Adhara sguainò il pugnale.
Sulle prime non li aveva sentiti. Il rumore si era confuso con quello del vento nelle tenebre, e lei era troppo stanca per cogliere il battito ritmico dei passi che la seguivano.
Si voltò a guardare nel folto degli alberi, là dove le era parso di scorgere un’ombra più scura. Alla prima ombra se ne aggiunse un’altra, e poi un’altra ancora, e una quarta. Sebbene la luce fosse poca, alla fine li riconobbe. Soldati. Indossavano le stesse insegne di Amhal, quando militava nella guardia cittadina di Makrat.
Amhal!
Per un istante credette che potesse essere lui. Contro ogni logica, contro ogni speranza, si convinse che tutto quello che era accaduto in quegli ultimi, terribili giorni, era stato solo un incubo. Poi l’illusione si spezzò.
«Non ti vogliamo fare del male» disse uno di loro uscendo allo scoperto. «Siamo qui per ordine del Supremo Officiante.»
Adhara non rispose. Studiò l’ambiente, cercando una via di fuga.
«Theana vuole parlarti» aggiunse un altro.
Theana. Il ricordo di quella donna gelida le mise addosso una tremenda collera. Un altro attore oscuro nella vicenda della sua vita, un’altra persona che le aveva taciuto la verità e si era servita di lei.
«Non ho niente da dirle» dichiarò indietreggiando.
«Quello del Supremo Officiante non è un invito. È un ordine.»
Adhara capì. Il tempo in cui poteva scegliere se combattere o meno, in cui poteva giurare che non avrebbe più ucciso, era finito. Dal mondo ovattato in cui aveva vissuto per tre mesi, si era trovata catapultata in guerra, in un luogo sperduto nel quale l’unico modo per sopravvivere era la fuga, l’unica salvezza l’acciaio. Sembrava passata una vita da quando aveva ucciso l’assassino di Mira.
La lama del suo pugnale brillò minacciosa. I quattro si irrigidirono.
«Il Supremo Officiante non vuole farti del male. Non costringerci a usare la forza» disse il soldato.
Adhara si mise in posizione di attacco. «Andatevene, e nessuno sarà costretto a fare cose che non vuole» sibilò tra i denti.
Una lama scivolò fuori da una guaina, seguita da altre tre.
«Per l’ultima volta…» insistette il soldato.
Adhara non lo fece finire. Scattò in avanti, agile e precisa. Un affondo, schivato. Si abbassò per evitare il tondo che seguì, girò su se stessa e colpì ai tendini delle ginocchia. Un grido, e l’uomo fu a terra. Adhara raccolse al volo la sua spada e caricò.
L’unico ricordo che aveva del duello all’arma bianca era lo scontro che aveva avuto con l’assassino di Mira. Per il resto non rammentava di aver mai combattuto veramente, ma era come se il suo corpo agisse da solo, come se gli insegnamenti dei Veglianti le avessero impresso le mosse nella memoria. Lei, creatura forgiata come arma vivente, sapeva cosa fare.
Un ampio taglio si aprì sul petto dell’avversario, che cadde in ginocchio, le mani strette sulla ferita.
Adhara si girò. Attaccava sia con il pugnale sia con la spada, senza tregua, impassibile. Avanzò furiosa, finché non vide l’arma di un altro uomo volare in aria. Un movimento alle sue spalle. Ruotò su se stessa, la gamba tesa in un calcio dritto alla mascella. Si girò ancora, guardandosi intorno. Due erano a terra, gementi; uno giaceva a pancia all’aria, svenuto; il quarto era disarmato. Fu a lui che si rivolse, puntandogli la spada alla gola.
«Di’ al Supremo Officiante che non ho niente a che spartire con lei. Dille di smetterla di cercarmi, tanto non mi avrà mai.»
L’uomo respirava affannosamente, ma non sembrava preoccupato. L’ombra di un sorriso gli illuminò l’angolo della bocca. Adhara sentì un colpo sordo alla nuca e subito dopo un dolore lancinante le si propagò alla schiena.
Cinque. Erano in cinque, pensò con rabbia.
Poi il buio si chiuse su di lei.
Fu svegliata da un rumore di ruote. Un rollio incessante, interrotto da radi sobbalzi. Adhara aprì lentamente gli occhi, mentre la nausea montava. Non fece neppure in tempo a vedere dove si trovasse che vomitò a terra. C’era della paglia, stesa su un pavimento di legno.
La testa le scoppiava. Provò a massaggiarsela, ma dovette ritrarre subito la mano. La nuca le doleva da impazzire, là dove l’avevano colpita.
Si guardò attorno. Era in una vettura stretta, di legno grezzo. L’avevano sistemata su un morbido giaciglio, accanto al quale c’era un basso recipiente metallico. Adhara si sporse per vedere cosa contenesse. Acqua. Vi si gettò sopra avida, e quando la sentì scivolare fresca giù per la gola, fu meglio di una medicina.
Notò di avere sia le mani sia i piedi liberi. Non l’avevano legata. Provò ad appoggiare le mani sulla porta della carrozza e prese a spingere, ma avvertì chiaramente un chiavistello fare resistenza. Non c’erano vie di fuga.
Si sedette in un angolo, sforzandosi di riflettere.
L’avevano presa. E adesso?
Sentì un’altra fitta alla testa e realizzò con sgomento che, nonostante la concretezza del dolore, quella testa non le apparteneva davvero.
Quello che Adrass le aveva detto era vero. Era stata creata. Le sue mani erano appartenute a un’altra, prima. Il suo corpo aveva vissuto la propria parabola terrena: aveva amato, sofferto, gioito, sentimenti che ora non poteva più ricordare. Poi erano venuti i Veglianti, e il suo corpo era tornato alla vita con il solo scopo di diventare un’arma.
