
- 224 pagine
- Italian
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eBook - ePub
L'angelo nero (I Romanzi Classic)
Informazioni su questo libro
Isabella, giovane e bellissima, viene costretta a sposare Morgan Kinghorne, la cui fama libertina di ¿angelo nero¿ e` ampiamente meritata. Per quanto conosca Isabella fin dall¿infanzia, la prima notte di nozze Morgan non esita a imporle la propria passione. Solo per rendersi conto di aver perduto sua moglie forse per sempre. Neppure il figlio di quell¿unica notte di desiderio proibito riuscira` a riunirli. Eppure, quando il piccolo sara` in pericolo, Morgan e Isabella comprenderanno di non avere scelta: dovranno venire a patti con i loro sentimenti e fare i conti con il passato.
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Informazioni
eBook ISBN
97888520199681
Inghilterra
1815
1815
Quell’anno l’inverno era stato freddissimo e febbraio aveva portato delle nevicate così abbondanti che molte strade erano chiuse e chi si metteva in viaggio lo faceva solo se spinto da una necessità improrogabile.
Il palazzo del conte Betancourt, che con il suo torrione merlato e lo stemma a ogiva sulla facciata di pietra grigia si atteggiava a piccolo castello medievale, sorgeva sul fianco di una collina, a breve distanza da Stephorne, un piccolo agglomerato di casupole abitate dalla gente del posto.
Per miglia e miglia quelle terre facevano parte dell’immensa proprietà dei marchesi di Kinghorne, ed era stato proprio Percival Kinghorne che molti anni prima, quando il suo amico Homère era fuggito da una Parigi in preda al Terrore con la giovane moglie Céline, gli aveva messo a disposizione il palazzo in cui il conte continuava ad abitare con la figlia e la servitù.
Isolata dal mondo, educata da severe istitutrici che si erano alternate negli anni, Isabelle aveva accumulato valanghe di nozioni, ma nessuna esperienza di vita.
L’unica amica che aveva era Emilie Barton, sua coetanea, figlia di un pastore protestante che curava con rassegnata pazienza le anime a lui affidate e con speranzosa solerzia una piccola vigna annessa alla chiesa.
Quel giorno sedevano nel salottino della torre, davanti al fuoco che scoppiettava nel caminetto, e alternavano sorsi di tè bollente a sospiri nostalgici.
Babette, in piedi alle spalle di Isabelle, le spazzolava i lunghi capelli biondi che le aveva lavato poco prima, in attesa che il calore delle fiamme li asciugasse.
— Sai che cosa mi piacerebbe di più nella vita? — esordì Emilie, alzando la testa da un vecchio catalogo di moda che stava sfogliando.
Isabelle guardò il suo volto pallido, i grandi occhi scuri, lucenti come le castagne appena uscite dal riccio, e sorrise.
— Incontrare il tuo principe azzurro — rispose.
Emilie arrossì. — Niente affatto. Vorrei creare dei modelli meravigliosi, abiti da giorno e da sera pieni di ricami preziosi, cappelli ornati di piume, mantelli foderati di pelliccia o di raso, scialli di pizzo, delicati come un soffio, trine e merletti e...
— E alla fine ti sveglierai tutta sudata — la interruppe Isabelle, ridendo.
— Oh — sospirò Emilie, volgendo lo sguardo verso la finestra. — Mi capita spesso di svegliarmi tutta sudata.
— Soffri di incubi? Racconta! — la esortò Isabelle, incuriosita.
— Sogno spesso che mio padre mi costringa a sposare un vedovo con cinque figli. Un uomo calvo, con pochi denti e una pancia enorme. A volte lo vedo così distintamente che mi sembra di sentirne la presenza.
— Che sogno orribile! — commentò Isabelle rabbrividendo. — Io invece sogno di viaggiare per mare, di visitare terre lontane, posti meravigliosi, e al risveglio, nel mio letto, mi faccio prendere dalla malinconia.
— Non pensi mai di sposarti?
— Con chi, di grazia? Con uno stalliere? Con Louis il pecoraio? O forse con il maniscalco? Non è poi tanto male, a ben pensarci.
— Da queste parti c’è qualcuno che potresti prendere in seria considerazione. È bello come un dio antico, facoltoso e porta un titolo altisonante.
Isabelle spalancò la bocca e le puntò contro un dito. — Il marchese di Kinghorne! — esclamò inorridita.— L’Angelo Nero. Devi essere pazza se pensi che potrei...
— L’hai chiamato Angelo Nero? — si stupì Emilie mentre Babette si faceva un rapido segno di croce.
— Lascia perdere — tagliò corto Isabelle.
Ma l’amica la ignorò. — Per via della sua alterigia o della sua fama di grande conquistatore che si lascia alle spalle, dovunque vada, una scia di cuori infranti?
