Criiic, criiic, criiic, un irritante cigolio inframmezzava il rumore delle ruote e il ritmico clip clop degli zoccoli dei cavalli. Era sufficiente per mettere a dura prova la pazienza anche del passeggero meglio disposto, e quell’aggettivo non si adattava a nessuno di coloro che quel pomeriggio viaggiavano sulla carrozza che andava da Ipswich a Cambridge. In parte il loro stato d’animo era da imputare al tempo: l’anziano gentiluomo con il cappotto rattoppato e la sciarpa pesante osservò che quella pioggia fredda poteva essere fatale anche per le costituzioni più robuste, perché gelava il sangue. Le due garrule zitelle, le signorine Hoope, individuarono un certo numero di carenze nell’organizzazione di quel viaggio, tra cui l’inciviltà del conducente, l’odore malsano dei sedili e il prezzo esorbitante chiesto per una tazza di tè nella locanda in cui si erano fermati per cambiare i cavalli.
«E quel rumore, mia cara sorella, mi ha causato il peggior mal di testa che abbia avuto in tutto l’anno» disse una delle due.
«Come una lama incandescente che ti perfora la fronte» concordò l’altra.
Il quarto passeggero, una giovane donna di nome Mary Finch, ignorò le lamentele e lasciò che quella conversazione le scivolasse addosso. Naturalmente, non sapeva di aver destato lei stessa interesse tra i suoi compagni di viaggio. Il gentiluomo anziano apprezzava un bel visetto e una figura aggraziata, e non aveva nulla da obiettare sui capelli rossi quando questi erano gentilmente trattenuti da un cappellino nero con un nastro di velluto verde. La più giovane delle signorine Hoope avrebbe potuto aggiungere altro in fatto di abbigliamento. Avrebbe tanto voluto poter parlare in modo approfondito del taglio, del colore e del tessuto che rendevano l’abbigliamento di Miss Finch meravigliosamente alla moda senza essere affatto stravagante. La più vecchia delle signorine Hoope ne sapeva meno in fatto di moda, ma era meravigliata dal fatto che una giovane donna dall’aspetto tanto per bene avesse deciso di viaggiare sola e su una carrozza pubblica.
In effetti, la presenza di Mary su quella carrozza era piuttosto sorprendente, dal momento che non aveva certo bisogno di risparmiare. Le Dame Bianche, la sua tenuta nel Suffolk, vantava un nutrito staff di domestici, e da quando aveva ereditato una vera e propria fortuna Mary poteva contare sulla presenza di due amiche e di una terza che si era autonominata sua protettrice. Possedeva anche una carrozza elegante e ben molleggiata, e aveva viaggiato fino a Londra sulla diligenza postale, che aveva il vantaggio di essere veloce e di garantire passeggeri di alto livello. Il denaro, quindi, non le mancava, né la volontà di spenderlo. Eppure, era proprio il denaro la risposta a quell’enigma, anche se non direttamente.
Mary era molto affezionata al capitano Holland del Reggimento d’Artiglieria. A dire il vero, esisteva una sorta di accordo tra loro che avrebbe potuto essere considerato un fidanzamento, se non fosse stato che nessuno ne era a conoscenza, e che a Mary era stato insegnato che i fidanzamenti segreti erano sbagliati. Ciò nonostante, loro due avevano iniziato a fare progetti e quasi subito era insorto il primo problema. La rendita di Holland non poteva essere equiparata alla sua e, probabilmente, sarebbe stato così per sempre. Pur riconoscendo questo dato di fatto dal punto di vista razionale, Holland in pratica vi si opponeva, con il risultato che non erano riusciti a trovare un accordo su una casa a Londra. Holland era dell’idea che Mary dovesse avere una casa in città, perlomeno mentre lui era impegnato al quartier generale del reggimento a Woolwich. Ma le eleganti dimore londinesi andavano oltre le sue possibilità e lui non accettava che Mary si addossasse la spesa maggiore. Negli ultimi due mesi, Mary era rimasta in contatto con un agente immobiliare nella vana speranza di trovare una sistemazione adeguata, mentre il suo scambio epistolare con Holland si era fatto sempre più teso e deprimente.
