I casi di Theodore Boone - 2. Il rapimento
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I casi di Theodore Boone - 2. Il rapimento

  1. 216 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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I casi di Theodore Boone - 2. Il rapimento

Informazioni su questo libro

April Finnemore è scomparsa. Qualcuno l'ha rapita nel cuore della notte e l'ultimo ricordo che Theodore Boone ha di lei è la telefonata della sera prima. Perché April si sente sola, e spesso trova conforto dalla sua difficile vita familiare nelle lunghe chiacchierate con lui. Theo, tredicenne avvocato in erba, è sempre pronto a intervenire: ma ora è disposto a rischiare tutto, visto che il rapimento riguarda la sua migliore amica e il sentimento che lo muove è forse qualcosa di più che l'amore per la giustizia. La polizia sembra non avere indizi, finché dalla vita di April non emerge Jack Leeper, un parente evaso di prigione. E nel frattempo dalle acque del fiume viene ripescato un corpo misterioso. Il malvivente è coinvolto nel rapimento? E soprattutto, April è ancora viva? Mai come ora Theodore Boone dovrà sfoderare tutto il proprio coraggio per risolvere il caso più importante della sua giovane carriera, prima che sia troppo tardi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2011
Print ISBN
9788804613343
eBook ISBN
9788852020391

CAPITOLO 1

Il rapimento di April Finnemore era avvenuto nel cuore della notte, tra le nove e un quarto di sera, ora in cui la ragazza aveva parlato al telefono con Theo Boone, e le tre e mezzo del mattino, quando sua madre era entrata in camera da letto e si era resa conto che la figlia non c’era.
Il rapimento sembrava essere stato precipitoso: chiunque avesse portato via April non le aveva lasciato il tempo di prendere le sue cose. Il portatile era ancora al suo posto e, benché la stanza fosse piuttosto in ordine, c’erano alcuni indumenti sparsi in giro, il che rendeva difficile stabilire se la ragazza fosse riuscita a prepararsi un bagaglio. Probabilmente no, riteneva la polizia. Lo spazzolino da denti era ancora sul lavabo e lo zaino vicino al letto. Il pigiama era sul pavimento, quindi se non altro le era stato consentito di vestirsi. La madre, nei momenti in cui non piangeva o singhiozzava, informò gli agenti che la felpa bianca e blu, la preferita di sua figlia, non era nella cabina armadio. Ed erano sparite anche le sue sneaker preferite.
I poliziotti scartarono subito l’idea che la ragazza fosse scappata di casa. Non ne avrebbe avuto motivo, assicurò la madre. E poi April non aveva portato con sé le cose che avrebbero potuto facilitarle la fuga.
Una rapida ispezione della casa non rivelò segni evidenti di effrazione. Tutte le finestre erano sbarrate, così come le tre porte al piano terra. Chi aveva portato via April, chiunque fosse, era stato abbastanza attento da richiudere a chiave la porta dietro di sé.
Dopo aver studiato la scena e ascoltato la signora Finnemore per circa un’ora, i poliziotti decisero di parlare con Theo Boone. Dopotutto si trattava del migliore amico di April, e di solito i due ragazzi chiacchieravano al telefono o chattavano, di sera, prima di andare a dormire.
A casa Boone il telefono squillò alle quattro e trentatré del mattino, secondo l’orologio digitale accanto al letto dove dormivano i genitori. Il signor Woods Boone, che aveva il sonno leggero, afferrò il ricevitore, mentre Marcella Boone si girò su un fianco, chiedendosi chi mai potesse telefonare a quell’ora. Quando il signor Boone disse: «Sì, agente» sua moglie si svegliò del tutto e si alzò dal letto. Ascoltando la conversazione, si rese subito conto che si trattava di qualcosa che riguardava April Finnemore. Rimase perplessa, quando suo marito disse: «Certo, agente. Saremo lì tra un quarto d’ora».
Woods riattaccò e sua moglie gli domandò: «Cos’è successo?».
«A quanto pare April è stata rapita e la polizia vuole parlare con Theo.»
