La tela di Carlotta
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La tela di Carlotta

  1. 208 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La tela di Carlotta

Informazioni su questo libro

Può un maiale essere amico di un ragno? Certo che sì, se il maiale è un cucciolo come Wilbur e il ragno si chiama Carlotta. Il primo, vivacissimo e curioso, è stato adottato dalla piccola Fern, la seconda, saggia e affettuosa ha un grande talento per la tessitura delle tele. Sarà proprio lei a escogitare un fantasioso piano per salvare la vita dell'amico. E alla fine Fern capirà che gli animali sono più vicini di noi al senso della vita.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804607731
eBook ISBN
9788852018244

PREPARATIVI PER LA FIERA

La vigilia della Fiera della Contea tutti andarono a dormire molto presto. Fern e Avery erano già a letto alle otto. Avery sognava che la Grande Ruota si era fermata e che lui si trovava nella carrozzella più alta; Fern stava sognando di sentirsi male sulla giostra.
Lurvy s’era coricato alle otto e mezzo, e ora sognava di colpire con le palle un gatto di stoffa e di vincere una coperta navajo. Gli Zuckerman erano a letto dalle nove; la signora Zuckerman sognava un frigorifero ultimo modello. Il signor Zuckerman vedeva in sogno Wilbur cresciuto fino a diventare lungo trentacinque metri e alto ventotto. Aveva vinto tutti i premi della fiera ed era ricoperto di fiocchi azzurri; ne aveva persino uno legato all’estremità della coda.
Anche nel fienile tutti andarono a dormire presto; tutti gli animali, meno Carlotta. L’indomani sarebbe stato il giorno della fiera e gli amici di Wilbur avevano in programma di alzarsi in tempo per salutare il maiale che partiva per la sua grande avventura.
Il mattino dopo ci fu una levata generale all’alba. Si annunciava una giornata calda. In casa Arable, Fern si trascinò in camera un paiolo d’acqua bollente e si portò dietro la spugna; poi indossò il suo vestito più carino perché sapeva che alla fiera ci sarebbero stati dei ragazzi. La signora Arable strofinò il collo di Avery, gli bagnò i capelli, li divise, poi li spazzolò energicamente, finché riuscì a farglieli rimanere incollati sulla testa, tutti meno sei che si rizzarono subito. Avery indossò della biancheria di bucato, dei blue jeans puliti e una camicia fresca. Il signor Arable si vestì, fece colazione, e poi uscì a lavare il suo camion, col quale si era offerto di trasportare tutti alla fiera, compreso Wilbur.
Tutto tirato a lucido e mattiniero, Lurvy mise della paglia pulita nella gabbia di Wilbur e la trasportò nel porcile. La gabbia era verde e portava scritto, a lettere dorate:
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IL FAMOSO MAIALE DEGLI ZUCKERMAN
Per l’occasione, Carlotta aveva abbellito ancor più la sua tela. Wilbur mangiò lentamente la sua colazione: cercava di mantenersi radiante, senza che il cibo gli finisse nelle orecchie.
Improvvisamente, mentre erano in cucina, la signora Zuckerman annunciò: — Homer, vado a fare un bagno di siero di latte al maiale.
— Un cosa? — chiese il signor Zuckerman.
— Un bagno di siero di latte. Mia nonna usava lavare il suo maiale col siero di latte, quand’era sudicio. Me ne sono ricordata proprio ora.
— Wilbur non è sudicio — disse il signor Zuckerman con orgoglio.
— Ha le croste dietro alle orecchie — disse la signora Zuckerman. — Ogni volta che Lurvy gli dà da mangiare, la broda gli cola intorno alle orecchie; poi si asciuga e così si forma una crosta. E poi ha una grande chiazza di sudiciume su un fianco, dove si distende nel concime.
— Sulla paglia pulita — la corresse subito il signor Zuckerman.
— Be’, è sudicio e ha bisogno di un bagno.
Il signor Zuckerman si sedette scoraggiato e mangiò la sua schiacciata.
Sua moglie andò nella legnaia e ne ritornò calzata di un paio di stivali di gomma e avvolta in un vecchio impermeabile. Portava un secchio di siero di latte e una palettina di legno.
— Sei matta, Edith — le borbottò dietro il signor Zuckerman.
Ma lei non gli badò. Si avviarono insieme al porcile. La signora Zuckerman non perse tempo: entrò nel recinto con Wilbur, e cominciò il suo lavoro. Inzuppando la paletta nel siero di latte, prese a strofinarlo dappertutto. Le oche si raccolsero tutt’intorno per godersi la scena, seguite dalle pecore e dagli agnelli, e perfino Templeton fece prudentemente capolino per vedere Wilbur fare un bagno di siero di latte. Carlotta poi ne fu così incuriosita, che si calò su un filo di sostegno per poter osservare meglio. Il maiale stava immobile, a occhi chiusi, sentendo il latte scorrergli lungo i fianchi. Aprì la bocca, e inghiottì qualche goccia di siero: era delizioso. Wilbur si sentiva davvero radiante e felice.
