla, e sotto quello sguardo Talitha si sentiva nuda, senza possibilità di fuga. Adesso che non erano più in immediato pericolo di vita, capiva.
«Cos’avrei dovuto fare? Ti ho visto bastonare, ti ho visto soffrire come mai in vita tua, e stamattina ti avrebbero ammazzato! Non avevo scelta, se avessi potuto fare altrimenti l’avrei fatto, ma non potevo… E sorella Pelei… Io non volevo, capisci? Non volevo.»
Sentì le lacrime, bollenti, inondarle le guance.
Fu allora che lui l’abbracciò con forza, appoggiandole una mano sulla nuca. Talitha percepì l’odore delle sue vesti, della sua pelle, un odore che aveva respirato così tante volte, quando erano bambini. Affondò la testa sul suo petto e pianse per sorella Pelei, sfogando il senso di colpa e la frustrazione.
Saiph non disse una parola. La tenne stretta a sé, il naso affondato tra i suoi capelli, gli occhi chiusi. Dopotutto erano salvi, e ancora insieme. Il resto, forse, non aveva davvero importanza.
Ripresero a camminare subito dopo aver mangiato una mela e un tozzo di pane che Talitha aveva preso dalla cucina prima di appiccare l’incendio.
Saiph notò che la sua schiena era arrossata e piena di graffi. La spada, infilata sotto il corpetto e la cintura, si muoveva da una scapola all’altra, incidendo la pelle.
«Dammi la spada, la porto io.»
Talitha scosse la testa. «È la mia arma, e solo io so usarla.»
«Ti sta massacrando la schiena, e poi, se il tuo piano funziona, finché siamo quassù nessuno ci verrà a cercare.»
Talitha cedette e si sfilò la spada stringendo i denti.
Saiph si tolse quel che restava della casacca e strappò alcune strisce di stoffa. Ne avvolse una intorno all’arma, e con altre due ottenne una specie di tracolla.
«Quella lama taglia come un rasoio, la stoffa non basta» obiettò Talitha.
Ma Saiph scrollò le spalle, aggiustandosi l’arma. «Tanto io non sento dolore, non può farmi più di qualche graffio.»
Rimase in piedi davanti a lei, a petto nudo. Dal giorno in cui erano saliti al monastero, appariva incredibilmente dimagrito. Sul biancore della pelle si vedevano tonde bruciature scure. I segni delle bastonate. Se per un istante Talitha aveva avuto pietà del monastero che aveva distrutto, ora le sembrava che il fuoco non fosse una punizione sufficiente per un posto che aveva saputo infliggere tanto dolore.
Dopo un lungo percorso, che spesso li costrinse ad avanzare a quattro zampe per non cadere, giunsero ai rami più estremi del Talareth, sopra le periferie della città. Qui i rami cominciavano a curvarsi verso il basso, e procedere diventava quasi impossibile. Avrebbero dovuto scendere di qualche braccio verso un camminamento più solido. Invece si sedettero a riposare sulla forcella di un ramo, morbidamente coperta di muschio. Talitha sentiva bruciare ogni muscolo.
«Che cosa facciamo adesso?» chiese Saiph quand’ebbe ripreso fiato.
«Troviamo il modo di scendere. Qui, fuori dalla Cittadella, sarà più difficile che ci intercettino. E poi… andremo verso il Regno dell’Autunno. Andremo a cercare l’eretico di cui parlavano quei documenti.»
Talitha lesse immediatamente il disappunto sul volto di Saiph, e lo prevenne alzando una mano.
«Mia sorella mi ha affidato un compito, e io devo portarlo a termine. Questo mondo sta bruciando, Saiph, e le sacerdotesse lo lascerebbero diventare cenere. Dobbiamo trovare l’eretico, farci dire quello che sa. E poi… e poi lui viene dal deserto» aggiunse in un soffio. «Non c’è altro modo: dove potremmo andare, io e te? Talaria non è più posto per noi. Beata invece…»
«Sei davvero convinta che Beata esista?» obiettò Saiph.
«L’eretico dice di venire da una città nel deserto. Nel deserto, Saiph. Senza alberi che producano aria. Cos’altro può essere quel posto se non Beata? L’hai detto tu stesso, quando ne abbiamo letto.»
«Forse l’eretico è pazzo.»
