FIONA O’BRIEN
Traduzione di Roberta Scarabelli
A tutte le donne alle prese
con un amore tormentato,
perché abbiano il coraggio di provare,
la forza di sopravvivere
e, alla fine, si spera,
l’audacia di andarsene
Carrie Armstrong si svegliò nella luce tersa di una limpida mattina di febbraio e per un istante rimase perfettamente immobile. Solo il suo sguardo vagava per la stanza, osservando con attenzione il lusso inconfondibile che la circondava: la tappezzeria di seta marezzata alle pareti, gli enormi specchi dalle cornici dorate, il caminetto di marmo italiano, le tende drappeggiate alle finestre, attraverso le quali filtravano ora i raggi del sole che creavano una pozza di luce sul tappeto persiano, i cui colori sembravano splendere come pietre preziose.
“Le raffinate trappole del lusso” le venne da pensare, e non per la prima volta.
Lentamente si mise a sedere e fissò le lenzuola appena sgualcite dalla sua parte del letto e, dall’altra, la vasta distesa intatta e vuota.
“Oggi lo faccio.” Si alzò di scatto, spinta dalla forza e dalla fermezza di quella decisione.
In bagno studiò la propria immagine riflessa con aria critica, ma non senza una certa soddisfazione. Era ancora in forma. Ci aveva lavorato parecchio, e il risultato si vedeva. Il seno era sodo e tornito, grazie alle protesi, e le sedute regolari con il suo personal trainer la aiutavano a mantenere tutto il resto sotto controllo. Dopo tre figli, però, la forza di gravità aveva richiesto il suo tributo, palestra o no. Nonostante ciò, aveva un aspetto notevole per i suoi quarantotto anni. Anzi, quarantanove. Era il giorno del suo compleanno e se ne era quasi dimenticata. Sorrise.
Il viso le sembrava ancora bello, con quel naso leggermente allungato e la bocca generosa, anche se lei avrebbe preferito avere labbra un po’ più piene. I denti erano bianchi e dritti, la pelle chiara e tonica, e i riccioli castani trattati e spuntati regolarmente, ogni sei settimane, con un taglio che, le aveva assicurato il suo parrucchiere di fiducia, le ammorbidiva i lineamenti. Solo nei grandi occhi verdi ed espressivi si intravedeva la sofferenza, che Carrie Armstrong nascondeva dietro il suo sorriso.
Fece una doccia veloce, indugiando qualche istante con la testa sotto il getto per permettere all’acqua bollente e fumante di alleviare la tensione che ultimamente sembrava serrarle le scapole in una morsa. Si mise un asciugamano bianco attorno al corpo e si truccò leggermente. Dal guardaroba, dove si apriva una porta che dava sulla stanza di Rob, giunse un tenue profumo di dopobarba: sembrava che lui fosse appena uscito dal bagno. Carrie doveva sbrigarsi se voleva parlargli prima che se ne andasse. Scese le scale a piedi nudi, sentendo sulla pelle la morbidezza della moquette.
L’aroma del caffè appena fatto la avvolse e lei, facendo un profondo respiro, entrò in cucina.
Rob era seduto lì e stava leggendo con tutta calma il giornale.
Per una frazione di secondo le venne meno il coraggio e fu quasi sopraffatta dalla familiare ondata d’amore che la travolgeva ogni volta che lo vedeva.
Senza dubbio Rob Armstrong era un bell’uomo, sotto ogni punto di vista. Lo era sempre stato, ma adesso, a cinquant’anni, la maturità e la fiducia in se stesso creavano una combinazione che rendeva il suo fascino ancora più irresistibile: i capelli un po’ ribelli, ormai spruzzati di grigio; la fronte corrugata per la concentrazione; gli occhi – a volte color nocciola e a volte, come si accorgeva lei osservandoli, color miele – ombreggiati dalla mezzaluna delle lenti da lettura. Carrie ebbe la tentazione, che la sorprendeva ogni volta, di allungare una mano e accarezzargli dolcemente il viso.
Sentendola entrare, Rob alzò lo sguardo dal giornale. «Ti sei alzata presto.» Dopo quella fredda constatazione tornò a rivolgere l’attenzione alle notizie del mattino.
Per un istante la rabbia minacciò di esplodere, ma Carrie riuscì a trattenere una risposta pungente. Cosa diavolo ne sapeva lui dell’ora in cui si alzava? Non c’era mai. A parte le camere separate in cui dormivano ormai da qualche mese, le loro vite avevano preso due strade diverse, come i molti letti che, Carrie lo sapeva bene, lui aveva condiviso nel corso degli anni con altre donne.
