L'indice della paura
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L'indice della paura

  1. 288 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'indice della paura

Informazioni su questo libro

È notte fonda quando il dottor Alex Hoffmann viene aggredito da uno sconosciuto che si introduce di nascosto nella sua residenza di Ginevra. A quarantadue anni Hoffmann è una leggenda: scienziato tra i più noti al mondo, è ora un ricco e potente uomo d'affari proprietario di una società che gestisce fondi d'investimento, e ha da poco creato un software sofisticatissimo e top secret, destinato a rivoluzionare i mercati finanziari di tutto il mondo. Nessuno dei suoi rivali sa come, ma il sistema che Hoffmann ha messo a punto e che ruota intorno al VIX - l'indice di volatilità, familiarmente chiamato dagli addetti ai lavori "indice della paura" - genera un incredibile ritorno in termini economici per i suoi clienti. Qualcosa, però, evidentemente non funziona: qualcuno vuole distruggerlo e l'aggressione del professore è solo il primo di una serie di accadimenti sconcertanti. Nel giro di ventiquattr'ore Hoffmann non è più lo stesso uomo e, mentre i mercati finanziari intorno a lui precipitano, ha inizio una lotta senza esclusione di colpi contro un avversario sconosciuto e per questo ancora più temibile.
Ambientato nel competitivo mondo dell'alta finanza scosso dalla profonda crisi economica mondiale di questi ultimi anni, L'indice della paura è un thriller mozzafiato e di grande attualità che riconferma Robert Harris come uno straordinario narratore e un acuto osservatore della società contemporanea.

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Informazioni

1

Impari da me, se non dai miei precetti almeno dal
mio esempio, quanto è pericolosa l’acquisizione
della conoscenza, e quanto è più felice l’uomo che
crede che il suo paesino sia tutto il mondo, rispetto
all’uomo che aspira a una grandezza maggiore
di quella che la sua natura gli concede.
MARY SHELLEY, Frankenstein, 1818
Il dottor Alexander Hoffmann era seduto vicino al fuoco nel suo studio di Ginevra, un sigaro fumato a metà ormai spento nel posacenere al suo fianco e una lampada Anglepoise a braccio snodato abbassata sopra la spalla, mentre sfogliava le pagine di una prima edizione dell’Espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali di Charles Darwin. L’orologio vittoriano del nonno all’entrata stava rintoccando la mezzanotte, ma Hoffmann non lo sentì. Né notò che il fuoco era quasi spento. Tutta la sua formidabile capacità di concentrazione era focalizzata sul libro.
Sapeva che era stato pubblicato a Londra nel 1872 da John Murray & Co. in un’edizione di settemila copie stampate in due tirature. Sapeva anche che nella seconda tiratura era stato introdotto un errore di stampa: “qeullo”, a pagina 208. Poiché il volume che aveva tra le mani non conteneva quel refuso, presumeva che dovesse far parte della prima tiratura, il che ne accresceva considerevolmente il valore. Lo girò e ne studiò il dorso. La rilegatura era nell’originale tessuto verde con le lettere dorate, le estremità leggermente sfilacciate. Era quella che nel mondo dei bibliofili era considerata una “buona copia”, del valore di circa quindicimila dollari. L’aveva trovata ad aspettarlo quella sera al suo rientro dal lavoro, non appena i mercati di New York avevano chiuso, poco dopo le dieci di sera. Il fatto strano era che, sebbene collezionasse prime edizioni di opere scientifiche, avesse letto diverse cose riguardo al libro e fosse intenzionato ad acquistarlo, in realtà lui non lo aveva ordinato.
Il suo primo pensiero era stato che si trattasse di un regalo della moglie, ma lei aveva negato. Dapprincipio non le aveva creduto e l’aveva seguita per la cucina mentre lei apparecchiava la tavola, porgendole il libro perché lo guardasse.
“Davvero non l’hai comprato per me?”