Quando la signora Zuckerman finì di lavarlo e l’asciugò, era il più pulito e il più grazioso maialino che si fosse mai visto. Tutto candido, rosa intorno alle orecchie e al grugno, morbido come la seta.
Gli Zuckerman tornarono in casa per indossare i loro vestiti della festa. Lurvy andò a farsi la barba e s’infilò la sua camicia a scacchi, con la cravatta rossa. Gli animali furono abbandonati a se stessi nel fienile.
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I sette paperotti giravano senza posa intorno alla loro mamma.
— Prego, prego, prego, portaci alla fiera! — implorò uno. E allora tutti e sette fecero coro lamentosamente intorno a lei. — Prego, prego, prego, prego, prego, prego, prego. — Un baccano del diavolo.
— Bambini! — urlò l’oca. — Ce ne staremo invece tranquilli-illi-illi a casa. Solo Wilbur-ur-ur andrà alla fiera.
Ma Carlotta l’interruppe.
— Anch’io ci andrò — disse dolcemente. — Ho deciso di accompagnare Wilbur. Può aver bisogno di me: non si sa mai cosa può capitare a una fiera; ed è necessario che ci vada uno che sa scrivere. Inoltre penso che sarebbe bene che venisse anche Templeton: potrebbe essermi utile qualcuno che faccia da galoppino ed esegua incarichi d’ordine generale.
— Io invece me ne starò proprio qua — borbottò il topo. — Le fiere non mi interessano affatto.
— Dici così perché non ne hai mai visto una — gli fece notare la vecchia pecora. — Una fiera è il paradiso dei topi: tutti lasciano cadere del cibo a terra, e un topo può sgusciar fuori a tarda notte e farsi un bel festino. Nella scuderia troverai l’avena che cavalli da trotto e da passeggio hanno lasciato cadere. Nell’erba calpestata dei prati troverai vecchie gavette sconquassate con dentro sudici avanzi di tartine al burro, di noccioline, di uova sode, briciole di cracker, bocconi di schiacciata e pezzetti di formaggio. Tra l’immondizia ammucchiata alla meglio nel viale, dopo che le brillanti luci si sono spente e la gente è andata a dormire, troverai un vero e proprio tesoro di frammenti di pop-corn, di gocce di crema ghiacciata, di mele candite abbandonate da bambini stanchi, di cristalli di zucchero filato, di mandorle salate, di ghiaccioli, di coni da gelato mezzi masticati, di bastoncini di legno dei lecca-lecca. Dappertutto giace un ricco bottino per un topo. Ogni fiera ha dei resti abbastanza disgustosi da soddisfare un intero esercito di topi!
A Templeton brillavano gli occhi. — È vero? — chiese pieno di entusiasmo. — Questa tua descrizione appetitosa è vera? Mi piace un “alto tenore di vita”, e quel che dici mi affascina.
— È vero — confermò la vecchia pecora. — Va’ alla fiera, Templeton, e troverai che il tenore di vita a una fiera è superiore alle tue più esagerate aspirazioni. Secchi colanti di bibite agrodolci, scatolette con pezzettini di carne e di tonno, involti di carta unta con resti rancidi di…
— Basta! — strillò Templeton. — Non voglio sentir altro! Ci andrò.
— Bene — disse Carlotta, ammiccando alla vecchia pecora. — Via, allora… non c’è tempo da perdere: Wilbur sarà messo fra poco nella gabbia, e Templeton e io dobbiamo cercare di nasconderci.
Il topo non perse un minuto di tempo: si arrampicò in un batter d’occhio sulla gabbia, s’insinuò tra le assi e si tirò addosso la paglia, così da rimaner nascosto agli sguardi.
— Bene — concluse Carlotta. — Ora tocca a me. — Veleggiò nell’aria, emise un filo di sostegno e si calò dolcemente a terra. Poi si arrampicò lungo un fianco della gabbia e infine si rintanò in un foro dell’asse più alta.
La vecchia pecora li salutò. — Che carico! — disse. — L’insegna dovrebbe suonare: Il famoso maiale degli Zuckerman e due clandestini!
— Attenzione! Stanno arrivando-ando-ando! — strillò il papero. — Smettetela-tetela-tetela!
Il grosso camion guidato dal signor Arable scese lentamente facendo retromarcia verso lo spiazzo di fronte al fienile. Lurvy e il signor Zuckerman gli camminavano a lato, mentre Fern e Avery stavano ritti dentro al cassone, reggendosi alle fiancate.
— Stammi a sentire! — sussurrò a Wilbur la vecchia pecora. — Quando apriranno la gabbia e tenteranno di fartici entrare, tu opponi resistenza! Non lasciarti metter dentro senza lottare: i maiali si ribellano sempre quando stanno per essere caricati.
