L'Uccel Belverde e altre fiabe italiane
eBook - ePub

L'Uccel Belverde e altre fiabe italiane

  1. 264 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

L'Uccel Belverde e altre fiabe italiane

Informazioni su questo libro

Un grande classico riccamente illustrato a colori.
Nella celebre raccolta delle Fiabe italiane, Calvino aveva per la prima volta messo insieme e tradotto dai vari dialetti il tesoro della tradizione fiabistica popolare degli ultimi cent'anni. Da quell'opera monumentale l'autore stesso ha tratto questa scelta dedicandola ai bambini. Attraverso gli incanti della narrazione si passa dalle "Fiabe per i piú piccini", come Gallo cristallo, alle "Fiabe per le bambine", come Rosmarina, dalle "Fiabe da far paura (appena appena, non tanto)", come Le nozze della regina e d'un brigante, alle "Fiabe in cui vince il piú furbo", come La barba del conte, dalle "Fiabe un po' da piangere", come L'Uccel Belverde, alle "Fiabe tutte da ridere", come Giufà, la luna, i ladri e le guardie.
Un corteo di personaggi e meraviglie in cui la voce inconfondibile del Calvino narratore si fonde perfettamente al "meccanismo esatto e misterioso" della fiaba.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a L'Uccel Belverde e altre fiabe italiane di Italo Calvino,Alessandro Sanna in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804606833
eBook ISBN
9788852018206