“No, Alex, mi dispiace ma non sono stata io. Che cosa posso dire? Forse hai un’ammiratrice segreta.”
“Ne sei assolutamente sicura? Non è che oggi è il nostro anniversario o qualche altra ricorrenza? Ho dimenticato di farti un regalo?”
“Per l’amor del cielo, Alex, non l’ho comprato io, okay?”
Era arrivato senza alcun messaggio, a parte un biglietto di una libreria olandese: “Rosengaarden & Nijenhuise. Libri medici e scientifici antichi. Fondata nel 1911. Prinsengracht 227, 1016 HN Amsterdam, Olanda”. Hoffmann aveva schiacciato il pedale del cestino e aveva recuperato la carta da imballo. L’indirizzo sul pacchetto era corretto; sull’etichetta stampata c’era scritto: “Dr Alexander Hoffmann, Villa Clairmont, 79 Chemin de Ruth, 1223 Cologny, Ginevra, Svizzera”. Era stato spedito con un corriere il giorno prima da Amsterdam.
Dopo aver cenato – tortino di pesce e insalata verde preparati dalla domestica prima che andasse a casa – Gabrielle era rimasta in cucina per fare le ultime telefonate prima della mostra dell’indomani, mentre Hoffmann si era ritirato nel suo studio portando con sé il misterioso libro. Un’ora più tardi, quando lei infilò la testa nella stanza per avvisarlo che andava a letto, stava ancora leggendo.
«Cerca di non fare troppo tardi, tesoro. Ti aspetto sveglia.»
Lui non rispose. Gabrielle rimase sulla soglia e lo osservò per un momento. Dimostrava meno dei suoi quarantadue anni ed era da sempre più bello di come si considerava: una qualità che lei trovava tanto affascinante quanto rara in un uomo. Si era resa conto che non si trattava di modestia, bensì del fatto che Alexander era del tutto indifferente a qualunque cosa non lo impegnasse intellettualmente, un atteggiamento per cui gli amici di lei lo consideravano un tipo decisamente scortese. Ma a Gabrielle piaceva anche questo. La sua faccia da eterno ragazzino dai lineamenti tipicamente americani era china sul libro, gli occhiali erano tirati indietro sulla testa e poggiavano sui folti capelli castano chiaro: catturando la luce del caminetto, le lenti parvero lanciarle un segnale di avvertimento. Lei aveva di meglio da fare che cercare di interromperlo. Sospirò e si avviò al piano superiore.
Hoffmann sapeva da anni che L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali era stato uno dei primi libri fotografici pubblicati, ma fino allora in realtà non aveva mai visto quelle immagini. Le tavole in bianco e nero ritraevano modelli di artisti d’epoca vittoriana e pazienti internati nel manicomio del Surrey in differenti stati emozionali: dolore, disperazione, gioia, disprezzo, terrore. L’idea era quella di cogliere l’animalità dell’homo sapiens, spogliato della maschera del savoir-vivre. I soggetti, pur vivendo in una fase sufficientemente avanzata dell’età della scienza per essere fotografati, con gli occhi asimmetrici e i denti storti avevano l’aspetto di astuti e superstiziosi contadini del Medioevo. Ricordavano a Hoffmann un incubo infantile: adulti usciti da un vecchio libro di fiabe che potevano portarti via dal tuo letto di notte e trascinarti nel bosco.
E c’era un’altra cosa che lo turbava. Il biglietto della libreria era stato infilato fra le pagine dedicate all’emozione della paura, come se chi gli aveva mandato il volume volesse attirare la sua attenzione:
L’uomo spaventato resta in sul principio immobile al par d’una statua, soffocando il respiro, oppure istintivamente si rannicchia per togliere di venire scoperto. Il cuore martella rapidi colpi e violenti e solleva il petto...