L’unica cosa vera di quei mesi era il sentimento che provava per Amhal. L’amore per lui era vivo e pulsante, e rendeva viva anche lei. Per questo le era sembrato naturale cercarlo. Perché lui le aveva dato la vita, le aveva dato un nome e un’identità, e aveva fatto di lei la ragazza che era. Salvarlo era suo dovere.
Dopo la fuga da Adrass, si era subito diretta verso un villaggio che conosceva, poco fuori Nuova Enawar. Aveva bisogno di cibo e, soprattutto, di informazioni. Non aveva idea di dove San stesse conducendo Amhal, doveva trovare qualche indizio.
Nella locanda in cui aveva speso le poche carole che aveva con sé, c’erano solo alcuni avventori e una serva. Consumato un pasto frugale, aveva fermato la donna e chiesto di una viverna che aveva solcato i cieli qualche notte prima. «Due giorni fa, per la precisione.»
«L’ho vista» aveva detto un ubriaco dall’angolo di un tavolo, un boccale tra le mani e la voce impastata.
«Certo che l’hai vista, come l’unicorno di due mesi fa e quell’essere metà donna e metà cavallo del mese prima ancora» lo aveva deriso la serva. «Non lo stare a sentire, beve come una spugna.»
«Ti dico che l’ho vista!» aveva insistito quello, alzandosi sulle gambe traballanti. «Quella bestia ha cacciato un urlo tremendo, una specie di strillo che mi ha fatto agghiacciare. Ho pensato persino di non bere più. Poi ho ingollato una pinta, e la paura se n’è andata» concluse con una grassa risata.
Adhara sapeva che l’uomo non mentiva. Anche lei aveva sentito la viverna urlare, e sapeva quanto il suo verso potesse essere terribile. «Hai visto dov’era diretta?»
«A ovest» aveva risposto lui «come se un demone la inseguisse.» Verso la Terra del Vento, dunque. «Lì c’è la guerra.»
Non aveva importanza. Sarebbe andata ovunque, e avrebbe affrontato qualsiasi pericolo, pur di riportare Amhal alla ragione.
Era andata quindi a ovest, e per precauzione aveva preferito tagliare per i boschi.
Ma qualcuno l’aveva seguita, e ora il suo viaggio era finito lì, in quell’angusta carrozza.
Si tenne la testa tra le mani.
Voglio solo andare via, pensò. Ma non aveva nessun posto dove andare.
In quel momento la vettura si fermò. Adhara sentì un lucchetto scattare e il chiavistello scivolare via. La porta si dischiuse lentamente e la luce abbagliante del giorno illuminò l’interno. Agì senza riflettere, assecondando l’istinto e il desiderio di libertà. Scattò in avanti, scagliandosi con forza sull’uomo che aveva aperto. Lo gettò a terra, poi si tirò su e prese a correre. Qualche passo, e una mano le afferrò la caviglia. Il contraccolpo la fece cadere rovinosamente sul terreno, sbattendo la mascella. Per lunghi istanti non fu altro che dolore.
«Certo che sei ostinata, ragazza.»
Era un soldato, la faccia a un soffio dal suo volto.
«Dove diavolo credi di andare? C’è morte dappertutto, là fuori! Ti stiamo portando dall’unica persona che può salvarci da questo disastro; c’è gente che ucciderebbe per una tale fortuna.»
Adhara digrignò i denti. «Io sono immune» disse sputando.
L’uomo la guardò con odio, mentre la sollevava di peso e le stringeva i polsi con una pesante corda. «Mi ci hai costretto tu» rispose, gettandola di nuovo nella carrozza con le caviglie legate. «Non ci vorrà ancora molto, vedi di stare buona e di non creare altri problemi.»
La porta si richiuse con un tonfo e Adhara fu di nuovo sola con se stessa.
Quando approdarono a Nuova Enawar, due soldati la fecero scendere, le slegarono i piedi e la condussero con loro lungo i viali in pietra della città.
L’autunno aveva acceso di giallo e di rosso le fronde degli alberi, e l’aria era impregnata di un profumo intenso di foglie e muschio. L’unica cosa che stonava in quello spettacolo naturale era il silenzio inquietante che avvolgeva la città. Era passata una settimana dall’ultima volta che Adhara vi aveva messo piede, eppure tutto aveva un aspetto diverso. Le strade erano quasi vuote, e chi si aggirava per i vicoli teneva premuta sul naso e la bocca una pezzuola intrisa di aromi. Di tanto in tanto si scorgevano bizzarre figure abbigliate con ampie tuniche da mago e maschere dal becco appuntito. Guardie armate e soldati erano appostati ovunque, e nelle vie più nascoste si intravedevano i sopravvissuti alla pestilenza, alcuni con il volto appena intaccato, altri totalmente devastati.
Per la prima volta, Adhara provò un senso di estraneità. Era in mezzo agli altri. Loro non erano più come lei. Quelle creature spaventate che si ritraevano mentre passava erano i vivi. Li aveva partoriti un ventre di donna, ed erano cresciuti, avevano un’infanzia da ricordare e una tomba che li attendeva alla fine del loro cammino. Ma lei, lei era carne morta. Non aveva madre né padre, e nessun ricordo a dirle chi fosse, da dove venisse. Partorita dal nulla, improvvisamente non riusciva a guardarli in faccia, perché i loro sguardi le mostravano chiaramente come lei non appartenesse al loro mondo.
Fissò l’impiantito che scorreva sotto i suoi passi e si concentrò sull’alternarsi ritmico dei piedi sui lastroni della strada. Il cuore le batteva con forza. Pensò ad Amhal. Mentre lei perdeva tempo a Nuova Enawa...