Robin Hood
  1. 368 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Un grande classico riccamente illustrato a colori.
Difensore dei deboli contro gli usurpatori, abile spadaccino e soprattutto arciere infallibile: ecco Robin Hood, il signore della foresta di Sherwood!

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804593195
eBook ISBN
9788852021954
Mondadori

Image

Nelle prime ore di una bella mattina d’agosto Robin Hood se ne andava tutto solo per un sentiero della foresta di Sherwood, canticchiando allegro.
A un tratto una voce stentorea, la cui intonazione era prova di grande ignoranza delle regole musicali, prese a ripetere la ballata d’amore cantata da Robin Hood.
— Madre Santa! — mormorò fra sé il giovane, prestando attenzione al canto dello sconosciuto. — Che cosa sentono le mie orecchie? Parole composte nella mia lontana infanzia… che non ho insegnato a nessuno!
Nel formulare quel pensiero Robin si nascose dietro un albero ad aspettare che il viandante gli passasse davanti.
Eccolo. Giunto alla quercia ai cui piedi si era seduto Robin, scrutò nel folto della foresta.
— Guarda là! — esclamò lo sconosciuto, scorgendo tra gli alberi un branco di splendidi daini. — Vecchie conoscenze! Vediamo un po’ se ho ancora buona mira e mano ferma. Per Giove! Mi toglierò lo sfizio di colpire quel giovane e vigoroso esemplare che avanza così lento.
Ciò detto, lo straniero prese una freccia dalla faretra, la incoccò, mirò al daino e lo colpì a morte.
— Bravo! — esclamò una voce allegra. — Un tiro di abilità non comune.
Colto di sorpresa, lo straniero si voltò di scatto. — Trovate, messere? — disse, squadrando Robin Hood dalla testa ai piedi.
— Sì, siete molto abile.
— Effettivamente — puntualizzò sprezzante lo sconosciuto.
— Non c’è dubbio, specie per uno che non è avvezzo a tirare ai daini.
— Come sapete che difetto di allenamento in questa pratica?
— Lo vedo da come tenete l’arco. Mi gioco la testa, messere, che siete più abile ad atterrare un uomo sul campo di battaglia che a far secco un daino nella foresta.
— Ben detto! — esclamò lo straniero ridendo. — Si può sapere, di grazia, il nome di un uomo con lo sguardo tanto acuto da riconoscere la differenza tra la condotta di un soldato e quella di un cacciatore da un semplice tiro?
— Il mio nome ha poca importanza in questo momento, messere, ma vi posso dire qual è la mia qualifica. Sono una delle prime guardie di questa foresta, e non ho intenzione di permettere che i miei daini indifesi siano esposti agli attacchi di quanti, per mettere alla prova la loro abilità, decidono di colpirli.
— Non mi interessano le vostre intenzioni — ribatté deciso lo sconosciuto — e vi diffido dall’impedirmi di tirare le mie frecce dove mi pare e piace; ucciderò daini, cerbiatti e tutto ciò che voglio!
— Vi sarà facile se io non mi oppongo, dato che siete un ottimo arciere — rispose Robin. — Pertanto vi farò una proposta. Ascoltatemi: sono il capo di una compagnia di uomini risoluti, intelligenti e abilissimi con l’arco. Mi sembrate un ragazzo coraggioso; se il vostro animo è onesto, e se avete un’indole tranquilla e conciliante, sarò felice di arruolarvi nella mia banda. Una volta che sarete dei nostri, vi sarà permesso cacciare; ma se vi rifiutate di far parte della nostra compagnia, vi invito a lasciare la foresta.
— Il vostro tono è decisamente superbo, messere. Adesso ascoltatemi voi. Se non vi sbrigate a girare i tacchi, vi darò un consiglio che, senza troppi preamboli, vi insegnerà a misurare le parole. Questo consiglio, bello mio, è una raffica di bastonate ben assestate!
— Tu oseresti colpirmi? — esclamò Robin sdegnato.
— Proprio così.
— Ragazzo mio — proseguì Robin — non ho intenzione di arrabbiarmi, perché potresti uscirne male, ma se non obbedisci seduta stante all’ordine di lasciare la foresta, prima subirai un severo castigo, poi prenderemo la misura del tuo collo e il peso del corpo appendendoti al ramo più alto di uno degli alberi di questa foresta!
Lo straniero scoppiò a ridere. — Battermi e farmi impiccare sarebbe divertente — disse — se non fosse impossibile. Avanti, coraggio, sono qui che aspetto.
— Non mi scomodo certo a bastonare di persona tutti i gradassi che mi si parano dinnanzi, caro mio — ribatté Robin. — Ho uomini al mio servizio cui delegare quest’utile servizio. Ora li chiamo e te la vedrai con loro.
Robin Hood si portò un corno alle labbra. Stava per far risuonare un possente richiamo, quando lo straniero, incoccata rapidamente una freccia, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo: — Fermatevi o vi uccido!
