Con un poco di zucchero
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Con un poco di zucchero

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Con un poco di zucchero

Informazioni su questo libro

Giulia e Camilla, vecchie signore di nobili natali piene di vita, da anni condividono una volontaria reclusione in un grande appartamento fiorentino. Solo a Emiliano, il rosticciere con fattezze da orco, concedono l'accesso alla loro fortezza, perché le rifornisca di cibo scadente ma pagato a peso d'oro. Sdegnate dalla volgarità dei contemporanei, l'unica compagnia a cui per nulla al mondo rinuncerebbero è quella dei Lorocari, voraci e tozzi pesci della taiga che a volte assumono le sembianze dei loro affetti scomparsi.
Donne di antica bellezza, Giulia e Camilla si muovono con grazia in un regno di mobili in palissandro, morbide pellicce, fili di perle e straordinarie conchiglie, scampoli dei fasti di un passato glorioso, prigioniere del tempo e dei ricordi. E se i confini dello spazio reale si ritirano sempre più nell'antro ombroso del salotto, tutto ciò che le principesse possono fare è ampliare il territorio dei sogni. Per questo occorrono però abbondanti dosi di pozione magica. Tagliata bene, possibilmente. E, soprattutto, a domicilio. Ma cosa può succedere se Piero, il loro personale fornitore di zucchero incantato, muore all'improvviso? Le due dame si trovano costrette a prendere una decisione fatale: avventurarsi in città per procurarsi loro stesse la preziosa pozione necessaria per continuare a condurre una vecchiaia spensierata. Uno sbuffo di cipria e un velo di rossetto, indossati i copricapo migliori, eccole pronte ad affrontare il mondo con innata audacia.
L'impresa si rivela più difficile del previsto, e le due spavalde signore si trovano ben presto trascinate in una rocambolesca avventura, tra pestaggi, vendette, inseguimenti e cadaveri di cui sbarazzarsi, fino alla comparsa di un'intraprendente nipote mai vista prima: sarà lei la Nera Signora venuta a prenderle per riunirle ai Lorocari? Nel frattempo l'Arno gorgoglia e ribolle, le sue acque si trasformano in magma denso e la piena sale e sale...
Una commedia leggiadra e irriverente, nera come il caffè che sgorga dalla moka nella cucina delle due principesse, cristallina come la risata delle ragazze di una volta. Con acume ed eleganza Enzo Fileno Carabba ci regala un romanzo surreale e agrodolce, che attinge al passato per sorridere del presente, che esorcizza le nostalgie e si fa beffa di ogni angoscia: in fondo basta saper ridere, fino alle lacrime.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804607366
eBook ISBN
9788852018312

