Il ragazzo dei mondi infiniti
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Il ragazzo dei mondi infiniti

  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il ragazzo dei mondi infiniti

Informazioni su questo libro

Alcuni pensano che Joey sia strano. Altri che viva in un mondo parallelo. E non hanno torto. Un giorno infatti Joey finisce in una realtà in cui uomini che fanno surf su dischi volanti lo inseguono, e un misterioso eroe lo salva conducendolo in un'altra dimensione. Sarà lui a rivelargli questa nuova, invisibile verità: ogni volta che si profila un bivio, l'universo si scinde in una serie infinita di mondi possibili, che solo i Camminatori come Joey possono attraversare. Mondi in cui si possono avere le ali, la pelliccia di un lupo, lamine metalliche al posto della pelle o semplicemente essere la propria versione maschile o femminile.
Ma agli estremi opposti di questo insieme di mondi imperano due universi in guerra tra loro: ESA, pervaso di magia, e il mondo binario, governato dalla tecnologia. Riuscirà l'InterMondo, l'esercito creato dai Camminatori, a proteggere l'equilibrio dei mondi sopravvivendo alle feroci creature che ne sorvegliano i confini?

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804613336
eBook ISBN
9788852020421

PARTE III

CAPITOLO QUATTORDICI

Ero di nuovo in grado di Camminare.
Non chiedetemi come fosse accaduto. Forse una qualche anomalia nel marchingegno che avevano usato per svuotarmi il cervello. Forse Kolor era una variabile imprevista e non programmata (o non deprogrammata). Comunque stessero le cose, so solo che, mentre me ne stavo lì tremante tra i fiocchi che cadevano lievi, a guardare il mio fratellino che rincorreva allegro le bolle, una serie di petardi cominciarono a scoppiettare nella mia mente e ciascuno illuminava un ricordo che prima non c’era.
Rammentavo tutto: i giorni e le notti massacranti di studio e allenamento; l’infinita diversità dei miei compagni di classe, tutte variazioni sul tema di Joey Harker; la minuscola supernova che pareva esplodere a caso nell’occhio artificiale del Vecchio; quel folle subbuglio in technicolor che era l’IntraSpazio.
E la missione di esercitazione che era andata storta, quand’ero nuovamente finito tra le grinfie di Lady Indigo ed ero stato salvato – io, e soltanto io – da Kolor.
Ero lì, tremante per un freddo che nulla aveva a che fare con il tempo meteorologico, a intingere meccanicamente la bacchetta nel sapone e a fare bolle, e mi chiedevo che cosa fare.
Ricordavo la vergogna e il senso d’impotenza che avevo provato nel tornare senza i miei compagni di squadra. Che ne era stato di loro? Cos’avevano fatto di loro Lady Indigo e Lord Dog­knife, cosa mai gli avevano fatto? Avevo un bisogno disperato di saperlo. E sapevo che un modo c’era. Sapevo che avrei potuto Camminare di nuovo, sarei potuto ritornare nell’IntraSpazio. La formula per ritrovare Base Town ardeva chiara e nitida nella mia mente. Ero in grado di arrivarci, altroché.
Ma volevo farlo?
Se avessi di nuovo abbandonato il mio pianeta Terra, non avrei mai più potuto farvi ritorno. Ogni volta che aprivo un portale era come inviare un razzo di segnalazione agli ESA e ai binari. Creavo un’occasione per attirare lì quei malvagi. Ogni Camminatore, mi era stato detto, aveva una sua firma psichica che era possibile seguire. Immaginai che i binari avessero migliaia di megacomputer in scansione continua, appositamente programmati sulla mia configurazione, allo stesso modo in cui gli ESA dovevano tenere uno stuolo di stregoni in servizio continuato, ventiquattro ore su ventiquattro, con lo stesso compito. Non potevo mettere a repentaglio così la mia famiglia e i miei amici.
Se non avessi mai più Camminato, c’era solo una possibilità su trilioni e trilioni che questa o quella fazione decidesse di partire proprio alla conquista del mio mondo. Era praticamente certo che sarei potuto diventare adulto, avrei potuto sposarmi, invecchiare e morire senza mai più dover sentire parlare dell’Altriverso.
Ma non Camminare mai più…