Robin lasciò cadere il corno, afferrò l’arco, balzò verso lo straniero con impressionante agilità e gridò: — Folle! Non capisci dunque quale abilità vuoi sfidare? Ti colpirei prima ancora che tu mettessi mano all’arco, e la morte che vorresti infliggermi toccherebbe solo a te. Sii ragionevole; siamo estranei e ci comportiamo come due nemici senza un valido motivo. L’arco è un’arma pericolosa; rimetti la freccia nella faretra, e poiché desideri cimentarti con il bastone, vada per il bastone, accetto la sfida!
— Vada per il bastone! — ripeté lo straniero. — E chi riuscirà a colpire la testa dell’altro sarà non soltanto il vincitore, ma potrà disporre della sorte dell’avversario.
— E sia! — rispose Robin. — Ma attenzione alle conseguenze di quanto proponi: se riuscirò a farti implorare pietà, avrò il diritto di arruolarti nella mia banda?
— Sì.
— Benissimo, che vinca il migliore!
— Amen! — disse lo straniero.
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Il duello ebbe inizio. I colpi, che piovvero numerosi da ambo le parti, ben presto sfiancarono lo straniero, il quale non riuscì a colpire Robin una sola volta. Indispettito e con il fiato corto, il poveretto gettò via il bastone. — Fermatevi! Sono stanco morto!
— Vi dichiarate vinto? — domandò Robin.
— No, ma riconosco che la vostra forza è di gran lunga superiore alla mia: siete avvezzo a maneggiare il bastone, e questo vi dà un grande vantaggio. Occorre una sfida più equa. Sapete tirare di spada?
— Sì — rispose Robin.
— Continuiamo il duello con la spada?
— Certo.
Sguainarono le spade. Entrambi abili spadaccini, si batterono per un quarto d’ora senza riuscire a ferirsi.
— Fermatevi! — gridò improvvisamente Robin.
— Siete stanco? — domandò lo straniero con un sorriso di trionfo.
— Sì — rispose Robin con franchezza. — Inoltre trovo che battersi con la spada sia davvero poco piacevole. Volete mettere il bastone? I suoi colpi, meno pericolosi, non sono per questo privi di interesse, mentre la spada ha qualcosa di rude e crudele. La stanchezza, per quanto reale — aggiunse Robin esaminando il volto dello sconosciuto, il cui capo era coperto da un berretto che gli nascondeva parte della fronte — non è il motivo che mi ha spinto a chiedere una tregua. Da quando ti ho davanti mi sono riaffiorati ricordi d’infanzia. La luce dei tuoi grandi occhi azzurri non mi è nuova. La tua voce mi ricorda quella di un amico, e il mio cuore prova per te un trasporto irresistibile. Dimmi il tuo nome; se sei colui che attendo con tutta l’impazienza della più tenera amicizia, che tu sia mille volte il benvenuto. Se sei uno straniero non importa, sei comunque il benvenuto. Ti sarò grato per ciò che sei e per i cari ricordi che susciti in me.
— La vostra cortesia mi fa molto piacere, messere — replicò lo sconosciuto — ma con grande rammarico devo confessarvi che non posso soddisfare la vostra richiesta. Non sono libero di farlo: il mio nome è un segreto che la prudenza mi consiglia di tenere celato.
— Da me non avete nulla da temere — disse Robin. — Sono quello che comunemente si definisce un fuorilegge. Non tradirei mai la fiducia di un cuore che ha confidato nella mia discrezione e disprezzo la bassezza di chi osa rivelare un segreto, anche se involontariamente. Volete dirmi il vostro nome?
Lo straniero esitò ancora un istante.
— Sarò un amico per voi — aggiunse Robin in tono sincero.
— D’accordo — rispose lo sconosciuto. — Mi chiamo William Gamwell.
Robin lanciò un urlo. — Will! Will! Il buon Will Scarlett!
— Sì.
— E io sono Robin Hood.
— Robin! — gridò quello gettandosi fra le braccia dell’amico. — Ah, che gioia!
I due giovani si abbracciarono; quindi, con lo sguardo acceso da una gioia inesprimibile, presero a osservarsi come se non credessero ai loro occhi.
— E pensare che ti ho minacciato! — disse Will.
— E io non ti ho riconosciuto! — gli fece eco Robin.
— Volevo ucciderti! — gridò Will.
— Ma io ti ho battuto! — replicò Robin, scoppiando a ridere.
— Bah, e chi se ne importa? Su, dammi notizie di… Maude.
— Maude sta benissimo.
— È…?
— È sempre una fanciulla deliziosa. Ti ama, Will, ama solo te al mondo. Ha continuato ad amarti: ti concederà la sua mano. Ha pianto molto per la tua assenza. Tu hai sofferto molto, povero Will, ma sarai felice se ami ancora la bella e buona Maude.