— Lo odio e tanto basta. Non voglio parlare di lui. Amica mia, smettila di fantasticare su un futuro improbabile. Tuo padre ti ha destinata a diventare maestra, ed è ciò che farai. A meno che, come dicevo, non spuntasse un principe azzurro su un cavallo bianco.
Emilie scosse la testa. — In questo villaggio non spuntano nemmeno i funghi, figurarsi i principi azzurri. Se non ti deciderai a trasferirti a Londra per la Stagione, non lo incontrerai nemmeno tu, e tutta la tua bellezza andrà sprecata.
Isabelle strinse le labbra. — Odio l’idea di esibirmi come una vacca al mercato.
— Mon Dieu, mon Dieu! — esclamò Babette, volgendo gli occhi al soffitto. — Che cosa devono udire queste povere orecchie. Non si usa un linguaggio così volgare, ma pétite.
— Scusa, dovevo dire giovenche, ma il significato non cambia — ironizzò Isabelle. — Jenny, la cuoca, che è stata a servizio da certi nobili londinesi, mi ha raccontato quello che succede ai balli della Stagione — continuò, infervorandosi. — Le ragazze della mia età vengono acconciate, agghindate, imbellettate e messe in mostra in attesa del miglior offerente. Non importa che sia bello, brutto, giovane o vecchio, purché abbia un titolo e molti soldi. Ebbene, io non farò quella fine!
Sospirando, Babette riprese a pettinarla. Esperta delle cose del mondo, prevedeva quale sarebbe stato il futuro di Isabelle, e benché detestasse l’idea di perdere la sua pupilla, aveva il sacrosanto dovere di insegnarle l’ubbidienza.
— Farai quello che vuole tuo padre, bambina. Il conte ha tutti i diritti su di te, perciò dovrai sottometterti alla sua volontà. Immagino che adesso che hai compiuto diciotto anni non tarderà a decidere il tuo destino.
Le due ragazze si volsero a guardarla.
— E quale destino pensi che mi riserverà? — domandò Isabelle, perdendo tutta la sua baldanza.
La vecchia bambinaia strinse le labbra e il suo volto segnato dagli anni parve diventare di pietra.
— Non ne ho idea, ma pétite.
— Ti troverà un marito, poco ma sicuro — affermò Emilie.
Isabelle si voltò di scatto a guardarla. — E quale? Nessuno mi ha mai vista. Nessuno sa come sono fatta fuori e dentro. Chi può desiderare una scatola chiusa? Potrebbe contenere uno scorpione velenoso, o peggio.
— La voce della tua bellezza angelica è corsa per tutto il regno, amica mia. Pochi giorni fa mio padre ringraziava il cielo di non avermi dato dei tratti incantevoli come i tuoi perché, diceva, sono lo specchietto per le allodole del demonio.
— Non dire sciocchezze — replicò Isabelle, alzandosi e mettendosi a camminare avanti e indietro. — Bellezza angelica, tratti incantevoli... paroloni da romanziere! — sbuffò, sbirciandosi in uno specchio. — Sono graziosa come mille altre ragazze e non sono affatto docile. Qualcuno potrebbe accusarmi di essere saccente, oppure... — Cercò il vocabolo nella memoria. — Boriosa! — esclamò, felice di ricordarlo.
Erano trascorsi degli anni, ma non aveva dimenticato il primo incontro con l’Angelo Nero, come l’aveva definito Babette.
In seguito l’aveva rivisto in varie occasioni, e ogni volta il giudizio che aveva dato di lui era peggiorato. Se da giovanotto Morgan Bowes era stato altero e imperioso, a trentacinque anni era diventato arrogante e insopportabile. Ormai non la trattava più da mocciosetta, ma i suoi modi erano peggiorati.
Due anni prima, incrociandolo nel bosco mentre raccoglieva delle fragole, dopo averla salutata con finta galanteria le aveva dato un tale strattone alla treccia da farle bruciare per ore il cuoio capelluto e alcuni mesi prima, dopo un’orribile cena nel suo castello, con la scusa di accompagnarla alla carrozza, mentre i loro padri si salutavano, l’aveva spinta dietro una tenda e l’aveva baciata. E non era stato un bacetto amichevole. Sentiva ancora la punta della sua lingua che le apriva le labbra.
Che screanzato! Che impudente! Che libertino!
Si era sentita oltraggiata, umiliata, in preda a una rabbia impotente. Ricordava ancora la pressione delle sue labbra, dure e imperiose, un alito bruciante sul viso, la terribile sensazione di non avere più alcuna forza e di essere in balìa di quel bruto dal volto bellissimo e crudele.