Fiabe un po’ da piangere

Due ragazzi, con tromba e violino, dentro la pancia di un cavallo di bronzo

Sfortuna

Una volta si racconta che c’era sette figlie tutte femmine, figlie d’un Re e d’una Regina. Venne una guerra al padre; perdette, gli levarono il trono e fu preso prigioniero. Prigioniero il Re, la famiglia traversò tempi brutti: la Regina per risparmiare lasciò il palazzo; si ridussero in una casupola; tutto andava a rovescio; trovavano da mangiare per miracolo. Un bel giorno passa un fruttivendolo; la Regina lo chiama per comprare un po’ di fichi; mentre sta comprando i fichi passa una vecchia e le chiede l’elemosina.
— Ah, Madre grande! — dice la Regina — potessi, altro che la carità vi farei: ma sono una poveretta anch’io, non posso.
— E com’è che siete poveretta? — le domanda la vecchia.
— Non sapete? Sono la Regina di Spagna, caduta in bassa fortuna per la guerra che fecero a mio marito!
— Meschinella, avete ragione. Ma la sapete la causa per cui tutto vi va a rovescio? Avete in casa una figlia che è proprio sfortunata, e finché la terrete in casa non potrà mai venirvi bene.
— E che dovrei mandar via una mia figlia, ora?
— Eh, sissignora.
— E chi è questa figlia sfortunata?
— Quella che dorme con le mani in croce. Stanotte andatele a guardare con la candela mentre dormono: quella che trovate con le mani in croce, dovete mandarla via. Solo così riguadagnerete i regni perduti.
A mezzanotte la Regina prende la candela e passa davanti ai letti delle sette figlie. Tutte dormono chi con le mani giunte, chi con le mani sotto la guancia, chi con le mani sotto il guanciale. Arrivò all’ultima, che era la più piccina: e la trovò che dormiva con le mani in croce. — Ah, figlia mia! Proprio te devo mandar via!
Mentre diceva questo, la figlia piccola si risveglia e vede la madre con la candela in mano e gli occhi lagrimosi. — Mammà, che avete?
— Niente, figlia mia. Venne una vecchia, così e così, e mi disse che avrò bene soltanto quando manderò via di casa la figlia sfortunata che dorme con le mani in croce… E questa sfortunata sei tu!
— E per questo piangete? — disse la figlia. — Io ora mi vesto e me ne vado. — Si vestì, fece un fagotto delle sue cose e se ne andò.
Cammina, cammina, arrivò a una landa solitaria, dove sorgeva soltanto una casa. S’avvicinò, sentì il rumore d’un telaio, e vide delle donne che tessevano.
— Vuoi entrare? — disse una delle tessitrici.
— Sissignora.
— Come ti chiami?
— Sfortuna.
— E ci vuoi servire?
— Sissignora.
E si mise a scopare e a fare i servizi della casa. Alla sera le donne le dissero: — Senti, Sfortuna: noi la sera usciamo, e ti chiudiamo da fuori, tu poi ti chiuderai da dentro. Quando torniamo noi apriremo da fuori e tu aprirai da dentro. E devi badare che non ci rubino la seta, i galloni e la tela che abbiamo tessuto. — E se ne andarono.
Venne la mezzanotte, e Sfortuna intese uno scroscio di forbici, andò al telaio con una candela e vide una donna con le forbici che tagliava dal telaio tutta la tela d’oro: e capì che era la sua Mala Sorte che l’aveva seguita fin lì. Alla mattina tornarono le padrone: loro aprirono da fuori, lei da dentro. E appena entrate videro per terra quello scempio. — Ah, svergognata! Quest’è la ricompensa per averti ospitato! Va’ via! Fuori! — E la cacciarono con una pedata.
Sfortuna camminò per la campagna. Prima d’entrare in un paese, si fermò davanti a una bottega di pane legumi vino ed altre cose. Domandò la carità; e la padrona della bottega le diede pane e toma, e un bicchiere di vino. Tornò il marito, n’ebbe compassione e disse di tenerla anche la sera e di farla dormire in bottega, in mezzo ai sacchi. I padroni dormivano di sopra, e nella notte sentirono un fracasso e si levarono: le botti erano stappate e il vino correva la casa. Il marito, a quel disastro, cercò la ragazza e la trovò sui sacchi che si lamentava come in sogno. — Svergognata! Questo non puoi esser stata che tu a farlo! — E cominciò a bastonarla con una stanga; poi la mandò via.
Senza sapere dove andare a sbattere, Sfortuna corse via piangendo. A giorno incontrò nella campagna una donna che lavava.
— Che hai da guardare?
— Sono spersa.
— E sai lavare?
— Sissignora.
— Allora resta a lavare con me; io insapono e tu risciacqui.
Sfortuna incominciò a sciacquare i panni e poi a stenderli. Man mano che asciugavano li andava raccogliendo. Poi si mise a rammendare, poi a inamidare, e da ultimo a stirarli.
Bisogna sapere che questi panni erano del Reuzzo. Quando il Reuzzo li vide, gli parvero una cosa bella davvero. — Gnà Francisca — disse — quando mai m’avete lavato così bene i panni! Stavolta vi meritate una mancia. — E le diede dieci onze.
La Gnà Francisca con quelle dieci onze vestì Sfortuna bella pulita, comprò un sacco di farina e fece il pane. Con l’ultima farina che le rimaneva fece due pani buccellati, pieni d’anice e sesamo, che dicevano mangiami mangiami. Disse a Sfortuna: — Con questi due pani buccellati, va’ alla riva del mare e chiama la mia Sorte, così: Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa!, per tre volte. Alla terza volta s’affaccerà la mia Sorte, tu le darai un pane buccellato e la saluterai da parte mia. Poi fatti insegnare dove sta la tua Sorte, e fa’ lo stesso con lei.
Sfortuna, passo passo, andò alla riva del mare.
— Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! Aaah! Sorte della Gnà Franciscaaa! — e la Sorte della Gnà Francisca venne. Sfortuna le fece l’ambasciata e le diede il pane buccellato. Poi le disse: — Sorte della Gnà Francisca, Vossignoria mi vuole fare la carità d’insegnarmi dove sta la mia Sorte?
— Sta’ a sentire: prendi per questo sentiero, va’ avanti un pezzo, troverai un forno; dietro alla scopa per spazzare il forno c’è nascosta una vecchia strega, pigliala con le buone, dalle il pane buccellato: è la tua Sorte. Vedrai che non lo vorrà, ti farà degli sgarbi: tu lasciaglielo e vieni via.
Sfortuna andò al forno, trovò la vecchia e quasi le venne schifo a veder quant’era sporca, cisposa e puzzolente. — Sorticella mia, vogliate favorire — le fece, offrendole il pane.
E la vecchia: — Va’ via, va’ via! Chi t’ha chiesto del pane! — e le voltò la schiena. Sfortuna posò lì il buccellato e se ne tornò a casa della Gnà Francisca.
L’indomani era lunedì, giorno di bucato: la Gnà Francisca metteva i panni a mollo e poi li insaponava; Sfortuna li stropicciava e li risciacquava, e dopo, quand’erano asciutti, li rammendava e li stirava. Una volta stirati, la Gnà Francisca li mise in un canestro e li portò a Palazzo. Il Reuzzo come li vide — Gnà Francisca — disse — a me non la date a bere; un bucato così voi non l’avete fatto mai — e le diede dieci onze di mancia.
La Gnà Francisca comprò altra farina, fece altri due buccellati e mandò Sfortuna a portarli alle loro Sorti.
Al bucato seguente, il Reuzzo, che si doveva maritare e ci teneva a che i panni fossero ben lavati, diede alla Gnà Francisca una mancia di venti onze. E la Gnà Francisca stavolta non comprò solo la farina per due pani, ma per la Sorte di Sfortuna comprò una bella veste col guardinfante, la gonnella, i fazzoletti fini e un pettine, della pomata pei capelli e altre cianfrusaglie.
Sfortuna andò al forno. — Sorticella mia, eccoti il buccellato.
La Sorte, che si stava ammansendo, venne brontolando a prendere il pane; allora Sfortuna le si buttò addosso, l’afferrò e si mise a lavarla con spugna e sapone, a pettinarla, a rivestirla da capo a piedi. La Sorte, dopo essersi divincolata come un serpente, quando si vide bella pulita in quel modo, cambiò da così a così. — Senti, Sfortuna — disse — per il bene che m’hai fatto ti regalo questo scrignetto — e le diede uno scatolino piccolo come quelli dei cerini.
Sfortuna volò a casa dalla Gnà Francisca e aprì lo scatolino. C’era dentro un palmo di gallone. Restarono un po’ deluse. — Oh! S’è proprio buttata via! — dissero e ficcarono il gallone in fondo a un canterano.
La settimana dopo, quando la Gnà Francisca portò il bucato al Palazzo, trovò il Reuzzo con la faccia scura. La lavandaia col Reuzzo era in confidenza e gli chiese: — Che hai, Reuzzo?
— Cos’ho! Ho che mi devo sposare e ora si scopre che all’abito di nozze della mia fidanzata manca un palmo di gallone, e in tutto il Regno non si trova del gallone uguale.
— Aspetta, Maestà — fece la Gnà Francisca. Corse a casa, frugò nel canterano e portò quel pezzo di gallone al Reuzzo. Lo confrontarono con quello dell’abito da sposa: era compagno.
Il Reuzzo disse: — Per avermi levato da una tale confusione, ti voglio pagare questo gallone a peso d’oro.
Prende una bilancia: da una parte mette il gallone, dall’altra l’oro. Ma l’oro non bastava mai. Riprova con una stadera: lo stesso.
— Gnà Francisca — disse alla lavandaia — ditemi la verità. Come mai un pezzetto di gallone pesa tanto? Di chi è?
La Gnà Francisca fu costretta a raccontare tutto e il Reuzzo volle vedere Sfortuna. La lavandaia fece vestire la ragazza per benino (a poco a poco avevano messo da parte un po’ di roba) e la portò a Palazzo. Sfortuna entrò nella stanza reale e fece una bella riverenza; era figlia di regnante e non era certo l’educazione che le mancava. Il Reuzzo la salutò la fece sedere e poi le chiese: — Ma tu, chi sei?
E Sfortuna allora: — Io sono la figlia minore del Re di Spagna, quello che fu cacciato dal suo trono e preso prigioniero. La mia mala ventura m’ha fatto andare spersa per il mondo soffrendo sgarbi, disprezzi e bastonate — e gli raccontò tutto.
Il Reuzzo, prima cosa, fece chiamare le tessitrici a cui la Mala Sorte aveva tagliato seta e galloni. — Quanto vi sono costati quei danni?
— Duecent’onze.
— Eccovi duecent’onze. Sappiate che questa povera giovane che avete battuto è figlia di regnanti. Tenetevelo per detto. Avanti!
E fece chiamare i padroni della bottega cui la Mala Sorte aveva spillato le botti. — E voi che danno avete avuto?
— Trecent’onze…
— Eccovi trecent’onze. Ma un’altra volta prima di dare bastonate a una figlia di regnanti, pensateci due volte. Via!
Licenziò la fidanzata di prima e si sposò con Sfortuna. Per Dama di Corte le diede la Gnà Francisca.
Lasciamo gli sposi contenti e felici e prendiamo la madre di Sfortuna. Dopo la partenza della figlia, la ruota cominciò a girare in suo favore: e un giorno arrivò suo fratello e i suoi nipoti alla testa di una forte armata e le riconquistarono il Regno. La Regina e i suoi figli tornarono a impalazzarsi al loro vecchio palazzo e riebbero tutte le comodità; ma c’era quel pensiero della figlia minore che non ne sapevano più poco né tanto. Ma intanto il Reuzzo, saputo che la madre di Sfortuna aveva riguadagnato il suo Regno, mandò gli Ambasciatori a dirle che sua figlia l’aveva sposata lui. La madre tutta contenta si mise in viaggio con Cavalieri, e Dame di Corte. Con Cavalieri e Dame di Corte la figlia le mosse incontro dalla sua parte. S’incontrarono al confine e s’abbracciarono per ore e ore, con le sei sorelle intorno tutte commosse e una gran festa nell’uno e nell’altro Regno.
(Palermo)