Quando pensava, Hoffmann aveva l’abitudine di piegare la testa di lato e fissare lo sguardo a mezza distanza, e adesso lo stava facendo. Si trattava di una coincidenza? Doveva essere così. D’altra parte gli effetti psicologici della paura erano talmente importanti ai fini del VIXAL-4, il progetto in cui era impegnato in quel momento, che il fatto lo colpì particolarmente. E il VIXAL-4 era ancora coperto dalla massima segretezza, conosciuto solo dai componenti del suo team di ricerca; e, anche se provvedeva a pagarli profumatamente – il salario di partenza era di centocinquantamila dollari e poteva crescere in modo sostanzioso con i bonus –, era decisamente improbabile che qualcuno di loro avesse speso quindicimila dollari per un regalo anonimo. Una persona che di sicuro poteva permetterselo, che sapeva tutto del progetto e che sarebbe stata capace di fargli uno scherzo simile – ammesso che si trattasse di uno scherzo costoso – era il suo socio in affari, Hugo Quarry. Così Hoffmann, senza nemmeno pensare all’orario, lo chiamò.
«Ciao, Alex. Come va?» Anche se Quarry avesse trovato strano essere disturbato appena dopo mezzanotte, con la sua educazione impeccabile non lo avrebbe mai lasciato trasparire. Inoltre era abituato alle maniere di Hoffmann, “il professore pazzo”, come lo chiamava sia apertamente sia alle spalle, perché faceva parte del suo fascino parlare a tutti nello stesso modo, in pubblico e in privato.
«Oh, ciao. Mi hai appena comprato un libro?» chiese distrattamente Hoffmann, ancora impegnato a leggere la descrizione della paura.
«Non credo, vecchio mio. Perché? Avrei dovuto?»
«Qualcuno mi ha appena spedito una prima edizione di un’opera di Darwin, ma non so chi sia.»
«Dovrebbe avere un discreto valore.»
«È così. Ho pensato che potessi essere tu perché sai quant’è importante Darwin per il VIXAL
«No, mi dispiace. Potrebbe trattarsi di un cliente? Un regalo di ringraziamento? Solo Dio sa, Alex, quanti soldi gli abbiamo fatto guadagnare.»
«Sì, be’, forse. D’accordo. Scusa il disturbo.»
«Non ti preoccupare. Ci vediamo domani mattina. Domani è il gran giorno. In realtà è già domani. Dovresti essere a letto.»
«Certo. Ora ci vado. ’Notte.»
Allorché lo spavento giunge al massimo grado, ne sorge l’orribile grido del terrore. Grossi goccioloni di sudore solcan la pelle. Si rilasciano tutti i muscoli del corpo. Prostrazione rapida e completa: le facoltà mentali sospese. Le intestina ne sono impressionate; gli sfinteri non sanno più agire e lasciano sfuggire le escrezioni...
Hoffmann si portò il libro al naso e inalò. Un miscuglio di pelle, polvere di biblioteca e fumo di sigaro così penetrante che si poteva assaporarlo, con una debole punta di qualcosa di chimico: formaldeide, forse, o gas illuminante. Gli fece venire in mente un laboratorio del diciannovesimo secolo o un’aula ad anfiteatro e per un istante vide bruciatori Bunsen su piani d’appoggio in legno, beute di acido e lo scheletro di una scimmia. Infilò nel volume il biglietto della libreria per marcare la pagina e lo richiuse con cura. Poi lo portò verso gli scaffali e con due dita creò delicatamente uno spazio tra una prima edizione dell’Origine delle specie, che aveva acquistato a New York a un’asta di Sotheby’s per centoventicinquemila dollari, e una copia rilegata in pelle dell’Origine dell’uomo, appartenuta un tempo a T.H. Huxley.