«Dubito che sia stato lui a rapirla.»
«Be’, se non è di sopra in camera sua, potremmo avere dei problemi.»
Theo era di sopra, in camera sua, profondamente addormentato e del tutto incurante degli squilli del telefono. Mentre indossava in fretta jeans e felpa, informò i genitori che la sera prima aveva chiamato April col cellulare e aveva parlato con lei per qualche minuto, come sempre.
Mentre attraversava Strattenburg nell’oscurità che precede l’alba, in auto con i genitori, Theo non riusciva a pensare ad altro che a April, alla sua triste vita familiare, ai suoi genitori sempre in guerra, al fratello e alla sorella che, duramente segnati, se n’erano andati di casa non appena avevano avuto l’età per farlo. April era la minore di tre figli. Tutti e due i genitori erano pazzi, secondo lei, e Theo era d’accordo. Sia il padre sia la madre avevano precedenti per droga. La signora Finnemore allevava capre in una piccola fattoria fuori città e produceva formaggio, di pessima qualità a parere di Theo, che poi vendeva girando per la città a bordo di un vecchio carro funebre verniciato di giallo, con una scimmia-ragno sul sedile di fianco. Il padre di April era un anziano hippie che continuava a suonare in una tremenda garage band insieme a un branco di altri residuati degli anni Ottanta. Non aveva un vero lavoro e spesso si allontanava da casa per settimane. I Finnemore erano sempre sull’orlo della separazione e nell’aria aleggiavano continuamente discorsi di divorzio.
April si confidava con Theo e gli aveva detto cose che lui aveva giurato di non rivelare mai.
La casa dei Finnemore non era di proprietà, ma in affitto, e loro non avevano il minimo interesse nel mantenerla in uno stato decoroso. Si trovava in uno dei quartieri più vecchi di Strattenburg, in una strada ombreggiata lungo la quale si allineavano altre case costruite poco dopo la Seconda Guerra Mondiale che avevano visto giorni migliori. Theo c’era stato una volta soltanto, per una festa di compleanno che la madre di April aveva organizzato due anni prima: ma la maggior parte dei ragazzini invitati non si era presentata perché i loro genitori non avevano dato loro il permesso, a causa della cattiva reputazione della famiglia Finnemore.
C’erano due auto della polizia nel vialetto d’accesso, quando i Boone arrivarono. Sul lato opposto della strada, i vicini osservavano la scena dalle loro verande.
La signora Finnemore – che si faceva chiamare May e aveva imposto ai figli i nomi di April, March e August – era seduta sul divano e stava parlando con un agente, quando i Boone, piuttosto imbarazzati, entrarono nel soggiorno. Ci furono rapide presentazioni: il signor Boone non aveva mai incontrato la madre di April.
«Theo!» esclamò May Finnemore in tono drammatico. «Qualcuno ha portato via la nostra April!» Poi scoppiò a piangere e si piegò in avanti per abbracciare Theo, il quale, benché non avesse alcuna voglia di essere abbracciato, si adattò al rituale per una forma di rispetto. Come sempre la signora Finnemore indossava un ampio abito svolazzante, di un tessuto beige simile a iuta, che faceva pensare più a una tenda che a un vestito. I lunghi capelli che andavano ingrigendosi erano raccolti in una stretta coda di cavallo. Per quanto quella donna fosse matta, Theo rimaneva sempre colpito dalla sua bellezza. A differenza di sua madre, May Finnemore non faceva alcuno sforzo per sembrare attraente, ma ci sono qualità che non si possono nascondere. La mamma di April era anche molto creativa: le piaceva dipingere e lavorare con la creta, oltre che produrre formaggio di capra. April aveva ereditato i geni migliori della madre: gli occhi belli, il talento artistico.
Non appena May Finnemore si fu calmata, la signora Boone chiese al poliziotto: «Cos’è successo?». L’agente le fornì un rapido riassunto di quel poco che era stato accertato fino a quel momento.