Incapace di risolvere il problema, e non avendo il coraggio di confidarlo alle amiche, Mary aveva iniziato a sentirsi sempre più irrequieta e a disagio. Aveva persino iniziato a considerare Le Dame Bianche come una prigione. Per questo, quando ricevette la lettera dal rettore di Catherine Hall, la lesse con particolare interesse. Negli archivi del college erano stati ritrovati dei documenti relativi alla storia delle Dame Bianche. Dal momento che non potevano essere sottratti dall’archivio, il rettore era lieto d’invitare Miss Finch a prenderne visione, se le fosse capitato di passare per Cambridge.
Mary aveva risposto alacremente e in modo affermativo. Una visita a Cambridge era esattamente lo stimolo di cui aveva bisogno. Non aveva chiesto a nessuna delle sue amiche di accompagnarla perché voleva sfuggire, almeno per un po’, a tutte le piccole seccature che avevano contribuito al suo malumore. Non si era mai abituata ad avere una cameriera personale, ed essere sola non la preoccupava. E la carrozza pubblica? Era una stravaganza che Mary raramente si concedeva. Quel viaggio a Cambridge era quasi l’immagine allo specchio di un viaggio intrapreso due anni prima. Allora, aveva viaggiato da Cambridge a Ipswich, ma la vettura non era affatto lussuosa e i suoi compagni di viaggio solo un po’ meno eccentrici delle signorine Hoope. Quel viaggio aveva messo in moto una serie sorprendente di eventi, era stato una grande avventura, che aveva trasformato completamente la sua vita. Se non avesse prenotato un posto su quella carrozza – True Blue era il suo nome – sarebbe stato tutto diverso: Le Dame Bianche, la sua seconda avventura... non avrebbe nemmeno mai conosciuto il capitano Holland.
Non c’era da stupirsi che avesse voluto rivivere quell’esperienza, e che delusione nello scoprire che la realtà non era all’altezza delle sue aspettative. Mentre guardava fuori dal finestrino sudicio (non doveva essere mai stato lavato negli ultimi sei mesi), i suoi pensieri si volsero al capitano, ma non erano pensieri del tutto gioiosi. Il loro disaccordo attuale sembrava trovare eco nella sua condotta passata.
«È sempre stato l’uomo più testardo del mondo» borbottò Mary tra sé, e sospirò. Il suo mormorio non passò inosservato.
«Lo vedi, cara sorella?» esordì la più giovane delle signorine Hoope. «Anche la nostra povera compagna di viaggio è tormentata da quell’orribile cigolio. Vi ha fatto venire il mal di testa, Miss Finch?»
Mary accennò un sorriso. «Sì, forse sì.»
Le ombre della sera si stavano già allungando quando la carrozza raggiunse Cambridge, il che rese impossibile un’immediata visita al college. Mary non aveva idea di come il rettore trascorresse le sue serate – cenando con i colleghi, forse, o impegnato in profonde riflessioni intellettuali – ma in qualsiasi caso, dubitava che avrebbe avuto piacere d’intrattenere un’estranea a quell’ora. Quindi, si recò in una rispettabile locanda, dove consumò una cena modesta, e poi si ritirò nella sua stanza. Il trimestre autunnale era appena iniziato e persino una stimata istituzione – diretta interamente da donne, nientemeno – poteva essere chiassosa e turbolenta. Pensandoci bene, Mary si disse che forse era proprio la direzione femminile del college ad attirare tanti studenti.
E le strade erano affollate di studenti il mattino successivo, quando Mary si diresse verso Catherine Hall. Dall’alto dei suoi ventidue anni, molti di loro le apparivano giovanissimi, ancora dei bambini, nelle loro toghe fluttuanti. Al mercato, un gruppo di ragazzi la superò ridacchiando e tentò di acquistare delle lingue di allodola da un macellaio strabiliato. Cacciati in malo modo, chiesero lumache a un pescivendolo e tartine all’ambrosia a un fornaio – tutti piatti essenziali per il loro banchetto romano, si giustificarono.