Non so se vi ho già detto che Camminare è come qualsiasi altra cosa in cui sei bravo, nel senso che mi piaceva. Era piacevole, era giusto adoperare la mia mente per aprire l’IntraSpazio, passare da un mondo all’altro e da questo al successivo. I campioni di scacchi non giocano per denaro, né per la competizione; giocano per amore del gioco. I geni della matematica non si divertono con il giardinaggio; si trastullano a palleggiare mentalmente con le teorie degli insiemi o fantasticano da pi greco all’infinito. Come un ginnasta allenato, adesso che ricordavo la mia dote, impazzivo dalla voglia di adoperarla.
Non riuscivo a immaginare di vivere una vita senza Camminare mai più.
Ma non riuscivo nemmeno a immaginarmene una in cui non avrei mai più rivisto mamma o papà, o Jenny o il rospetto. Avevo accettato di farlo una volta, ma era stato soprattutto per il senso di colpa dopo la morte di Jay; sul momento non m’ero reso conto di quello in cui mi stavo cacciando.
Adesso lo sapevo fin troppo bene.
Ero stato allontanato, non mi avrebbero fatto rientrare tanto facilmente. Se mi fossi ripresentato a Base Town, probabilmente mi avrebbero messo di fronte alla Corte Marziale. Oh, magari non si chiamava così, ma un plotone d’esecuzione chiamalo come vuoi, resta sempre un gruppo di tizi con il fucile puntato su di te. Non avevo idea se in quel frangente avrei chiesto di essere bendato oppure no, e non avevo un gran desiderio di scoprirlo.
Ma se fossi rimasto lì, avrei dovuto vivere con la consapevolezza di essermene andato lasciando nei guai le persone a cui tenevo.
Avrei preferito che quelle maledette bolle di sapone non mi avessero fatto riaccendere tutti quei circuiti mentali. Beata ignoranza… Se non proprio beato, di certo sarei stato più sereno, non mi sarei impantanato in tutto quell’intrico di rimorsi.
La nevicata era diventata una pioggia gelida. Avrei potuto ingannarmi e dire che era quella la fonte delle gocce che mi rigavano le guance, ma non piove acqua salata dal cielo. E mi ero già mentito abbastanza.
Guardai la bolla di sapone dietro alla quale correva Kevin. Galleggiava più in su delle altre, quasi all’altezza del tetto del garage. Si sollevò fino ai rami spogli della quercia lì vicino e mi aspettavo di vederla sparire con uno scoppio muto.
Ma non scoppiò.
Restò lì a ondeggiare per un attimo, poi ridiscese lenta verso di me. Il rospetto l’inseguiva da quaggiù, gridando frustrato perché non riusciva a raggiungerla. La bolla si mosse seguendo la brezza lieve che s’era sollevata e si fermò, ballonzolante, davanti a me.
— Ciao, Kolor — dissi.
Il favomide s’increspò d’arancione, compiaciuto, poi schizzò in su sopra il mio capo e ancora più in alto, superando il tetto. Mi voltai, allungando il collo per seguirlo, ma era già scomparso.
— Bubbola? — domandò Kevin, dispiaciuto. — Bubbola? Tooii?
Annuii. — Giusto, piccolo. — Mi abbassai a guardarlo negli occhi, lo vidi asciugarsi il naso con la manica e dissi: — È ora di rientrare.
***
Restai alzato per buona parte della nottata, a soppesare la questione con tutti i pro e i contro. Non potevo parlarne con mamma o papà; sono dei genitori eccezionali, ma non avrebbero mai potuto raccattare tanto spirito d’immaginazione da affrontare l’esistenza di due Joey al posto di uno, figurarsi un’infinità. Con chi altri avrei potuto parlarne? Di certo non con i miei compagni di scuola. Il mio consulente scolastico era stato visto piangere sommessamente nel suo ufficio, lo scorso semestre, e da allora non si era più presentato e non l’avevano ancora sostituito. Quasi tutti i miei insegnanti erano persone molto limitate e incapaci di uscire dal seminato; dopo cinque mesi sotto la frusta a Base Town, ne sapevo già molto più di quanto chiunque di loro avrebbe mai potuto imparare o semplicemente provare a imparare. Insomma, in tutto lo staff degli insegnanti c’era una sola persona che avrebbe potuto ascoltarmi senza chiamare i tizi con l’uniforme bianca.
***
Il professor Dimas si lasciò ricadere sullo schienale e scrutò le lastre fonoassorbenti sul tetto. Aveva un’espressione vagamente sconcertata e non potevo fargliene una colpa; d’altronde, non doveva aver mai sentito prima una storia come quella che gli avevo appena raccontato.
