Così ’na sera mi’ madre me porta a cena e me chiede: «Come ti sembra Bruno?».
E io: «Sei e mezzo sette».
«Che significa?»
«È un buon voto. Io non so’ de manica larga.»
«Sono due mesi che vai da lui e riesci solo a dirmi un numero?»
«È simpatico, ma è un po’ triste. Se era più allegro gli potevo dà pure un sette pieno. Sembra il De Rossi della scorsa stagione: riconosci che è un buon calciatore, ma non c’è più il guizzo degli anni passati.»
Mi’ madre si alza. Non la sopporto ’sta cosa che me porta a cena al ristorante dove lavora e me fa magnà da solo. Lei se siede due o tre minuti ogni volta che me porta un piatto, diventa ’na conversazione a rate. E soprattutto me dà fastidio quando dai tavolini la chiamano, chi co’ un braccio, chi co’ un dito, chi urla.
Magno la gricia infastidito, co’ ’sta domanda su Bruno in testa, che non capisco che vòle sapé mi’ madre.
«Te piace Bruno? Vuoi che te lo presento?» je dico appena ritorna col secondo.
«Ma sei scemo?» se mette a ride’.
«Che ne so, me fai ’e domande. Ce sarà un motivo.»
«Voglio semplicemente sapere se ti trovi bene.»
«Senti, se me vuoi aumentà le ripetizioni basta che lo dici, che a forza de giracce attorno hai scavato ’na buca.»
Mi’ madre scuote la testa, ma io so che l’ho sgamata.
«Se vuoi ci posso andà due volte a settimana, anche tre, va’. Di più non se ne parla, mica so’ un carcerato!»
Scoppia a ridere, non capisco perché. Il proprietario la chiama e lei sparisce ’n’altra volta in cucina a carreggià piatti pieni e piatti vòti. Da solo, pensa e ripensa, capisco che c’è un’unica spiegazione.
«Hai parlato co’ l’Infamona» dico con certezza quando riviene al tavolo.
«No» risponde lei. «La scuola non c’entra. Dimmi una cosa invece: Bruno è buddista?»
«Ma che domanda è? Non me pare, non ho visto armadi sospetti»
«È nero?»
«Stai a giocà?»
«È laziale?»
Solo allora capisco il piano diabolico de mi’ madre.
«Noooo, tu hai sbroccato.»
Se alza per la centesima volta. «Pensaci» me dice col sorriso. «Se non vuoi, non se ne fa niente. Non posso essere felice se tu non lo sei.»
Quando ’na madre te dice certe cose t’ha già fregato. Bisognerebbe esse’ veramente stronzi pe’ dì: “No, te ne resti in questo ristorante de merda tra turisti ubriachi e venditori de rose invece d’andà in Mali a fare il lavoro che ami”.
E poi co’ Bruno non me trovavo male, almeno fino al giorno che me so’ trasferito là. La sera che so’ arrivato coi bagagli improvvisamente era ’na persona diversa da quella che conoscevo fino a qualche giorno prima.
Avevo preso il taxi dall’aeroporto, ero andato ad accompagnà mi’ madre e a salutalla. Fino all’ultimo stava là coi lacrimoni da cartone animato che me diceva: «Se tu non vuoi non parto», ma era lei che non voleva partì. Le donne so’ così, che ce vòi fà? Praticamente l’ho dovuta spigne’ dentro al metal detector.
Il tassista secondo me era un ex galeotto, non lo so perché, ma ci stanno certe cose che le capisci al volo. E poi a Roma ci so’ un sacco di delinquenti che quando se devono ripulì comprano ’na licenza co’ i risparmi de ’na vita criminale e mettono la testa a posto.
Era la prima volta che salivo su un taxi, la cosa me piaceva. È fico che paghi ’na persona che guida pe’ te e te porta dove chiedi, e tu stai seduto dietro e se te va parli, sennò no. Me sembrava un grande inizio pe’ i miei sei mesi da orfanello.
Bruno invece non era pe’ niente entusiasta del mio arrivo.
«Dobbiamo stabilire delle regole di convivenza» è stata la prima cosa che m’ha detto.
«Tranquillo Brù, io non m’accollo» gli ho risposto.
«Sì, ma la casa non è grande e le regole servono lo stesso: innanzitutto la sveglia, la scuola e queste robe qui. Io non ho nessun’intenzione di alzarti la mattina, né di preparare la colazione, accompagnarti eccetera.»
«Guarda che vado al liceo, no alle elementari.»
«La lavatrice è il mercoledì, per quanto riguarda il bagno e la cucina...»
Lo fermo, già me sta a venì il mal de capoccia: «Senti, scriveme un vade retro».
«Si dice vademecum.»
«Il concetto è quello.»
«No, è un po’ diverso...»
«A Brù, ma che c’hai?»
Me guarda sconsolato, poi apre la porta d’una specie di ripostiglio.
«Questa è la tua stanza.»