Isabelle avvampò e affondò i denti con tanta forza sul labbro inferiore da farlo sanguinare.
— Oh, bon Seigneur... Oh, Vierge Marie! — gridò Babette, vedendo la piccola goccia rossa che le colava sul mento. — Ti sei ferita, bambina mia.
Isabelle sollevò la gonna, afferrò un lembo del sottabito e si pulì la bocca. — Non è niente. Mi sono strappata una pellicina dal labbro. Non gridare così. Penseranno che sto per morire.
Emilie, che le era corsa accanto, la osservò con il suo sguardo saggio e penetrante. Il cuore dell’amica era turbato, lo leggeva nei suoi occhi verdi che la sfuggivano, nei suoi modi alterati, nel suo nervosismo. Isabelle temeva per il proprio futuro, e non aveva torto. Ciò che non si conosce incute paura, e nessuna di loro aveva modo di prevedere a quale sorte le avrebbero destinate i loro padri.
— Qualunque cosa succeda — le sussurrò stringendole la mano — io ti starò sempre accanto.
Gli occhi verdi di Isabelle s’inumidirono, e le rispose con un sorriso grato.
Marzo era iniziato da più di una settimana, ma il suo alito non aveva ancora il profumo della primavera. Di giorno il sole tiepido scioglieva la neve; di notte un vento gelido, proveniente da nord, trasformava le pozzanghere in ghiaccio e gli zampilli delle fontane in scintillanti stalattiti.
Il conte Homère Betancourt era rientrato da Londra da due giorni e quel mattino era andato a pranzo al castello dei Kinghorne.
Isabelle l’aveva appena intravisto. Dopo un abbraccio frettoloso, il padre si era chiuso nella libreria, ordinando di non disturbarlo e ne era uscito solo per brevi istanti, o a notte fonda, quando il palazzo dormiva.
Che avesse dei problemi era indubbio, ma Isabelle non aveva idea di che natura fossero. Non economici, perché in seguito alla Restaurazione, dalla Francia erano giunti puntualmente i proventi delle loro immense proprietà terriere. Di cuore? Impensabile, dato il carattere burbero e l’età avanzata. Di salute? Isabelle l’aveva osservato, ma il suo colorito non le era sembrato più giallognolo del solito e le borse sotto gli occhi più pronunciate. Politici? Per quale ragione? Il padre viveva all’estero da anni, e anche se non apertamente, aveva simpatizzato con Napoleone fin dai suoi esordi. Lo considerava il più grande condottiero dopo Alessandro Magno, l’unico che potesse imporre al mondo la Grandeur de la France. Di recente, avendo saputo della sua fuga dall’Elba e del ritorno in Francia, trepidava per lui, ma Isabelle era pronta a scommettere che se avessero restaurato la monarchia suo padre si sarebbe inchinato al nuovo re.
Doveva esserci una ragione, ma quale fosse non riusciva a capirlo. Affacciata alla finestra che dava sul cortile d’ingresso, Isabelle scrutò il viale che si snodava tra alberi secolari. Da laggiù sarebbe spuntata la carrozza del padre, e questa volta era ben decisa a parlargli. Voleva offrirgli il suo appoggio, dirgli che poteva contare su di lei. Voleva avere la sensazione di essere utile, non una statuetta di porcellana da sistemare in un angolo e dimenticare.
Dovette attendere fino al crepuscolo, ma alla fine il conte arrivò. Scese dalla carrozza con un’espressione pensierosa, ma meno accigliata di quand’era uscito quel mattino, e Isabelle sperò che avesse avuto delle buone notizie.
— Bentornato, mon père — lo salutò, precedendo il maggiordomo e aprendogli il portone.
Le labbra sottili del conte si tesero appena e il suo sguardo le passò rapido sul viso.
— Devo parlarti, Isabelle. Vieni in biblioteca con me.
“Enfin!” esultò Isabelle, rincorrendolo.
— Chiudi la porta e siediti — ordinò lui, sistemandosi nella comoda poltrona dietro lo scrittoio di mogano.
Lei si affrettò a ubbidire e si aggiustò la veste sulle ginocchia. Adesso il padre le avrebbe confessato le sue preoccupazioni e le avrebbe chiesto aiuto. Il cuore le si gonfiò di speranza e di trepidazione. Avrebbe fatto qualunque cosa per alleviare le sue pene. Voleva dimostrargli di essere intelligente e coraggiosa, di valere quanto la sua compianta madre che aveva affrontato senza paura e senza un lamento il pericoloso viaggio dalla costa francese all’Inghilterra.
Per un attimo immaginò di dover tornare in Francia, magari nelle vest...
Indice dei contenuti
- Copertina
- L’angelo nero
- Prologo
- 1
- 9
- Copyright