«Mia sorella non la pensava così. Altrimenti non mi avrebbe fatto leggere quei documenti. Sapeva che cosa avrei rischiato per arrivarci.»
«Allora la pazza sei tu. Come pensi di riuscire a liberare un prigioniero accusato di eresia? Come sconfiggeremo le Combattenti che controllano la prigione? E se mai ci riuscissimo, cosa ti fa credere che quel che avrà da dirti, se non è già morto, ci aiuterà a fermare la crescita di Cetus? Forse non c’è niente da fare, forse deve accadere e basta.»
Talitha lo guardò indignata. «Io so come la pensi tu, come la pensate tutti. Ognuno al suo posto a fare il proprio dovere, ognuno ad accettare passivamente il proprio destino. Ma a quest’ora saresti morto se io non avessi deciso di disobbedire. Mi devi la vita. Per cui si fa come dico io.»
«Va bene, padrona» disse Saiph. «Ti obbedirò, come sempre. Ma se vogliamo andare nel Regno dell’Autunno ci serviranno provviste e una mappa.»
Talitha annuì. «Tu sei stato fuori dalla Cittadella più volte di me. Sai come possiamo procurarcele?»
Saiph studiò le vie sotto di loro. «Siamo vicini a dove abita un bravo cartografo, Lanti. Dobbiamo solo riuscire ad arrivarci prima che blocchino le strade, perché ormai l’allarme sarà già stato lanciato.»
Talitha raccolse le forze e si rimise in piedi.
«Allora abbracciami» disse a bruciapelo.
«Eh?» Saiph rimase immobile, interdetto.
«Muoviti, non è uno slancio d’affetto!» insistette lei.
Saiph si avvicinò e le strinse le braccia intorno ai fianchi, con timore e delicatezza.
«Stringiti forte, o precipiterai.»
Lui obbedì, e si trovarono incollati l’uno all’altra.
«Preparati a saltare.»
«Sei pazza?»
«Dovrò usare un incantesimo di Levitazione. Se vogliamo scendere non c’è altro modo.»
«Padrona…»
«Piantala e fidati! Andrà tutto bene» tagliò corto Talitha.
Si fingeva decisa, ma era nervosissima. Non aveva mai provato quell’incantesimo durante l’addestramento al monastero, se non per compiere brevi voli, levandosi in aria e planando da piccole altezze.
«Sorella Pelei me l’ha insegnato, l’ho già fatto» disse, e Saiph ebbe la spiacevole sensazione che avesse parlato a se stessa più che a lui, per darsi coraggio.
Talitha guardò giù un’ultima volta. Poi, semplicemente, si lasciò andare.
All’inizio fu solo il senso di vuoto allo stomaco, il vento che frustava la pelle e i vestiti, poi venne il richiamo inarrestabile della terra.
Avrebbe voluto urlare, o almeno chiudere gli occhi, ma sapeva di non poterlo fare. Doveva guardare a terra, perché avrebbe avuto pochi secondi per agire.
Messe le venne incontro a una velocità vertiginosa, i vicoli che andavano chiarendosi, le case che diventavano sempre più grandi.
Ora!
Strinse la Pietra dell’Aria, si concentrò per un solo istante e pronunciò la parola. Fu come se una grossa mano li afferrasse per le spalle, rallentando la loro inesorabile corsa verso le pietre della strada. Messe rallentò, la morsa allo stomaco si fece meno forte, e Talitha si rilassò appena. Saiph invece teneva ancora gli occhi serrati, stretto al cuoio del suo corpetto.
Fu a poche braccia da terra che Talitha si accorse che le cose non stavano andando per il verso giusto, e che il vicolo le veniva incontro troppo rapido. Non ebbe tempo per rallentare la caduta: in un istante precipitarono sul lastricato, rotolando in due direzioni opposte. Saiph finì senza un lamento contro il muro, Talitha si fermò con un gemito al centro della strada. Sentì le ossa scricchiolare, e il dolore la inchiodò a terra per qualche secondo. Si tirò su a fatica, si tastò le costole, ma sebbene le facesse male ovunque le sembrava che le ossa fossero intatte. Corse verso Saiph.
«Tutto bene?» gli chiese piano. Il suo volto era più pallido del solito, ma sebbene fosse evidentemente segnato dalla paura, non c’era traccia di dolore nei suoi lineamenti.
«Questo devi dirmelo tu» rispose.
Talitha capì all’istante. Un...