«Ieri sera hai parlato con April?» domandò il poliziotto a Theo. L’agente si chiamava Bolick, sergente Bolick; Theo lo conosceva di vista perché lo aveva notato spesso in tribunale. Conosceva quasi tutti i poliziotti di Strattenburg, e anche quasi tutti gli avvocati, i giudici, gli impiegati e gli addetti alle pulizie del tribunale.
«Sì, signore. Alle nove e un quarto, secondo i dati del mio cellulare. Parliamo quasi tutte le sere, prima di andare a letto» rispose il ragazzo. Bolick aveva reputazione di essere un tipo arrogante e saccente. Theo non si aspettava di trovarlo simpatico.
«Che cosa carina. Ti ha detto qualcosa che potrebbe esserci utile? Era preoccupata? Spaventata?»
Theo si ritrovò improvvisamente davanti a un dilemma. Non poteva mentire a un agente di polizia, ma non poteva neppure svelare un segreto che aveva giurato di non dire mai. Così barò un po’ rispondendo: «Non ricordo niente del genere». La signora Finnemore aveva smesso di piangere e lo fissava assorta, con gli occhi lucidi.
«E di cosa avete parlato?» domandò il sergente Bolick. Un detective in borghese entrò in soggiorno e si mise ad ascoltare attento.
«Delle solite cose. La scuola, i compiti… non ricordo tutto.» Theo aveva assistito a un numero sufficiente di processi per sapere che spesso le risposte dovevano mantenersi sul vago e che in certe occasioni il “non ricordo” era perfettamente accettabile.
«Avete chattato?» chiese il detective.
«No, signore, ieri sera no. Solo telefono.» Spesso i due ragazzi comunicavano con sms o via Facebook, ma Theo sapeva che era sempre meglio non dare informazioni volontariamente. Limitati a rispondere alla domanda che ti viene rivolta: l’aveva sentito dire molte volte da sua madre ai suoi clienti.
«Ci sono segni di effrazione?» domandò il signor Boone.
«Nessuno» rispose Bolick. «La signora Finnemore, che dormiva nella camera da letto al piano terra, non ha sentito niente. A un certo punto si è alzata ed è andata a dare un’occhiata a April. È stato allora che si è accorta che sua figlia non c’era.»
Theo guardò May Finnemore, che gli lanciò un’occhiata come per sfidarlo. Theo sapeva la verità, e lei sapeva che lui la sapeva. Il guaio era che Theo non poteva dirla perché l’aveva promesso a April.
Il fatto è che la signora Finnemore aveva passato fuori casa le ultime due notti. April era rimasta da sola, terrorizzata, con porte e finestre sbarrate e una sedia incastrata sotto la maniglia della sua cameretta, con una vecchia mazza da baseball ai piedi del letto e il telefono a portata di mano per poter chiamare subito il numero d’emergenza, e con nessuno al mondo con cui parlare tranne Theodore Boone, il quale aveva giurato di non dirlo ad anima viva. Il padre di April era fuori città con la sua band, mentre la madre si imbottiva di pillole e stava andando fuori di testa.
«Negli ultimi giorni April ha mai detto qualcosa sulla possibilità di andarsene di casa?» chiese il detective.
“Oh, sì” pensò Theo. “April vuole andarsene a Parigi a studiare arte. Vuole scappare a Los Angeles e andare ad abitare con March, la sorella maggiore. Vuole andare a Santa Fe e diventare una pittrice. Vuole andarsene, punto e basta.”
«Non ricordo niente del genere» rispose. Ed era la verità, perché “negli ultimi giorni” poteva significare qualsiasi cosa e la domanda era troppo vaga per esigere una risposta precisa da parte sua. Theo l’aveva visto accadere parecchie volte nei processi. A suo parere, il sergente Bolick e il detective erano troppo approssimativi nelle loro domande: fino a quel momento non erano riusciti a metterlo con le spalle al muro, e lui non aveva detto una sola bugia.
May Finnemore, sopraffatta dalle lacrime, esibiva il suo pianto facendo una gran scena. Bolick e il detective chiesero a Theo degli altri amici di April, di eventuali problemi della ragazza, di come andava a scuola e così via. Theo diede risposte precise, senza sprecare parole.