Più tardi avrebbe cercato di ricordare la sequenza esatta di ciò che aveva fatto in seguito. Si collegò al terminale Bloomberg per le ultime quotazioni negli Stati Uniti: Dow Jones, S&P 500 e NASDAQ avevano tutti chiuso al ribasso. Ebbe uno scambio di e-mail con Susumu Takahashi, l’operatore di turno quella notte per il progetto VIXAL-4, il quale gli riferì che tutto procedeva senza intoppi e gli ricordò che la Borsa di Tokyo avrebbe riaperto entro due ore, al termine dei tre giorni di chiusura per l’annuale festa della Settimana d’Oro, certamente in ribasso per rimettersi in pari dopo una settimana di caduta dei prezzi in Europa e negli Stati Uniti. E c’era un’altra cosa: il VIXAL stava proponendo di vendere allo scoperto altri tre milioni di azioni Procter and Gamble a sessantadue dollari ciascuna, per un totale complessivo di sei milioni. Un grande affare. Hoffmann approvava? Lui digitò “okay”, gettò via il sigaro non finito, sistemò un parascintille in metallo davanti al caminetto, spense le luci dello studio e uscì. All’entrata controllò che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave e poi attivò l’impianto antifurto. Lasciò solamente una luce accesa al pianterreno – di questo era sicuro –, poi salì la scala curva in marmo bianco e andò in bagno. Si tolse gli occhiali, si svestì, si lavò la faccia e i denti e s’infilò un pigiama di seta blu. Regolò la sveglia sul telefono cellulare alle sei e mezzo, notando mentre lo faceva che la mezzanotte era passata da venti minuti.
In camera da letto fu sorpreso di trovare Gabrielle ancora sveglia, sdraiata di schiena sul copriletto in un kimono di seta nera. Se non fosse stato per una candela profumata che tremolava sulla toeletta, la stanza sarebbe stata al buio. Le mani di lei erano intrecciate dietro la nuca, i gomiti puntati in direzioni divergenti, le gambe incrociate alle ginocchia. Un piede bianco snello, con le unghie dipinte di rosso scuro, stava disegnando cerchi impazienti nell’aria fragrante.
«Oddio» disse Hoffmann. «Mi sono dimenticato l’appuntamento.»
«Non ti preoccupare.» Gabrielle sciolse il nodo della cintura e aprì il kimono, poi tese le braccia verso di lui. «Io non lo dimentico mai.»
Dovevano essere quasi le quattro del mattino quando accadde qualcosa che svegliò Hoffmann. Uscì lottando da un sonno profondo e non appena aprì gli occhi si trovò davanti la visione celestiale di una luce bianca incandescente. Aveva la forma geometrica di un grafico, con linee orizzontali sottilmente spaziate e colonne verticali ben distanziate, ma senza dati trascritti: il sogno di un matematico. In realtà non era un sogno, si rese conto dopo averla guardata di traverso per alcuni secondi, bensì il risultato degli ottocentocinquanta watt delle luci alogene di sicurezza al tungsteno che brillavano attraverso le stecche delle persiane avvolgibili. Una potenza sufficiente a illuminare un piccolo campo da calcio; avrebbe dovuto farle cambiare.
Il timer collegato all’impianto era impostato sui trenta secondi. Mentre aspettava che le luci si spegnessero, Hoffmann rifletté su che cosa avesse interferito con i raggi infrarossi in giardino facendole scattare. Poteva trattarsi di un gatto o di una volpe, o forse era stato il fogliame mosso dal vento. Dopo alcuni secondi in effetti si smorzarono e la stanza ripiombò nell’oscurità.
Ma ormai Hoffmann era sveglio come un grillo. Si allungò a prendere il cellulare: era stato configurato appositamente per potersi collegare all’hedge fund ed era in grado di criptare alcune telefonate e e-mail sensibili. Per non disturbare Gabrielle – che detestava questa sua abitudine ancor più di quanto odiasse il vizio del fumo – lo accese sotto il piumino e controllò rapidamente la schermata “Profitti e Perdite” per le contrattazioni dell’Estremo Oriente. Come previsto, i mercati a Tokyo, Singapore e Sydney erano in caduta, ma il VIXAL-4 era già salito dello 0,3 per cento, che in base ai suoi calcoli corrispondeva per lui a un guadagno di quasi tre milioni di dollari da quando era andato a letto. Soddisfatto, spense il cellulare e lo posò sul comodino. Fu allora che sentì un rumore: lieve, non identificabile e tuttavia stranamente fastidioso, come se qualcuno si stesse muovendo di sotto.