Dopo un lungo silenzio mi guardò. — Quando abbiamo cominciato a parlare — disse, mite — mi hai chiesto di considerare quel che stavi per dirmi come una cosa puramente ipotetica. Devo supporre che la premessa resti ancora valida?
— Uh… certamente, professore. — Avevo pensato che raccontargli la storia mettendo un amico immaginario al centro del palco, al posto del sottoscritto, potesse renderla più facile da digerire. — Questo, ehm… mio amico… è un po’, come dire, fra Scilla e Cariddi.
Il professore mi rivolse uno sguardo penetrante e mi resi conto di aver appena utilizzato un’espressione appresa a Base Town. — Comunque — mi affrettai a dire — che cosa pensa che dovrebbe fare?
Dimas schiacciò il tabacco nella pipa, prima di riaprir bocca. Quando infine parlò, fu per porre una domanda. — Dunque, secondo gli istruttori di Base Town, l’universo produrrebbe dei pianeti doppelgänger soltanto quando vengono prese delle decisioni importanti, è così?
— Uh… praticamente sì. Solo che può essere molto difficile capire che cosa sia importante e cosa no. Cioè, dicono che un battito d’ali di farfalla a Bombay possa far nascere un tornado in Texas. Se si potesse schiacciare quella farfalla prima che riesca a volare…
Il professore annuì. Poi mi guardò e disse: — So che sembrerà strano, ma devo chiederti una cortesia, Joe.
Quasi tutti avevano preso a chiamarmi Joe, ultimamente; non so bene perché. Dovevo ancora farci l’abitudine. — Volentieri, professor Dimas.
— Togliti la maglietta.
Sbarrai gli occhi, poi feci spallucce. Non sapevo dove volesse arrivare, ma sapevo anche che non avevo nulla da temere, perché (ed era una cosa triste, in qualche maniera) nessuno avrebbe potuto avere la meglio su di me, in nessun tipo di combattimento, leale o sleale.
Perciò mi tolsi il giubbotto e la maglietta larga che portavo sotto. Il professor Dimas mi guardò per un attimo senza dire nulla, poi mi fece cenno che potevo rivestirmi.
— Sei parecchio più magro — osservò. — E anche più muscoloso… per quanto può esserlo un ragazzo della tua età, che non è molto. E comunque tu sei geneticamente programmato per crescere più in altezza che in muscolatura.
Decisi che la cosa migliore fosse restarmene zitto ad aspettare. Sperai che alla fine rispondesse alla mia domanda.
E lo fece. — Quanto al tuo amico ipotetico, sono d’accordo con te: è una decisione delicata sotto ogni profilo. Ma se vogliamo andare al sodo, la domanda che il tuo amico deve porsi è una. La felicità di una persona, o la vita stessa di una persona, può pesare quanto il destino di un numero infinito di mondi?
— Ma io non… voglio dire, lui non sa per certo se potrà farcela davvero!
Lui sa che la possibilità esiste. Non vorrei essere frainteso. Ho la massima compassione per il dolore della sua decisione. E ci sono uomini che stanno bene con la barba. Lesse l’espressione interrogativa sul mio viso e disse: — Non sono costretti a guardarsi in faccia neanche per radersi.
Annuii. Sapevo che cosa voleva dire, e sapevo che aveva ragione. Era tutto più chiaro. Non per questo più facile, no di certo. Ma più chiaro.
Mi alzai in piedi. — Professor Dimas, lei è un prof incredibile.
— Grazie. Non sempre il consiglio scolastico la pensa come te, benché mi sia capitato di sentirgli pronunciare la parola “incredibile” mentre parlavano di me.
Sorrisi e feci per andarmene.
— Devo aspettarmi di vederti in classe domani? — mi chiese.
Esitai, poi scossi il capo.
— Come pensavo. Buona fortuna, Joey. Buona fortuna a tutti voi.
Avrei voluto dire una bella frase a effetto, ma non mi venne nulla di brillante, perciò gli strinsi la mano e uscii più veloce che potevo.
***
Mi sedetti sul bordo del letto e diedi la mia armatura di plastica e la pistola a raggi Star Blaster al rospetto.
La pistola lanciava un raggio a infrarossi che, se miravi bene verso la pettorina, la faceva suonare.
Era esaltato, li aveva sempre voluti. — Jo-eee! Tàttieee! — Era troppo piccolo per quelle cose, ma sarebbe cresciuto presto.
In un certo senso, mi dissi, avrei dato il mio contributo perché accadesse.
Dissi a Jenny che le donavo la mia collezion...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il ragazzo dei mondi infiniti
  4. Nota degli autori
  5. Parte I
  6. Parte II
  7. Parte III
  8. Postfazione
  9. Copyright