Tuttavia non sarebbe servito a niente recriminare. Di parole ne erano state già dette a sufficienza. Era arrivato il momento di agire.
Si sedette a tavola di fronte a lui, appoggiò il mento sulle mani e lo fissò, costringendolo a guardarla.
«Cosa c’è?» Non le sfuggì il tono leggermente irritato quando lui alzò gli occhi.
«Voglio il divorzio, Rob.»
Quelle parole, scandite lentamente, sembravano giungere da un’altra persona, da un’altra realtà. Dopo averle ripetute così spesso, così spesso minacciate, adesso che erano state davvero pronunciate le parvero irreali. Solo il leggero tremito delle sue mani, con le dita ancora intrecciate strette sotto il mento, lasciava trapelare quanto facesse sul serio.
L’uomo che da ventinove anni era suo marito emise un lungo sospiro esasperato. Gli angoli della bocca piegati all’ingiù gli conferirono un’espressione leggermente divertita, come se si stesse rivolgendo a un’adolescente testarda.
«Cosa significa?»
Per un attimo il suo sguardo da irritato diventò guardingo. «Cos’è che ti ha dato fastidio stavolta, Carrie?» Ripiegò il giornale e lo posò sul tavolo, poi guardò l’ora e si alzò.
Con enorme sforzo, Carrie riuscì a controllarsi e a rimanere in silenzio. Non c’era più niente da dire, niente che non fosse già stato ripetuto migliaia di volte in passato.
«Senti, di qualsiasi cosa si tratti, ne parleremo stasera.» Il suo sguardo si soffermò per un istante sulla moglie mentre un accenno di affetto si insinuava nella sua voce.
Per un momento Carrie esitò. Tutta colpa di quella nota morbida, e lui lo sapeva bene. Quando le parlava come il vecchio Rob, quello che l’aveva amata, la faceva sentire bella e desiderata come nessun altro. Riusciva a giocare con lei come il gatto con il topo.
“No!” gridò Carrie dentro di sé. “Non cedere, non adesso, non di nuovo.” Quegli occhi, quella voce avevano un potere terribile su di lei. Le facevano credere alla promessa allettante che recavano con sé: “Ti voglio ancora bene, torno sempre a casa da te, è con te che sono rimasto, no?”.
Ed era proprio quello che la stava distruggendo, il fatto che lui restasse con lei nonostante tutto.
Carrie rimase in silenzio. Non si fidava a parlare.
«Adesso devo andare» disse Rob. «Oh, merda... quasi dimenticavo: stasera sono a Londra, un incontro con i nuovi tizi delle tasse. Sarò di ritorno solo domani. Rimandiamo tutto a domani, okay?» La sua voce era contrita e conciliante, ma lei scorse un fremito impaziente sulle sue labbra. Non vedeva l’ora di andarsene, di sfuggire a quella situazione imbarazzante, che lo obbligava a rispondere delle sue azioni. E lei aveva imparato ormai da tempo che Rob non si prendeva mai le proprie responsabilità. «Ti prometto che, di qualunque cosa si tratti, la risolveremo.» Prese la ventiquattrore e il cellulare e si diresse verso la porta. «Devo andare, amore.»
Amore... Carrie quasi scoppiò a ridere. Quello era davvero troppo, anche per Rob. Da molto tempo lei non era più il suo “amore”. Si era liberato senza troppi affanni di ogni più piccola tenerezza, così come era venuto meno alla sua fedeltà, tranne naturalmente nei casi in cui aveva bisogno di qualcosa e voleva ottenerlo a tutti i costi.
Carrie, immobile, udì la porta d’ingresso che si richiudeva dietro di lui, il motore della Aston Martin che si accendeva e l’auto che usciva dal cancello come se niente fosse, un modo perfettamente normale di iniziare la giornata.
Lei sapeva, senza ombra di dubbio, di avere fatto la cosa giusta. Negli ultimi due anni non aveva pensato ad altro, fin da quella volta in cui...
Eppure, amare e vivere per trent’anni con l’uomo a cui aveva regalato il suo cuore, le sue speranze, i suoi sogni... “Smettila” gridò una voce dentro di lei. “Non pensarci, non sfiorare quel tasto.”
Senza dubbio aveva preso la decisione migliore. Prova ne era che lui non si era nemmeno ricordato del suo compleanno. Non che le importasse più, ormai... Una delle ragazze, o la sua segretaria, glielo avrebbe rammentato e ci sarebbe stato il solito regalo di circostanza e, se le cose fossero girate nel verso giusto, persino una cena di famiglia nel ristorante più in voga della città. Non significava niente.