TERZA PARTE

La conquista della santità

Una visitatrice

Qualcuno c’era ad aspettarle.
Si presentava come il più derelitto fagotto che mai avesse sonnecchiato appoggiato a uno zaino, ma era una ragazza. Stava sul gradino di pietra, serena, davanti al portone, con enorme disinvoltura.
Le gambe le teneva piegate, con le ginocchia sulla corda e le altre cose lasciate lì dal fabbro, come richiesto qualche ora prima dalle principesse.
«Ha bisogno di qualcosa signorina?» le chiese Camilla quando furono a due metri di distanza.
Dovette ripetere la domanda perché quella indossava una cuffia da musica. Alla fine se la tolse e sollevò la testa. Aveva un ciuffo stirato di sbieco che le copriva un occhio ed era pallida. Mostrò un bellissimo sorriso.
«Questa è una di quelle che fingono di leggerti il contatore del gas e ti rubano i risparmi, te lo dico io» sussurrò Camilla, ma non tanto piano da non farsi sentire dalla ragazza. La quale invece – sorda o furba – sembrò non aver sentito.
Valutò velocemente le due donne, poi i suoi occhi si puntarono su Camilla.
«Zia!» esclamò con entusiasmo. Si alzò in piedi con un solo movimento, come srotolandosi verso l’alto, mostrando un’elasticità invidiabile su quelle gambe esili come giunchi. Fece per abbracciarle, con uno slancio che sembrava davvero ingenuo.
Le due si irrigidirono come pesci pietra, tanto che la ragazza non osò varcare la linea invisibile che le separava.
«Potremmo farla fuori e vendere gli organi?» disse Giulia, ma notò subito lo sguardo di disapprovazione di Camilla. Piuttosto potevano darla in pasto ai Lorocari, poverini.
«Certo è una sfrontata» osservò Giulia.
Forse qualche loro personalità latente faceva sul serio. Ma più che altro dicevano quelle cose esagerate perché erano preoccupate, la prospettiva di finire nelle mani di una truffatrice le impauriva.
Disse di chiamarsi Francesca e di essere la nipote di Ginevra. Ginevra era una preistorica sorella di Ernesto.
«La figlia della figlia di Ginevra, nientepopodimeno» commentò Camilla.
Per essere una truffatrice era ben informata.
Francesca disse che Ginevra era morta, che sua mamma era morta, che tutti erano morti, e in definitiva loro erano le ultime parenti che le rimanevano.
«Una storia davvero lacrimevole» disse Giulia.
Francesca raccontò che in casa parlavano spesso di Camilla, la zia Camilla era un mito in casa. E così lei, ora che non aveva più nessuno, aveva deciso che voleva conoscere ciò che restava della sua famiglia, e soprattutto questa mitica zia di cui tanto aveva sentito parlare nella sua infanzia che le pareva già di conoscerla.
Le principesse percepirono subito in lei un fondo di tristezza reale. D’altra parte con quell’orecchino alla bocca era normale che fosse triste. Ma era molto vivace, spostava il peso da una gamba all’altra, non stava mai veramente ferma.
Disse che era lì per aiutarle, sicuramente alla loro età un aiuto faceva comodo.
Questa notazione non piacque alle principesse ma non dissero nulla. La risposta fa la signora, ma a volte anche il silenzio fa la signora.
Insomma risultò che la ragazza era venuta per conoscerle, passare qualche giorno da loro e aiutarle a mettere in ordine la casa. Nel frattempo avrebbe visitato Firenze, un suo sogno da sempre.
«Allora, mi fate almeno vedere la casa?» chiese allegramente.
Giulia già pregustava la reazione gelida e imperiale della padrona di casa. Cosa avrebbe detto Camilla? Cosa avrebbe fatto?
«Cara, cosa fai impalata» disse invece Camilla all’amica. «Apri il portone.»
Francesca – o come si chiamava veramente – batté le mani e fece un saltino per l’entusiasmo. Poi si girò per prendere lo zaino.
Giulia guardò l’amica con sgomento. Come era possibile che stesse facendo entrare quella sconosciuta in CASA?
Era sconcertata dalla irritante disinvoltura della ragazza ma ancora di più dalla reazione pacifica di Camilla. Negli ultimi venti anni non aveva mai fatto nulla di paragonabile.
«Non possiamo stare qui sulla soglia» si giustificò assurdamente Camilla, «tutti ci stanno guardando. Non facciamoci notare.»
Chiese alla ragazza il favore di aiutarle a portare dentro la roba lasciata dal fabbro, poi lasciò fare tutto a lei.
Quando si furono richiuse il portone dietro le spalle e Francesca ebbe posato la corda e le altre cose nel corridoio, Camilla la fermò con un gesto imperioso e disse:
«E ora parliamoci chiaro, bambina. Non so chi sei.»
Quella cercò di protestare: glielo aveva detto chi era.
«Non so chi sei» ripeté Camilla con voce tagliente, chiudendo gli occhi. «Ma so che non entrerai in casa nostra. Però, per questa notte», riaprì gli occhi «puoi dormire qui nel corridoio, vicino al portone. In cambio ci aiuterai a sistemare questa roba» e indicò le cose portate dal fabbro, «ti dirà Giulia come fare. La zia Giulia» sottolineò con un sorrisetto. «E domani vai via e visiti Firenze. Sei d’accordo?»
Francesca sembrò interdetta ma poi recuperò un po’ del suo entusiasmo. «Me lo aveva detto la nonna che siete tipe strane» commentò, come se strane fosse il complimento più bello del mondo.
Giulia sorrise gratificata perché Camilla si era fidata del suo progetto senza conoscerlo.
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Le carrucole