— Se l’amo?! Come puoi dubitarne, Robin? Certo che l’amo, e che Dio la benedica per non avermi dimenticato! Non ho smesso un solo istante di pensare a lei, la sua immagine ha accompagnato il mio cuore e gli ha dato forza: è stata il coraggio del soldato sul campo di battaglia, la consolazione del prigioniero nell’oscura cella della prigione di stato. Maude è stata il mio pensiero, il mio sogno, la mia speranza, il mio avvenire. Lei mi ha dato la forza di sopportare le privazioni più crudeli, le fatiche più dolorose. Grazie a Dio, in cuor mio la fiducia nel futuro è rimasta inalterata. Ero certo di rivedere Maude, di diventare suo marito e di trascorrere accanto a lei gli ultimi anni della mia esistenza.
— Questa speranza sta per realizzarsi, caro Will — disse Robin.
— Sì, me lo auguro, o meglio, ne ho la dolce certezza. Per provarti, amico Robin, quanto ho pensato alla cara fanciulla, ti racconterò un sogno che ho fatto in Normandia; questo sogno è ancora vivo nella mia memoria, anche se risale a circa un mese fa. Mi trovavo in prigione, con le braccia legate e il corpo incatenato, e vedevo Maude a pochi metri da me, di un pallore mortale e ricoperta di sangue. Tendeva le mani verso di me e la sua bocca, dalle labbra livide, mormorava parole lamentose di cui non capivo il senso, ma vedevo che lei soffriva orribilmente e mi chiamava in suo soccorso. Come ti ho detto, ero incatenato, mi rotolavo per terra e, nella mia impotenza, mordevo le catene che mi stringevano le braccia; in una parola, facevo sforzi sovrumani per trascinarmi fino a lei. Tutt’a un tratto le catene che mi tenevano prigioniero incominciarono ad allentarsi fino a cadere. Balzai in piedi e mi precipitai da Maude. Mi strinsi al petto la povera fanciulla insanguinata, coprii di baci le sue guance e a poco a poco il sangue, che le si era gelato, riprese a circolare, dapprima lentamente, poi con ritmo regolare. Le labbra riacquistarono colore, Maude aprì i grandi occhi neri e mi rivolse uno sguardo tanto tenero e riconoscente da suscitare in me una profondissima commozione. Il mio cuore ebbe un sussulto di gioia, e dal petto mi sfuggì un gemito. Soffrivo ed ero felice al tempo stesso. Quell’intensa emozione mi fece risvegliare. Balzai giù dal letto con il fermo proposito di rientrare in Inghilterra. Volevo rivedere Maude, Maude che doveva essere infelice, Maude che doveva avere bisogno del mio aiuto. Mi recai subito dal mio capitano; era stato l’intendente di mio padre, e credevo di poter contare sul suo appoggio. Non gli esposi la ragione che mi spingeva a rientrare in Inghilterra, perché mi avrebbe deriso per la mia inquietudine. Gli dissi semplicemente che desideravo tornare. Rifiutò recisamente di concedermi un permesso. Ma quel rifiuto non mi scoraggiò: il desiderio di rivedere Maude era tanto forte che supplicai quell’uomo, a cui un tempo avevo impartito ordini, scongiurandolo di soddisfare la mia richiesta. Mi compiangerete, Robin — aggiunse Will, arrossendo — ma non importa, voglio dirvi tutto. Mi gettai ai suoi piedi: la mia debolezza lo fece sorridere e, con un calcio, mi mandò gambe all’aria. Mi rialzai. Avevo la spada, la sguainai e, senza pensarci due volte, senza esitazione, uccisi quel miserabile. Da allora mi danno la caccia. Sono riuscito a far perdere le mie tracce? Lo spero! Ecco perché, caro Robin, scambiandovi per uno straniero, rifiutavo di dirvi il mio nome. E sia benedetto il cielo per avermi condotto a voi! Ma ora parliamo di Maude: vive sempre al castello di Gamwell?
— Al castello di Gamwell, caro Will? — ripeté Robin. — Dunque non sapete nulla di quello che è successo?
— Nulla. Ma cosa è accaduto? Mi spaventate.
— Tranquillizzatevi. La sciagura che si è abbattuta sulla vostra famiglia è stata in parte riparata: il tempo e la rassegnazione hanno cancellato il ricordo di un fatto tanto doloroso. Il castello e il villaggio di Gamwell sono stati distrutti.
— Distrutti! — gridò Will. — Madre Santa! E mia madre, Robin, e mio padre, le mie povere sorelle?
— Stanno tutti bene, state tranquillo; la vostra famiglia si trova a Barnsdale. Più tardi vi racconterò i particolari; per oggi vi basti sapere che i normanni, responsabili di quella crudele devastazione, l’hanno pagata molto cara. Abbiamo annientato due terzi delle truppe inviate da re Enrico.
— Re Enrico! — esclamò William. Poi aggiunse, con una certa esitazione: — Mi avete detto di essere Robin, la prima guardia di questa foresta. Siete al servizio del re?
— Niente affatto, mio biondo cugino — ribatté questi ridendo. — Per la mia attività di sorvegliante sono pagato dai normanni...

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