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— Ma mi sporcherò tutto! — disse preoccupato Wilbur.
— Fa’ quel che ti dico! Lotta! Se dovessi entrare nella gabbia senza ribellarti, Zuckerman potrebbe pensare che sei stregato. Potrebbe aver paura di andare alla fiera.
Templeton fece capolino tra la paglia.
— Resisti, se devi — disse — ma ricordati per cortesia che io sono nascosto in fondo alla gabbia e che non ho la minima voglia di venir calpestato, o di ricevere un calcio in faccia, o di essere scazzottato, spiaccicato, malmenato, contuso, ferito, escoriato, o comunque colpito. Attento insomma a quel che fai, Mister Radiante, quando ti spingeranno dentro!
— Sta’ buono, Templeton! — ammonì la pecora. — Ritira la testa… stanno arrivando. Mostrati radiante, Wilbur! Sta’ giù, Carlotta! E voi oche, fate un po’ di baccano!
Il camion indietreggiò lentamente fino al porcile, e si fermò. Il signor Arable spense il motore, scese e andò ad abbassare il parapetto posteriore. Le oche si misero a schiamazzare. Anche la signora Arable uscì dal camion, mentre Fern e Avery saltarono a terra. La signora Zuckerman li raggiunse a piedi, da casa, e tutti si addossarono al recinto e rimasero un momento in ammirazione di Wilbur e della splendida gabbia verde. Nessuno si accorse che la gabbia ospitava già un topo e un ragno.
— Che maiale! — esclamò la signora Arable.
— Favoloso — osservò Lurvy.
— Davvero radiante — aggiunse Fern, ricordandosi del giorno in cui era nato.
— Be’ — disse la signora Zuckerman — almeno è pulito. Il siero gli ha fatto un gran bene.
Il signor Arable osservò attentamente Wilbur.
— Sì, è proprio un maiale magnifico — disse. — È difficile credere che sia stato il più piccolo della figliata. Ne ricaverai del lardo e del prosciutto sopraffini, Homer, quando verrà il tempo di ammazzarlo.
A queste parole, il cuore di Wilbur fu sul punto di fermarsi.
— Mi sembra di svenire — sussurrò alla vecchia pecora, che assisteva alla scena.
— Buttati in ginocchio! — gli bisbigliò questa. — Fa’ che il sangue ti vada alla testa!
Wilbur si piegò sulle ginocchia: tutta la sua radiosità se n’era andata. Gli si chiusero gli occhi.
— Guardate! — gridò Fern. — Sta svenendo!
— Ehi, attenzione! — strillò Avery, cacciandosi a quattro zampe nella gabbia. — Sono un maiale! Sono un maiale!
Un piede di Avery urtò Templeton sotto la paglia.
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“Che guaio!” pensò il topo. “I ragazzi sono proprio fantastici! Chi me l’ha fatto fare di cacciarmi in un pasticcio simile!”
Le oche videro Avery e presero a schiamazzare.
— Avery, esci immediatamente dalla gabbia! — gli ordinò sua madre. — Cosa credi di essere?
— Un maiale! — strillò Avery, gettando in aria manciate di paglia, e grugnendo.
— Papà, il camion se ne va! — gridò Fern.
Infatti l’autocarro, senza nessuno al volante, aveva cominciato a scivolare per il declivio. Il signor Arable si precipitò al posto di guida e tirò il freno a mano, facendolo fermare. Le oche applaudirono schiamazzando. Carlotta si rannicchiò nel suo buco e si fece più piccina che poté, perché Avery non la scorgesse.
— Vieni subito fuori! — urlò la signora Arable. E Avery uscì dalla gabbia trascinandosi carponi e facendo le boccacce a Wilbur. Wilbur svenne.
— Il maiale è svenuto — disse la signora Zuckerman. — Gettategli addosso dell’acqua!
— Gettategli addosso del siero! — suggerì Avery.
Lurvy corse a prendere un secchio d’acqua. Fern entrò nel porcile scavalcando il recinto e si inginocchiò accanto a Wilbur.
— È un colpo di sole — disse il signor Zuckerman. — Fa troppo caldo per lui.
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— Forse è morto — suggerì Avery.
— Esci da quel porcile di corsa! — gridò la signora Arable. Avery obbedì e si arrampicò sul retro del camion per poter assistere meglio alla scena. Lurvy tornò con l’acqua e la rovesciò addosso a Wilbur.
— Un po’ addosso anche a me! — strillò Avery. — Anch’io ho caldo!
— Oh, sta’ un po’ zi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La tela di Carlotta
  3. Prima di colazione
  4. Wilbur
  5. Evasione
  6. Solitudine
  7. Carlotta
  8. Estate
  9. Cattive nuove
  10. Quattro chiacchiere in famiglia
  11. Una bravata di Wilbur
  12. Un’esplosione
  13. Il miracolo
  14. Un’adunanza
  15. Progressi
  16. Il dottor Dorian
  17. I grilli
  18. Preparativi per la fiera
  19. Zio
  20. Sera
  21. Il capolavoro di Carlotta
  22. L’ora del trionfo
  23. Ultimo giorno
  24. Vento caldo
  25. Copyright