Io non so’ uno abituato a vive’ in una reggia, e neanche brillo per pulizia sinceramente. Cioè non è che so’ sporco in genere, ma se sto a casa da solo posso pure non lavamme pe’ ’na settimana. Camera mia, nei paragoni più gentili de mi’ madre, è ’na stalla.
Ecco, tutto questo è niente davanti all’ammasso di cianfrusaglie e allo strato di polvere che c’erano nello stanzino de Bruno. Appena entrato ho cominciato a starnutì a ripetizione.
«Sei un soggetto allergico?» me fa lui.
«Fino a oggi no» e intanto lacrimo a manetta.
«Aspetta» dice sparendo in camera sua.
Ritorna co’ in mano un aspirapolvere in miniatura e comincia a passallo sopra la valanga d’oggetti intorno alla mia brandina. Dopo un paio di minuti l’attrezzo inizia a tossì, il motore fa un rumore da grande sforzo, se inchioda, e aggiunge al profumo della stanza un odorino de plastica bruciata.
Bruno tiene tra le mani l’aggeggio come fosse un bambino in fin di vita, se mette a sedé sul divano senza staccaje l’occhi de dosso. Un altro po’ e se mette a piagne’. Io non m’avvicino, lo lascio col suo grande dolore e provo a rientrà nella stanza. Niente da fà, ricomincio a starnutì. Lui me fissa, co’ lo sguardo perso.
«Dici che si può riparare?»
«A Porta Portese te riparano pure er pacemaker.»
China di nuovo la testa sull’aspirapolvere, in luttuoso silenzio.
«Senti, mentre fai il funerale al coso, me dai la password del wireless che già ho visto il modem?»
Me guarda con odio. «Il PC mi serve per lavoro.»
«“Lavoro” nel tuo caso me pare ’na parola grossa» je dico, ma è talmente preso dal cadavere dell’aspirapolvere che non me risponde. Tiro fuori il portatile dalla borsa e lo appoggio sul tavolo.
«Allora, ’sta password? C’ho il computer mio, il PC non te lo tocco.»
«Fëdor» dice sconsolato.
«Come il lottatore ucraino?»
«Come Dostoevskij.»
La connessione va a pedali, ma piano piano riesco ad aprì Facebook e pure Google Maps. Carmelo m’ha scritto sui messaggi personali che domattina se beccamo direttamente sulle sponde del Tevere: deve fà sega a tutti i costi che non ha ancora fatto firmà la pagella ar padre e la prof la rivòle. Prince come al solito pubblica canzoni orende. Gli piazzo in bacheca Questa è Roma di Amir, giusto pe’ faje capì che significa un bel pezzo. La musica parte a palla dal computer.
I campetti le bische i quartieri
I coatti le guardie le troie i mestieri
Questa è Roma
I rioni lo stadio le bombe
Le spade sotto al fiume le strade le sponde
Questa è Roma...
«Ma che è?» urla Bruno pe’ coprì la canzone.
«Aspe’» gli faccio cenno co’ ’na mano. Poi metto in pausa il pezzo de Amir. «Ho trovato il McDonald’s più vicino a casa, ce vojono cinque minuti a piedi. Io c’avrei una certa fame, annamo?»
La cassiera c’ha la faccia di una che pensa d’esse’ presa per il culo. Ripeto l’ordine.
«Big Mac Menu, Happy Meal con cheeseburger senza cetrioli, due McToast e un’insalata verde. Da bere due coche.»
«Ma da portar via?»
«No.» Pe’ tranquillizzalla indico Bruno seduto al tavolino. «Non mangio tutto io, siamo in due.»
«Ah» mi fa lei senza enfasi. «Quindi?»
«Quindi che?»
«Che devo preparare?»
Completamente rincoglionita, facevo prima a passà de là, metteme la salopette e il cappellino e preparà il panino da solo.
«Big Mac Menu, Happy Meal, due McToast e insalata verde.»
«Da bere?»
La guardo pe’ capì se è lei che sta a pijà per culo a me, ma c’ha lo sguardo da luccio morto da un paio di giorni.
«Due coche.»
Torno vincitore da Bruno col vassoio pieno. Gli passo la sua insalata, la coca e affronto la mia cena.
«Cibbbo!» è la preghiera che dico prima de infilà in bocca il Big Mac.
«Ti mangi tutta quella roba?» domanda Bruno.
«Che hai parlato co’ la cassiera?» je faccio.
«No, perché?»
«È una in gamba, andreste d’accordo.»
Apro l’Happy Meal, c’è la macchina di Batman.
«Bellissima... Batman è un grande, anche se io tifo sempre pe’ i criminali.»
«Non me ne intendo» dice masticando la sua triste insalata.
«Batman è l’unico supereroe senza superpoteri. Capisci la profonda differenza?»
«Certo, lui si arrampica e Superman vola.»
Lo guardo schifato. «Quanta ignoranza!»
Ride.
«Sei pure scrittore» gli faccio. «Dovresti esse’ un animo sensibile.»
«Purtroppo scrivo solo biografie di calciatori e veline, non ho mai affrontato temi importanti come i superpoteri di Batman.»
«Davvero scrivi b...