Bellinda e il Mostro

C’era una volta un mercante di Livorno, padre di tre figlie a nome Assunta, Carolina e Bellinda. Era ricco, e le tre figlie le aveva avvezzate che non mancasse loro niente. Erano belle tutte e tre, ma la più piccola era d’una tale bellezza che le avevano dato quel nome di Bellinda. E non solo era bella, ma buona e modesta ed assennata, quanto le sorelle erano superbe, caparbie e dispettose, e per di più sempre cariche d’invidia.
Bellinda e le sue due sorelle
Quando furono più grandi, andavano i mercanti più ricchi della città a chiederle per spose, ma Assunta e Carolina tutte sprezzanti li mandavano via dicendo: — Noi un mercante non lo sposeremo mai.
Bellinda invece rispondeva con buone maniere: — Sposare io non posso perché sono ancora troppo ragazza. Quando sarò più grande, se ne potrà riparlare.
Ma dice il proverbio: finché ci sono denti in bocca, non si sa quel che ci tocca. Ecco che al padre successe di perdere un bastimento con tutte le...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’Uccel Belverde e altre fiabe italiane
  4. Fiabe per i più piccini
  5. Fiabe per le bambine
  6. Fiabe da far paura (appena appena, non tanto)
  7. Fiabe tutte da ridere
  8. Fiabe un po’ da piangere
  9. Fiabe in cui vince il più furbo
  10. Nota
  11. Copyright