Con lo sguardo incollato al minuscolo puntino di luce rossa del rilevatore di fumo fissato al soffitto, allungò la mano con lentezza sotto il piumino verso Gabrielle. Negli ultimi tempi, dopo che avevano fatto l’amore, se non riusciva ad addormentarsi, lui aveva preso l’abitudine di scendere nel suo studio a lavorare. Il palmo attraversò le tiepide ondulazioni del materasso finché le punte delle dita sfiorarono la pelle della sua anca. Lei mormorò immediatamente qualcosa di incomprensibile, si girò dandogli la schiena e si strinse il piumino intorno alle spalle.
Il rumore si ripeté. Hoffmann si sollevò sui gomiti e tese l’orecchio. Non era niente di specifico: un colpo debole e sporadico. Poteva trattarsi semplicemente del nuovo impianto di riscaldamento che ancora non gli era familiare o di una porta mossa da una corrente d’aria. In quel momento si sentiva ancora abbastanza calmo. La sicurezza della casa era formidabile, e questo era uno dei motivi che l’avevano convinto ad acquistarla alcune settimane prima: oltre ai riflettori, c’erano un muro perimetrale alto tre metri con pesanti cancelli automatici, una porta principale blindata con serratura a combinazione, vetri antiproiettile a tutte le finestre del pianterreno e un impianto antifurto sensibile al movimento che era sicuro di avere attivato prima di andare a letto. Le possibilità che un intruso avesse superato tutto questo e fosse penetrato all’interno erano minime. Inoltre, Hoffmann era fisicamente in forma: aveva constatato da tempo che alti livelli di endorfine gli permettevano di pensare meglio. Faceva ginnastica. Andava a correre. In lui si era sviluppato l’istinto atavico di proteggere il proprio territorio.
Scivolò fuori dal letto senza svegliare Gabrielle e inforcò gli occhiali, la vestaglia e le pantofole. Esitò, scrutò intorno nell’oscurità, ma nella stanza non riuscì a individuare nulla che potesse impiegare come arma. S’infilò il cellulare in tasca e aprì la porta: prima uno spiraglio, poi completamente. La luce proveniente dalla lampada al pianterreno lanciava un debole bagliore lungo il pianerottolo. Si fermò sulla soglia, in ascolto. Ma i suoni – se mai c’erano stati, cosa della quale iniziava a dubitare – erano cessati. Dopo circa un minuto raggiunse la scala e cominciò a scendere molto lentamente.
Forse era l’effetto della lettura di Darwin appena prima di addormentarsi, ma mentre faceva gli scalini si ritrovò a registrare, con distacco scientifico, i propri sintomi fisici. Il respiro cominciava ad accorciarsi, il battito cardiaco stava accelerando al punto di diventare insopportabile e i capelli sembravano rigidi come setole.
Giunse al pianterreno.
La casa era una residenza in stile belle époque, costruita nel 1902 per un uomo d’affari francese che aveva fatto fortuna estraendo petrolio dagli scarti del carbone. Era stata curata nei minimi dettagli dal precedente proprietario, che l’aveva venduta completamente arredata, e forse era questa la ragione per cui Hoffmann non l’aveva mai sentita davvero sua. Alla sua sinistra c’era la porta principale e davanti a lui quella del salotto. Un passaggio alla sua destra conduceva alle altre stanze: sala da pranzo, cucina, biblioteca e un conservatory vittoriano che Gabrielle usava come studio. Lui era in piedi, perfettamente immobile, pronto a difendersi. Non sentiva niente. Da un angolo dell’ingresso il minuscolo occhio rosso del sensore di movimento ammiccò verso di lui. Se non fosse stato attento, avrebbe fatto scatt...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. RINGRAZIAMENTI