Aveva fatto ciò che era giusto, certo. Ma se era davvero così, si domandò, come mai allora le mancava il fiato? Perché stava piangendo?
Jay Farrelly fece manovra per uscire dal parcheggio con la sua Mercedes McLaren nuova fiammante e immettersi nella via. Aveva appena trascorso una piacevole e costosa mattinata in una delle boutique più esclusive di Dublino e stava tornando a casa con il suo bottino. Accanto a lei, sul sedile del passeggero, c’erano borse con dentro abiti di Cavalli e una camicia di Yves Saint Laurent che costavano un occhio della testa. Aveva comprato anche della biancheria intima. Quando ci si avvicina ai cinquanta e tutto comincia a cedere, si ha bisogno di un aiuto vigoroso per rimettersi in sesto. Il fisico di Jay, snello ma dalle forme procaci, avrebbe intrapreso, se lei glielo avesse permesso, un percorso tutto suo, a meno che non fosse stato riportato in carreggiata.
Guidando piano lungo una stradina stretta, svoltò a sinistra e si immise sul viale principale, sorridendo mentre l’acceleratore rispondeva prontamente alla leggera pressione del suo piede. La macchina le era stata consegnata solo il giorno prima e, poiché doveva ancora prenderci la mano, era costretta a sospendere per un giorno o due la sua solita guida spericolata.
Non che sfasciarla le sarebbe importato più di tanto: non avrebbe dovuto fare altro che andare dal concessionario a ordinarne una nuova. Era solo il primo di molti lussi che lei – o, meglio, suo marito – si sarebbe concessa. L’unica cosa era che lui non lo sapeva ancora.
Pensare a Frank le provocò una fitta allo stomaco, cosa che ormai le succedeva un po’ troppo spesso, negli ultimi tempi. Questa volta, però, lui aveva davvero oltrepassato il segno. Si stava comportando in un modo che rasentava l’idiozia. E Jay ci avrebbe dato un taglio, senza perdere tempo. Malgrado l’atteggiamento disinvolto nei confronti del loro matrimonio, persino Frank avrebbe afferrato l’inequivocabile messaggio che lei gli avrebbe trasmesso tramite i suoi agguerriti avvocati se lui si fosse ostinato a proseguire con quel suo ultimo flirt. Dopotutto lei avrebbe potuto rovinarlo... niente di più semplice. Naturalmente non si sarebbe arrivati a tanto. Era dal giorno in cui si era sposata che Jay aveva cominciato a prepararsi a un’eventualità del genere.
Frank doveva essere riportato sulla retta via, e il prima possibile. Lui non avrebbe opposto molta resistenza... non lo faceva mai. Non avrebbe potuto permetterselo, considerando tutto quello che c’era in gioco. Era un altro dei lati positivi dell’essere sposata a un uomo ricco sfondato, rifletté Jay. Lui aveva troppo da perdere.
Era ironico, in effetti. Si sarebbe portati a credere che, più soldi un uomo guadagni, più possa permettersi di separarsi da una parte di essi, ma non è così che vanno le cose. Che possiedano due milioni o duecento, tutti gli uomini sembrano determinati a restare aggrappati a ogni singolo, misero centesimo. Be’, peggio per lui.
Non sapeva quali fossero i piani di quella donnetta avida e meschina, ma ci avrebbe pensato lei a farglieli cambiare. Dopotutto, chiunque fosse quella sgualdrina straniera (e Jay si ripromise di fissare un incontro con il suo detective privato la settimana seguente per scoprirlo), non aveva la minima idea della persona che si era messa contro. Perché se c’era una cosa che la signora Jay Farrelly non aveva intenzione di tollerare nel suo matrimonio era la parola che iniziava per “d”. Divorzio. In ogni caso, a mali estremi, estremi rimedi, e se non era estrema quella situazione...
Non molto tempo prima – o, almeno, a lei sembrava che non fosse passato troppo tempo –, il senso di colpa l’avrebbe dilaniata all’idea di ingaggiare un detective privato per spiare suo marito. Ma lei e Frank ne avevano fatta di strada da quegli inizi ingenui e, se assumere un investigatore era l’unico modo per avere il polso della situazione attuale, allora non aveva senso rimproverarsi.
“Golf al Club K” era stata l’espressione in codice di Frank per alludere a una notte clandestina con una donna, aveva scoperto Jay per la prima volta dieci anni prima, quando un “amico” dalle buone intenzioni l’aveva informata di aver visto suo marito che si gustava una cena intima nel club esclusivo in compagnia di un’altra donna. Jay aveva affrontato Frank e lui, dopo vari tentativi patetici di respingere ogni accusa, avev...