Una poliziotta, scesa dal piano di sopra, era entrata in soggiorno e si era seduta accanto alla signora Finnemore, sempre sconvolta e disperata. Il sergente Bolick rivolse un cenno ai Boone e li invitò con un gesto a seguirlo in cucina. Il detective si unì al gruppo. Bolick fissò Theo e a bassa voce gli chiese: «La tua amica ti ha mai parlato di un parente in prigione in California?».
«No, signore.»
«Sei sicuro?»
«Certo che sono sicuro.»
«Cos’è questa storia?» intervenne la signora Boone. Non aveva certo intenzione di starsene zitta in disparte mentre suo figlio veniva rudemente interrogato. Anche il signor Boone era pronto a entrare in azione.
Il detective estrasse dalla tasca una foto in bianco e nero. Era la foto segnaletica di un uomo dall’aria infida che aveva tutte le caratteristiche del criminale incallito. «Questo tizio si chiama Jack Leeper» riprese Bolick. «È un lontano cugino di May Finnemore. È cresciuto da queste parti, se n’è andato parecchio tempo fa ed è diventato un delinquente di professione: ladruncolo, spacciatore eccetera. Dieci anni fa, in California, fu arrestato per sequestro di persona e condannato all’ergastolo senza possibilità di libertà vigilata. È evaso due settimane fa. E questo pomeriggio ci è giunta voce che potrebbe trovarsi qui in zona.»
Theo guardò la faccia sinistra di Jack Leeper e si sentì male. Se era stato quel delinquente a prendere April, la sua amica era in guai seri.
Bolick continuò: «Ieri sera, verso le sette e mezzo, il nostro Leeper entra nel Korean Quick Shop a quattro isolati da qui, compra sigarette e birra e si fa riprendere dalle telecamere di sorveglianza. Non proprio il criminale più astuto del mondo. E così sappiamo con certezza che è da queste parti».
«E perché si sarebbe preso April?» non riuscì a trattenersi Theo, che sentiva la bocca inaridita dalla paura e le ginocchia sul punto di cedere.
«Secondo le autorità californiane, nella cella di Leeper sono state trovate lettere di April. La ragazza era la sua amica di penna, probabilmente provava pena per lui perché supponeva che non sarebbe mai più uscito di galera. Insomma, April ha iniziato una corrispondenza con Leeper. Abbiamo perquisito la camera da letto della ragazza, ma non abbiamo trovato nulla che possa averle scritto lui.»
«Te ne aveva mai parlato?» domandò il detective.
«Mai» rispose Theo. Da tempo aveva imparato che nella famiglia Finnemore c’erano molti segreti che la sua amica April teneva per sé.
Il detective mise via la foto e Theo si sentì sollevato. Non voleva rivedere più quella faccia, anche se dubitava di poterla dimenticare.
«Riteniamo che April conoscesse la persona che l’ha portata via» disse il sergente Bolick. «Non c’è altro modo per spiegare l’assenza di segni di effrazione.»
«Pensate che quell’uomo possa farle del male?» chiese Theo.
«Non abbiamo modo di saperlo. Quel tizio ha passato gran parte della vita in prigione. Il suo comportamento è impreved...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. I casi di Theodore Boone - Il rapimento
  4. CAPITOLO 1
  5. CAPITOLO 2
  6. CAPITOLO 3
  7. CAPITOLO 4
  8. CAPITOLO 5
  9. CAPITOLO 6
  10. CAPITOLO 7
  11. CAPITOLO 8
  12. CAPITOLO 9
  13. CAPITOLO 10
  14. CAPITOLO 11
  15. CAPITOLO 12
  16. CAPITOLO 13
  17. CAPITOLO 14
  18. CAPITOLO 15
  19. CAPITOLO 16
  20. CAPITOLO 17
  21. CAPITOLO 18
  22. CAPITOLO 19
  23. CAPITOLO 20
  24. CAPITOLO 21
  25. CAPITOLO 22
  26. CAPITOLO 23
  27. CAPITOLO 24
  28. RINGRAZIAMENTI
  29. Copyright