In certi momenti, nell’ansa di quiete ombrosa del salotto, dove regnavano il pianoforte e la televisione col volume a zero, il mondo tornava a essere una distesa uniforme davanti a loro. Un oceano con gli orologi rotti.
Camilla faceva risuonare accordi solitari. Come pesci galleggianti a mezz’acqua. Per lei le immagini mute della televisione non erano altro che un’estensione fantasmatica del pianoforte. E Giulia guardava la carta da parati, sognando: per lei la televisione non era altro che un bagliore laterale. Aveva una tale riserva di sogni. Si staccava dal proprio corpo, camminava su ponti luminosi e arrivava ai tempi trascorsi, alle persone perdute, così vivide dentro di lei da farle pensare che davvero ci fosse qualche mondo in cui erano ancora vive, e non più realisticamente trasformate in grossi pesci della taiga. Ripensava alle cose che erano accadute. «E anche a quelle che avrebbero potuto accadere e non l’avevano fatto, accidenti a loro» recitò ad alta voce.
«Un’altra citazione, cara?»
Giulia con una delle sue sterzate cambiò subito argomento: «Ora non resta che sperare nel fiume», e chiuse gli occhi sospirando.
Era piena notte. La ragazza dormiva nel corridoio a pianterreno, stillante umidità. Un corridoio così signorile non doveva averlo mai visto, la truffatricella. Per quanto, a dire la verità, non sembrava venire dal popolo. Anche per questo l’avevano fatta entrare.
Le due sonnecchiavano, a tratti, ma non dormivano. In generale erano secoli che non dormivano ma sonnecchiavano. Nel caso particolare la cosa era accentuata dal fatto che i preparativi avevano messo in circolo mostruose energie, o forse era la pozione magica.
La ragazza le aveva aiutate con incredibile entusiasmo, come se fosse stato un grande gioco. Materialmente aveva fatto quasi tutto lei. Aveva un’aria così esile. Invece era forte.
«La usi come nipote di fatica» aveva detto Camilla a Giulia che impartiva gli ordini.
Francesca non discuteva le istruzioni e faceva pochissime domande.
D’altra parte lei lo sapeva che la zia Camilla era strana, era anzi di una stranezza leggendaria, un mito di famiglia, aveva detto Francesca eccitatissima. Stando ai suoi racconti, la sua famiglia non la esaltava affatto, l’unica eredità positiva erano le descrizioni della zia Camilla.
«Strana io!» disse Camilla a Giulia quando Francesca non sentiva. «Ma non si è vista? Con quella felpa coi teschietti rosa! Certo che come truffatrice è particolare. Quale truffatrice si sobbarcherebbe tutte queste fatiche?»
«Non pensi più che sia una truffatrice» fece Giulia dubbiosa.
«Se è una truffatrice è brava.»
«Perché l’hai fatta entrare?»
Oltre a rispondere a una domanda con un’altra domanda Giulia aveva un’altra caratteristica: se era lei a porre domande le ripeteva a oltranza. Era la quinta volta che glielo chiedeva e ogni volta Camilla dava risposte un po’ diverse.
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Succedeva che si facessero domande e si dessero risposte all’infinito, come se non si arrivasse mai a un punto fermo.
«Non lo so neanche io, mi è venuto così» disse Camilla.
«Eri una donna dagli impulsi improvvisi, generosi, ti ricordi?»
«Ha qualcosa quella ragazza... fin da subito... non sarà Lei?»
Quando alla televisione sentivano di qualche povero vecchio truffato della pensione stavano sempre dalla parte del truffatore. Apprezzavano anche il tipico religioso, prete o frate, che abusa delle credenti con la scusa di cacciare il demonio dal corpo. Chiodo scaccia chiodo, dicevano. Eran cose che le facevano tornare di buonumore.
Viceversa gli individui che volevano il bene le avevano sempre infastidite.
Una volta che avevano incontrato un boy scout che voleva aiutarle ad attraversare la strada Camilla aveva fatto finta di non capire cosa volesse:
«Fai parte di un gruppo neonazista?» gli aveva chiesto. Quello ci era rimasto malissimo. Per lei, chissà perché, qualunque adulto portasse i pantaloni corti faceva parte di un gruppo neonazista.
Francesca almeno si era presentata subito come una truffatrice.
«Del resto Lei non è altro che questo, non trovi? Una truffatrice» disse Camilla.
Prima di andare a dormire c’erano stati i lavori.
Giulia aveva finalmente spiegato a Camilla il piano segreto. Si trattava di lasciare che la natura facesse il suo corso. Ora, in natura non ci sono porte, è risaputo. Per cui quelle che ostacolavano andavano aperte. Ma da lontano: da vicino non sarebbe stato prudente. Soprattutto per quanto riguarda la porta decisiva: la porticina numero uno, quella che collegava il pianterreno al cortile tramutato in acquario.
Il portone principale dava meno problemi, perché nonostante fosse pesantissimo e blindato poteva essere aperto con un pulsante che era dentro casa, accanto al citofono. L’importante era farlo al momento giusto.
Per la porticina numero uno fecero così: legarono alla maniglia una corda, la corda del fabbro piccolo e sporco ammaliato dalla loro bellezza. Attraverso un sistema di carrucole la corda arrivava agli appartamenti del primo piano, residenza delle principesse. Il risultato era che la porticina numero uno poteva essere aperta tirando la corda direttamente dal salotto di casa. Chiaramente per far passare la corda non poterono chiudere del tutto la porta degli appartamenti del primo piano, la lasciarono socchiusa, ma bloccata col catenaccio, così Francesca non poteva entrare in casa loro in piena notte e fare qualche sorpresina.
Avevano fatto tutto secondo le indicazioni di Giulia, non a caso moglie di un ingegnere.
«Ora si tratta solo di aspettare» disse Giulia nel cuore della notte.
«Sei sicura che succederà?»
«E perché no? Verrà a pipa di cocco» fu la disarmante risposta. «La cosa importante è non aprire le porte troppo presto, è tutta una questione di tempo. Di acque in entrata e acque in uscita. Metteranno in confusione il pianterreno ma pazienza. Ci libereremo di un po’ di cianfrusaglie.» Per un attimo tacque. Impressionata dall’enormità di ciò che ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Con un poco di zucchero
  3. Prima parte. Un soffio di ottimismo
  4. Seconda parte. La vita è una severa maestra
  5. Terza parte. La conquista della santità
  6. Ringraziamenti
  7. Copyright