C’erano anche uomini più anziani, alcuni in abito accademico. Tra loro avrebbe potuto esserci anche il dottor Nichols, l’unico membro dell’università con cui Mary poteva vantare una conoscenza. Sarebbe stato molto strano rivederlo, e non del tutto piacevole, dal momento che era un individuo pesante e pomposo, che aveva dedicato la propria vita a impartire saggezza. Mary era già pronta a rifugiarsi in un negozio o in una locanda, se avesse visto la sua figura robusta percorrere King’s Parade.
Fortunatamente, le fu risparmiato sia l’incontro che la corsa a nascondersi, e alle nove si presentò alla portineria del college e chiese di vedere il dottor Yates. Le fece piacere sapere di essere attesa. Il portiere l’accompagnò agli alloggi del rettore e da lì in una piccola sala d’aspetto.
Mary si sedette e attese. Del resto, cos’altro si poteva fare in una sala d’attesa? C’erano due porte, quella da cui era entrata e un’altra che si apriva nello studio del rettore. Il portiere non le aveva detto che il dottor Yates l’avrebbe chiamata, su quel punto non aveva detto una sola parola. Forse avrebbe dovuto palesare la propria presenza. Sarebbe stato terribilmente umiliante se il rettore l’avesse trovata lì quando fosse uscito per andare a pranzo! Ma bussare sarebbe stato altrettanto scortese se il dottor Yates avesse avuto intenzione di riceverla dopo aver controllato i conti del college o aver scritto una lettera in greco. Mary si avvicinò in punta di piedi alla porta dello studio e rimase in ascolto, ma non udì nulla, né voci, né fruscio di carta.
“Be’, non mi mangerà” pensò, e bussò due volte.
«Avanti!» disse una voce attutita.
Mary aprì la porta ed entrò in una stanza grande e accogliente. Il fuoco scoppiettava nel camino e le pareti erano occupate da librerie. Ma la sua attenzione fu immediatamente attratta dall’uomo paffuto e di mezza età, dall’aspetto insignificante, che si alzò da dietro la scrivania ricoperta di carte.
«Santo cielo!» esclamò Mary. «Signor Shy!»
Lui s’inchinò. «Mi auguro che la vostra esclamazione non significhi disappunto e che l’invocazione al paradiso sia solo una spontanea effusione di gioia.»
«N... no, certo, signore» si affrettò a precisare Mary. «Vi chiedo perdono.»
Lui le indicò una poltrona presso il camino e la invitò ad accomodarsi. Mentre si avvicinava alla poltrona, il signor Shy fece delle osservazioni sul tempo e sul suo viaggio dal Suffolk a Cambridge, ma Mary era confusa e non vi badò. Il signor Shy... Cuthbert Shy! Mary era a conoscenza delle sue attività segrete. Solo pochi mesi prima, dietro sua richiesta, lei stessa aveva condotto una missione per conto del governo. Che cosa ci faceva il signor Shy all’università di Cambridge?
«Dov’è il dottor Yates?» chiese, prendendo in considerazione la possibilità che Shy e il rettore potessero essere la stessa persona.
«In vacanza. Il buon rettore è stato costretto ad allontanarsi dall’università per un certo periodo. La sua salute è molto delicata, pover’uomo, ed è peggiorata a causa di un disaccordo con alcuni colleghi. Una discussione piuttosto animata, temo, e solo per questioni di poco conto. È tipico degli accademici perdersi nei dettagli.»
Mary sorrise pensierosa. Sapeva per esperienza che non era facile conversare con il signor Shy. La comunicazione con lui non si limitava a un semplice dare e avere, e sembrava che lui provasse piacere nel depistare anche coloro che erano riusciti a guadagnare la sua fiducia. Lei ci era riuscita? «Forse non dovrei chiederlo, signore, ma come mai vi trovate qui?» domandò cauta.
«Forse sarebbe meglio se non me lo chiedeste» concordò Shy «ma capisco che la mia presenza vi abbia sorpresa. Quando avete ricevuto il mio invito, non avete sospettato che potesse presagire qualcosa di più interessante dei documenti della vostra tenuta?» Le rivolse un’occhiata interrogativa. «No? Ah, che peccato.»
Mary si sentì come se fosse stata sorpresa a fare qualcosa di veramente stupido. Non aveva mai pensato che il signor Shy potesse cercarla così presto dopo la fine della sua ultima... avventura. «Forse ero distratta da altre questioni.»
«Le innumerevoli delizie del vostro rifugio bucolico, immagino. Però non siete fuggita come uno studente incorreggibile che teme di essere punito dal suo rettore. Sarebbe stato davvero molto deludente. La determinazione è essenziale, non credete? E anche la fermezza sui propri propositi.»
«S... sì, suppongo di sì» rispose Mary con prudenza, ma il suo cuore aveva iniziato a battere più veloce. Il signor Shy l’aveva mandata a chiamare, e quel colloquio era una specie di esame. Ma qual era il fine? Probabilmente stabilire la sua determinazione e la sua intelligenza. “L’esordio non è stato dei più brillanti” si disse, e questo pensiero la indispettì. Quel genere di colloquio con il signor Shy poteva significare solo una cosa. Che aveva un altro incarico per lei... se lei fosse stata all’altezza.
Mary voleva assolutamente dimostrargli che lo era. «Il mio rifugio bucolico non è piacevole in questo momento» disse. «O almeno, non lo è così tanto.»
«Davvero? Mi fa piacere saperlo» disse Shy. Fece una pausa. «Quindi, non avreste nulla da obiettare – in linea di principio – a cambiare scenario? A fare un viaggio? Sto facendo un’ipotesi, naturalmente.»
«No, signore, non avrei nulla da obiettare... se fosse per una ragione importante» precisò Mary, avvertendo l’insinuarsi di un dubbio.
«Oh, ma lo è, o meglio, lo sarebbe. Non è mia abitudine scherzare con il benessere dell’Inghilterra, lo sapete.»
A quel punto era ormai evidente che Shy aveva in mente qualcosa di ben preciso. «Certo, signore, lo so bene. Continuate, vi prego.»
«Bene, bene.» Shy fece un’altra pausa. «Che cosa ne pensate dell’America?»
«Volete che vada in America?» Mary trattenne il respiro. Chissà per quale ragione aveva pensato alla Scozia. L’America le sembrava che fosse dall’altra parte del mondo... era effettivamente dall’altra parte del mondo! «Io...» In un angolino della sua mente la parola determinazione risuonò come uno squillo di tromba, e lei disse ad alta voce: «Credo che ci andrei, signore».
Shy le sorrise. «Splendido. Se disponessi di cento donne come voi, Miss Finch... no, mi accontenterei anche di dieci... presto la guerra sarebbe vinta.»
«Tutto questo ha a che fare con la guerra? Ma io non sapevo...»
«Che fossero coinvolti anche gli americani? No, non lo sono... non ancora, ma potrebbero esserlo molto presto, se non prestiamo la dovuta attenzione, ed è per questo motivo che ho pensato di mandarvi in Francia.»
L’espressione di Mary diede ampia prova della sua perplessità... e delle sue paure. «Ma io non posso...» Di nuovo pensò alla propria determinazione e chiese: «Potreste spiegarmi più chiaramente di che cosa si tratta?».
«Ma certo, mia cara Miss Finch, stavo appunto per farlo.» Shy riattizzò il fuoco e poi si sedette più comodamente sulla sua poltrona. «Siete al corrente dello stato della guerra, i francesi progrediscono sulla terraferma, ma non hanno altrettanto successo sul mare.»
«Per fortuna!»
«La fortuna è indispensabile in queste faccende» concordò Shy. «La fortuna e la Marina Reale. Gli ultimi negoziati di pace sono falliti – senza sorpresa alcuna – e presto tenteremo il colpo che determinerà tutto. I francesi cercheranno d’invadere...